domenica 28 novembre 2010

Vai col liscio

Eran due settimane che non vedevo il mio vicino. Per la prima volta aveva saltato la cena di pianerottolo, quella appena passata, e poi i miei turni non mi avevano permesso neanche di incrociarlo. Poi, ieri sera, mi ci sono imbattuta sulla porta di casa. Ho notato il cambiamento, subito. Anche perchè un pizzetto che scompare è un dettaglio che salta abbastanza all'occhio, dopotutto. "Su gentile richiesta", mi ha detto con un sorriso aperto. Non credo lo rimpianga, ora come ora, soprattutto se quel sorriso è destinato a prolungarsi.
Oggi sono stata allo stadio a vedere la mia squadra, e il "taglio netto" mi si è riproposto. Non lo stesso, un altro amico, ma la motivazione è la stessa: sempre una gentile richiesta. Non c'è timore di prendere freddo, però; un altro cambiamento, piccolo, preso con allegra filosofia.
Due persone che stanno vivendo un momento magico, l'innamoramento. Sentimenti che sbocciano, e che le loro lei vogliono sia sottolineato con un cambiamento. Mi è sembrato alquanto singolare, ma a ben pensarci a noi piacciono i "colpi di testa" quando ci succede qualcosa (anche se di solito si fanno quando ci si auspica una svolta migliore), e, ancor di più, ci piacciono labbra morbide da baciare e visi da tener vicino.
Niente di male, quindi, anzi. Questi due amici ora hanno un nuovo look, direi naturalissimo. Ma hanno anche una nuova luce, e un sorriso spontaneo e radioso. Quale miglior ornamento facciale?

sabato 27 novembre 2010

Diffidare dalle imitazioni

Il più delle volte, la maggior parte del tempo, mi sento un surrogato.
Un surrogato di giornalista. Perchè non c'è modo e tempo di approfondire niente, di seguire tutto come si dovrebbe, perchè spesso non è possibile uscire fuori dalla redazione, perchè anche quando si parla con le fonti, e si fanno le interviste, chiedo molto e obietto poco per paura di far figure ignorantelle. E il resto è copia&incolla.
Un surrogato di speaker. In onda poco e per leggere poche righe sempre con l'ansia di sbagliare. Poi mi ritrovo, in macchina, a sentire le altre stazioni e a invidiare la "proprietà" di altri colleghi, o anche solo di guardare le mie colleghe e cercare solo con gli occhi di assorbire tutto il possibile.
Un surrogato di sorella. Perchè mi piacerebbe fare tutto il fattibile per la Manu, per il suo talento, per la sua felicità. Perchè vedo ombre di malinconia che sembrano nere, spesse, indissolubili neanche sotto il miglior sole. Perchè vedo blocchi che mi ricordano strade interrotte, asfalti ceduti, ponti caduti.
Un surrogato di casalinga. E su questo niente da approfondire...
Un surrogato di amica, perchè mi sembra di non dare mai spazio ad approfondimenti, di passare sempre di corsa. Ed è per questo che, spesso, là fuori siamo solo io e la mia macchina. E tra le mani stringo surrogati di amori, che non ci sono.
Che cosa c'è di autentico, in una vita così? Quanto meno la consapevolezza. E la voglia di fare meglio, di dare il massimo, di sorridere e di correre, io con quella mia macchina, in quanti più punti possibili, per toccare mani e guardare negli occhi. Non c'è la presunzione di pensare di essere migliore, più intelligente, più brava di questo o di quello. Non c'è l'ansia di apparire quella che non sono, nè di cercare qualcuno al mio fianco a tutti i costi. Non c'è l'invidia per vite altrui, semmai qualche rammarico di occasioni sprecate, di strade non intraprese, che riguarda solo e soltanto me, però.
Mi sento il più delle volte un surrogato, è vero. Eppure quello che mi porto dentro è del tutto autentico.

lunedì 22 novembre 2010

Mi fido di te

Mousse è un gatto diffidente. E quando scrivo "diffidente" non mi riferisco alla natura indipendente dei felini. Lui passa le sue giornate in fondo al piumone di Silvia, sul soppalco di legno, o nascosto dietro le tende della finestra, o dietro il divano. Non miagola mai, osserva tutto con occhi allarmati e spalancatissimi. Lei lo ha raccolto così, perennemente spaventato, e un perchè ci sarà. In questi anni di vita insieme al compagno nero Zorba e in una casa decisamente cat-oriented non sono riusciti a eliminare il suo terrore per la vita. Nessuno gliene fa una colpa, comunque.
Se Mousse fosse un bipede sarebbe una persona estremanente asociale. Non riuscirebbe a camminare per strada, si spaventerebbe ad ogni piccolo rumore, non saprebbe costruire rapporti umani. Perchè le mancherebbe un ingrediente fondamentale: la fiducia. Gradi diversi di piccole incoscienze che permettono ai comuni mortali di fare affidamento su servizi, istituzioni, lavoro, conoscenze, amici, amori. Spesso, per fortuna, senza pensarci, altrimenti sai che fatica. Incoscienze però consapevoli, che quando sono prioritarie, importanti, regalano elettrizzanti scariche di adrenalina. Ecco perchè non occorre stare all'erta tutto il tempo, non si godrebbero i momenti di tranquillità, di calma, di soddisfazione. Non si godrebbero le lunghe chiacchierate con le amiche, una birra al pub, due salti di ska alla festa del paese, piccole confidenze fatte sottovoce.
Anche lo spaventatissimo Mousse, nonostante tutto, si arrende e si fida. Si avvicina con calma, fiutando l'aria. Ogni cosa a suo tempo.

sabato 20 novembre 2010

Direzioni

Continuo a ripensare alla strage della Loggia. E' colpa di Lucarelli, colpa della Dandini, colpa di Raitre. Colpa dei soliti comunisti, insomma. Che mangiano i bambini e mandano in onda un documento fatto di fiction, di testimonianze, di foto e filmati autentici. Ho provato una grande inquietudine, l'altra sera. Non riesco a scrollarmela di dosso.
Perchè mi vengono in mente frammenti dell'infanzia. Non direttamente, visto che son cresciuta negli anni '80, Decisamente altra storia rispetto al decennio precedente. Ma le immagini dell'altra sera mi hanno ricordato interni di case, abiti, persino preoccupazioni. Io piccolissima che sento parlare di bombe sui treni, gli stessi che io, mamma, papà e sorella prendevamo più volte all'anno per andare in Calabria a trovare la nonna, quelli a lunga percorrenza. Quei lunghi stop in buie gallerie, quei sussurri. In loro, giovani genitori, un nonsochè di fatalismo. Ricordi lucidi poi riportati nel giorno dell'assassinio di Moro, così come poi fu per me anni dopo, l'11 settembre. Piazze deserte, autostrade aperte in segno di lutto, pomeriggi in casa.
Eppure la gioia di vivere. Così come quelle maestre saltate in aria a Brescia che erano uscite di casa, nonostante la pioggia, per ascoltare i sindacati in piazza tutte insieme, ricordo lo stesso atteggiamento nei miei genitori. C'era la minaccia alla democrazia, ma c'era fiducia nel futuro, c'era la consapevolezza che le lotte servivano, funzionavano, e c'era il boom economico. Non era incoscienza, loro stavano davvero costruendo l'Italia. Me la ricordo bene, quella sensazione: in casa mia ci si divertiva, è stata un'infanzia pienamente felice. C'erano vie da percorrere. Strade aperte con il sangue, però.
Non è il solito lagnarsi del futuro che ci attende, un futuro posticipato, rispetto alla gioventù di allora. E' la ricerca di un orientamento diverso, per fortuna e per forza. Non c'è la paura di camminare in una piazza, tuttavia non c'è neanche quell'economico ottimismo. Ci sono orologi da risincronizzare e obiettivi da perseguire in altri modi. Ma da perseguire. Ecco perchè ricordare quelle volontà non fa affatto male. Dopotutto, come diceva il mio professore delle medie fino allo sfinimento, il ruolo della Storia è proprio questo.

giovedì 18 novembre 2010

L'attesa

Questa è del mio migliore amico. Parla di me, parla di noi. Arriva direttamente a segno.


Non siamo più abituati ad aspettare.

Non ci piace fare la fila in posta, dal dottore, al banco del pane dell'esselunga, al casello, ma non ci rendiamo conto che di attesa o di attese abbiamo avuto la vita piena.

Pensate al primo giorno di scuola, tutti tirati a lucido, infiocchettati nei giacchini blu notte o nei grembiulini bianchi, tutti fuori dal cancello, per mano, pronti ad un cenno e a metà tra la voglia di andare dentro e quella di tornare a casa a giocare.

Quella era un'attesa.

Ma perchè alcune attese le ricordiamo e le altre no? le attese non cambiano, il tempo è sempre lo stesso, scandito dal passare dei secondi; cambia invece quello che c'è alla fine dell'attesa, un grande gioia, un grande dolore e a volte niente.

Siamo capaci tutti di vivere le attese, ma non tutti siamo bravi a godere di ciò che arriva finito quel tempo.

Siamo capaci tutti di vivere le attese, ma non tutti siamo capaci di accettarle.

Quante volte anche stupidamente, quando siamo dal meccanico che ci comunica di dover attendere qualche giorno in più, la nostra mente parte, inizia a fare giri pindarici per capire come organizzare l'assenza di qualcosa e immancabilmente pensiamo " merda, non ci voleva", lo facciamo sempre e da sempre.

Non siamo capaci di accettare le attese, non siamo soprattutto capaci di reagire prontamente al prolungamento delle stesse, i "ci vuole ancora un pò", "passi fra un pò" sono cose che capiamo ma che istintivamente vengono percepite come un fastidio, un prolungamento alla privazione di qualcosa.

Ma le attese vanno vissute, vanno sfruttate, vanno spremute, vanno prese e sezionate, vanno combattute e vinte e il senso di piena soddisfazione che ci può dare un'attesa battuta è enorme.

Non pensiamo a ciò che ci sarà alla fine, pensiamo che abbiamo davanti un nuovo giorno di attesa e pensiamo che questo giorno può essere riempito da tutto ciò che vogliamo.

Se poi vi diranno che invece delle rondini bisognerà aspettare le foglie secche, gioite, l'attesa sarà ancora più lunga; gioite e vivetela alla grande.

Ciao e grazie

Pas

martedì 16 novembre 2010

Ciak, motore!

Per la maggior parte del tempo mi sento una funambola. Sono salita in cima alla mia scaletta di ferro e sono là in piedi su una piccola piattaforma di pochi centimetri quadrati. E sono lì a fissare la corda. Me la immagino bianca, vedo il vuoto sotto, vedo l'altro capo del mio teso percorso laggiù, quasi dall'altra parte del tendone. Non è la mia prima traversata, non sarà l'ultima, ma ogni volta la tensione sale, si sente intorno allo stomaco, fa girare la testa. In quel momento, nel momento in cui so che la batteria inizierà a rullare, mi chiedo se ne varrà comunque la pena, se è il caso di tentare lo show un'altra volta. La risposta però è sempre sì. La funambola vive per lo spettacolo, vive di traversate pericolose, vive di successi e impara in caso contrario.

Perchè è così, perchè sono così. Non voglio rimorsi. Prendo un respiro e vado. Lo sconcerto non viene da quello che trovo là fuori, non questa volta, almeno. Lo sconcerto arriva dal fatto che "là fuori" spesso non c'è nessuno. Tanti, a parole. Parole a fiumi, belle, importanti, dirette e esplicite, ma solo scritte. Quando si tratta di paraverbale, di tutto quello che sta intorno a queste parole che arrivano da internet e dallo schermo del cellulare tutto si blocca. Fermo immagine, freno a mano. Non c'è neanche la voce, oltre che all'assenza di movimento. Vie che si decidono deliberatamente di non percorrere, nonostante le intenzioni. Ovviamente scritte.
Ma insomma...un film ha bisogno di azione. E non sempre, anzi quasi mai, è buona la prima.

giovedì 11 novembre 2010

Fatte 'na risata!

Ci sono persone che si mettono di impegno, spesso, a rovinare dei bei momenti. Anche dei momenti normali, a volte. Ma spiccano per la loro inopportunità nel primo caso, quando ti stai godendo qualche cosa di bello.
Beh. Pensandoci bene, anche quando non te la passi troppo bene e magari stai cercando di reagire. Come giovedì sera, quando una "brava donna" ha detto alla mia amica, che non vive certo uno dei suoi periodi migliori ma che era uscita, che la trovava proprio male. Ora, cara ragazza cui non sfugge niente, grazie per la tua acuta osservazione che conferma quanto tu sia faina, ma potresti andartene là, in quel paese bellissimo, insieme agli altri simpaticoni della tua risma.
Personaggini a parte, succede anche di molto meno. Tipo la simpatica caposala quando vai a trovare una nuova vita che si affaccia. Tipo gli amici che vanno a giocare a calcetto e c'è sempre quello che picchia come un falegname e quello che si incazza perchè si sta perdendo. E quello che si incazza anche se sta vincendo.
O tipo le amiche che si ritrovano dopo anni per cantare, che si divertono e ridono e confrontano versioni di voci che nel tempo si son modificate e spunta la Mariele Ventre di turno che bacchetta all'ordine, un po' fuori luogo.
Non ci resta che sgranare gli occhi e riderci su. E di gusto, se poi hai le compagne giuste per farlo.

domenica 7 novembre 2010

Fuga nell'arte


Basta poco per sentirsi in vacanza.
La sveglia presto, un treno alle 6.35 e l'arrivo in Laguna poco dopo le 9. Un appuntamento alle 11, per il resto io e la Manu abbiamo fatto di tutto per perderci. Su e giù dai ponti, in vie strette che non ci si passa in due e improvvise piazzette, a spiare artigiani al lavoro, guardare dolci colorati in vetrina, ammirare la tomba di Canova, bere un caffè con il cocco in un bar pieno di giovani veneziani. E poi arrivare in San Marco passando dalla calle dello shopping e stupirsi, in Basilica, di quanto siano bui quei mosaici che dovrebbero accecare e di quanto siano consumati quei bellissimi pavimenti. Sederci sulle passerelle ancora montate, inutili, perchè l'acqua alta era già passata. Scoprire un Kubrick fotografo, riattraversare la città scordandoci delle linee rette per tornare in stazione, a pomeriggio inoltrato.
Turiste, in mezzo a veri turisti dalle mille lingue, professionisti della fotografia totale, anche solo per una mezza forma di parmigiano messa in vetrina. Ma senza la loro ansia di non farsi scappare nulla, perchè è stato un ritorno, perchè la città è veramente vicina, a ben pensarci.
Nel mezzo, la promessa di un lavoro in Yemen. Un lavoro bellissimo e fatto così come deve essere fatto, con tutto il tempo che occorre, in una terra difficile, in cui le donne valgono zero. In una moschea, per giunta. Ma un lavoro che si farà, in quel luogo fuori dai tempi, in un luogo in cui anche io mi rifugerei per osservarlo da vicino.
Quel lavoro che qui da noi, come deve essere fatto, non esiste più. Ce lo hanno detto i mosaici grigi della Basilica, i marmi tristi della tomba di Canova, gli stucchi neri della piazza San Marco. Ce lo hanno detto i crolli di Pompei. Quel lavoro che non c'è in Italia, che si va a fare nella profonda Penisola Arabica.
Probabilmente si fa per quei turisti avidi. Per non farli morire di emozione.

venerdì 5 novembre 2010

NostalgYa canaglia

Un anno fa era New York.
Il volo, un tragitto di un'ora verso Harlem tra il traffico nelle mani di un tassista pazzo, giù le valigie all'ultimo piano di una casa stile Robinson e l'impatto con la metropolitana. E poi...Times Square.
Al quel punto eravamo già completamente innamorati.
Eravamo sul finire di agosto quando l'idea mi è stata buttata lì, come per caso.
Mi ricordo il dialogo.
"Noi abbiamo intenzione di andare a vedere Bruce a New York, a novembre"
"Bastardi"
"Vieni anche tu"
"Sèèèèèè"
A questo seguì una notte di pensieri, dalla quale mi svegliai con il sorriso: perchè no? Un giro in agenzia, tre biglietti fermati, una guida comprata. Era il momento di acchiappare il sogno al volo, tra poco solo la casa avrebbe riempito tutti i miei pensieri e svuotato tutte le mie tasche.
Un anno dopo sono piena di ricordi. Di quella settimana ho milioni di frammenti e di lunghi momenti. Persino la stanchezza della turista avida di esplorazione.
Ero una sherry darling nel centro del mondo. E oggi sono travolta dalla nostalgia.

giovedì 4 novembre 2010

Cantare d'amore

Erano trascorsi dieci anni, dacchè avevo smesso. Poi una mail, poi un sms, e allora mercoledì scorso, alle 21, ho preso le chiavi della macchina e son tornata. Questo mercoledì, lo stesso. E stavolta eravamo di più, eravamo visi che fino a quei dieci anni fa vedevo regolarmente, eravamo storie che son proseguite in mille direzioni, ma eravamo di nuovo lì.
La notte di Natale ho un impegno. La passerò, per buona parte, in chiesa. A cantare.
E' strano, da quel mondo mi sono allontanata in modo tangenziale, in questi dieci anni. L'infanzia e l'adolescenza all'oratorio, poi anche da educatrice, la catechesi, gli incontri a Milano. E il canto. Poi basta. L'ho fatto perchè non credevo più a nulla di quel mondo. L'ho fatto anche perchè quel mondo significava amici e compagnia che poi si è disgregata, certamente.
Eppure.
Tornare in quel salone, seduta su quelle panche disposte sempre nello stesso modo, vedere Filippo tirar fuori sempre lo stesso raccoglitore, e poi cantare quelle canzoni, con quelle ragazze ormai donne...è stato come essere investita da un'antica onda emotiva. I canti sembravano quasi incisi, in mezzo a tutte quelle parole, quei gesti osservati che tutte noi conosciamo bene, quei riti immutabili.
Cantare a occhi chiusi, e poi tornare a casa con la radio spenta, perchè non vuoi sentire altro che quelle voci.
Sì, a Natale ho un impegno. Speriamo che il 25 non si debba cercare d'urgenza un vetraio.

lunedì 1 novembre 2010

Fette di jambòn

Sì, davvero, è un Paese molto strano, il nostro. Siamo scandalizzati per una sordida storiella che non fa altro che riconfermare la sex-addiction del nostro premier. Anche se a forza di smentite e di negazioni c'è ancora qualcuno tra noi che quasi quasi non ci crede. Ma continuiamo a restare schiacciati da uno stipendio che non basta più, dalla disoccupazione, dalle crisi che investono tutti i settori possibili e immagibili, dalle spese ridotte all'essenziale, dal taglio del superfluo, da parlamentari che badano solo a salvaguardare il proprio culetto sorvolando su tutto questo.
Però. Forse ci voleva qualcosa a muovere lo schifo dal profondo per scuoterci. Forse qualcosa che colpisce...come dire...lo stomaco come un pugno per svegliarci dal letargo, guardare oltre il giochetto delle tre carte che ci nasconde una realtà un po' puzzolente (e a Napoli ne sanno qualcosa).
Anzi, molto spesso è bastato solo il contrario. Un comportamento che non ci piace offusca il resto. E' come un collega, un professionista del suo mestiere, che però non riesci ad apprezzare per i suoi modi di fare. Ti fermi lì alla sensazione e non riesci a guardare oltre, anche sforzandoti.
Oggi anche i francesi scrivono di noi. Sì, quei maledetti, quegli odiati, quegli insopportabili snob per antonomasia. "Ad essere colpita non è solo l'immagine del presidente del Consiglio, ma l'immagine dell'Italia", pubblica Le Monde. "Il ripetersi degli scandali giudiziari e sessuali pone una questione legata alla dignità".
Ad un tratto, mi sono accorta che tutti i francesi che ho incontrato nella vita sono delle brave persone.