venerdì 23 novembre 2018

25 Novembre sempre

Un giorno lui se ne andò.
Un giorno come tanti, un giorno uguale ad altri, un giorno senza particolari ricorrenze, senza ricordi di dolore, lui uscì di casa e non tornò.
Nessun presentimento, nessun indizio da collegare anche a posteriori, con il senno di poi. Nessuna avvisaglia di un abbandono improvviso, immotivato, senza alcun messaggio.

Se ne andò e basta.
E, visto che un uomo non è un'isola, si cercò una ragione nella famiglia, che fece muro e non volle dare spiegazioni. Negli amici molto meno, perchè quando una donna subisce un abbandono di questo genere può reagire in modi completamente differenti. E questa donna, di fronte a un'azione del genere, scelse di non parlare. Un silenzio pieno di rumore, però. Il frastuono di domande, l'uragano interiore che travolge. Lei rimase inchiodata, apparentemente immobile. Doveva pensare a un passo davanti all'altro, doveva ricordare a se stessa, tutti i momenti, che la terra sotto i piedi la teneva lì agganciata, mentre dentro tutto il resto la trascinava via.

I giorni, le settimane, i mesi passarono. Anni insieme, un matrimonio. una condivisione bruscamente interrotta, come se non ci fosse mai stata. Un ramo tranciato di netto. Una frattura. Un pezzo di vita che perde improvvisamente senso.
poi lui tornò, come se niente fosse. Aveva bisogno di pensare, disse. Una spiegazione assurda, mostruosa. Inaccettabile, per lei. Lei che continuava a vivere nel suo vento tempestoso e non poteva crederci. Le avrebbe tolto l'equilibrio che aveva precariamente conservato. Le avrebbe tolto la terra sotto i piedi.

Ma lì iniziò la violenza. Appostamenti lunghissimi fuori da casa, messaggi, chiamate. Tantissime, a tutte le ore. Lui era ovunque. La inseguiva ovunque, la osservava sempre. Lei continuò a tacere. Sai, la gente non capisce. Se parli con qualcuno, la colpa è anche tua. Avrai pur fatto qualcosa, no? Chissà cosa hai combinato. Te lo sarai meritato.
Lei trovò soluzioni senza dover dare troppe spiegazioni. Il corso in palestra? Passa tu a prendermi, per favore, sei di strada. La spesa con la madre, sempre. Gli amici a casa mia. Il tragitto casa-lavoro e pochissimo di più.
Ma una sera lei rientrò in casa e la trovò devastata. il divano sventrato, le applique sradicate dal muro, gli armadi aperti, tutto sparso in giro. Persino le piastrelle rotte, i mobili graffiati, le ante sradicate, lo specchio in frantumi. No, non erano ladri. Non erano zingari. Erano le chiavi del marito che ancora aprivano la porta.

Lei non disse nulla. Nemmeno alla propria famiglia. Si affidò a pochissime persone di grandissima fiducia, fece ordine, cambiò la serratura e piano piano rimise tutto a posto. Chiese la separazione e aprì le pratiche del divorzio breve. Non aveva più bisogno di pensare a come stare in piedi: adesso sapeva come camminare, che direzione prendere. Ci furono mille ostacoli, il divorzio non voleva essere concesso. Ricomparve la famiglia da dietro un muro, l'apparenza prima di tutto.

Lei promise a se stessa di non ricadere più nello stesso errore. L'amore non esiste, posso farne a meno se è questo, se può portare a questo. Ma non rimase da sola. Gli appostamenti non finirono, continuarono con una discontinuità ancora più sconfortante di prima. E quella sensazione di essere continuamente osservata, spiata, seguita, non finì. Quindi lei decise di convivere con un'altra persona. Ci stava bene, ma non era amore. Lei lo disse, a quelle fidatissime persone. E continuò a tacere.

Ma la vita restituisce in modi del tutto imprevedibili. Lei si accorse, lentamente, con stupore, delle attenzioni di una persona che, come lei, aveva scelto il silenzio, per i propri sentimenti. Una persona che lei conosceva da sempre, una persona che l'aveva sempre amata. Che forse aveva bisogno di tempo, di consapevolezza, per capire che l'avrebbe protetta per sempre, che sarebbe stata in grado di dare a lei quell'amore che non nasconde un lato oscuro. Anche lui aveva bisogno di tempo. O forse rispettò solo quelli di lei, aspettò che lei camminasse un'altra volta, da sola e definitivamente, senza più bisogno di nessuno accanto. Aspettò che il rumore di fondo cessasse, che lei aprisse gli occhi e che il suo sguardo fosse di nuovo pronto a guardare l'orizzonte. E da questa nuova vita ne nascerà un'altra.

Questa è una storia di pura invenzione. O forse no. Chissà.
Il vero protagonista è il silenzio. Quello rumoroso di mille domande, quello dei pianti contro il cuscino, quello che non fa pensare lucidamente. E' quello carico di sensi di colpa, di analisi continue.
E' quello della vergogna. E' quello imposto dalla società che non deve sapere, perchè è sicuramente colpa tua. No, non è un'ipotesi tra tante: è una condanna scritta e già emessa. La lettera scarlatta che prima o poi qualcuno tira fuori con il sorriso storto di chi la sa lunga, di chi ne sa di più.

Il segreto è camminarci sopra. La propria direzione, un passo avanti all'altro, lo sguardo verso l'orizzonte, io al centro. Quel rumore svanirà del tutto. Perchè, in realtà, non dovrebbe nemmeno esserci, se non fosse per il giudizio continuo che la nostra mente si trova ad avere costantemente a che fare.

giovedì 15 novembre 2018

Caviale per Natale

Mi è stato chiesto di pensare a cosa desidero ricevere per Natale. 

La storia della wishlist è sicuramente scritta anche qui, da qualche parte. 
Ogni anno esprimo desideri piccoli e grandi e grandissimi, li avrò pure fermati sul blog, uno di questi anni!
In casa conservo anche quella che mi serve a completare la casa in cui vivo, senza includere il rene che avevo promesso nei miei primissimi post. 

Al momento mi viene in mente una scatolina di caviale. Ma vero, però. Non uova di lompo. 
Perchè a Natale è sempre così. Chiedevi pantajazz e arrivavano fuseaux. Il pellicciotto sintetico era una mantella. Il silkepìl arrivava di un'altra marca. 
Chissà perchè. Probabilmente, sono sempre stata quella del "vabbè tanto è uguale". 
Anni a dissimulare piccole delusioni, con una faccia che non riesce a nasconderle. 
Anni ad essere considerata una piccola ingrata, forse. 

Anche se poi, a ben pensarci, i fuseaux li ho usati ugualmente, così come la mantella e l'epilatore, fino a sfinirlo. Così come i collant con la fascia contenitiva (non adesso, che servirebbero a comprimere qualsiasi cosa, ma a vent'anni, quando non c'era nulla da rimodellare), come la borsetta paralimpica, come il maglione bianco del mercato, il bagnoschiuma dall'aroma esagerato. 
Ho onorato fino in fondo il pensiero laterale avuto nei miei confronti, perchè...chi lo sa. Mi hanno insegnato così. Mi sembrava comunque giusto. Non potevo non farlo. 

Oggi non ricevo più tanti regali. Giustamente. Finalmente, anche. 
Sfortunatamente, non è aumentata la capacità di acquisto tanto da provvedere da me. 
Il rene ce l'ho ancora, ad esempio, ma la casa è ancora incompleta. 
L'importante, però, è continuare a guardare l'orizzonte, no?

mercoledì 14 novembre 2018

Razzismi al contrario

Non c'è un modo semplice per spiegare un viaggio a Capo Verde. Il secondo, per giunta.
Non saprei se definirlo in Africa, anche se una delle squadre di calcio delle Isola si chiama Africa Show. Del resto, anche loro non si definiscono africani, ma ci tengono a puntualizzare la loro essenza capoverdiana con una certa fierezza. La loro è una storia particolare, fatta di conquiste, fortini, passaggi di navi negriere, impero del sale, punto fondamentale del commercio portoghese nel mondo imperialista.

E non posso nemmeno generalizzare sulla nazione, ma parlare solo di Boa Vista. Certo, intere carriere sono basate sul nulla, ma mi sfilo molto volentieri (e poi...che carriera?). E quindi Boa. Rabìl per atterrare in un aeroporto praticamente senza tetto e per partecipare ad una bellissima festa di paese, Sal Rei per abitare, un fuoristrada per girare.

Mentre arrivavo in aereo, maledicendo gli alisei, il vento contrario, le turbolenze, sudando come un maialetto sullo spiedo e senza potermi attaccare a nessuno, mi chiedevo come avrei replicato. Si replica, di un viaggio nello stesso luogo? Cosa cambia, oltre all'aspettativa?
Non lo so. Mi sono immediatamente accorta quanto quella prima volta mi aveva lasciato. Il vento, ancora e su tutto. La strada da percorrere a piedi verso la spiaggia, le vie che cambio di continuo, la panetteria e l'asilo. La chiesa a lato della piazza, serve taxi? La scuola di capoeira e la nuova clinica. E la sabbia, e il mare.

Com'è?, mi hanno chiesto in tanti. E' la contraddizione di una città che cresce in disordine, tra facciate di tutti i colori e muri diroccati, vie ferme all'800 e hotel nuovi, una baraccopoli sempre più grande, i pulmini dei lavoratori verso gli sterminati villaggi, la spazzatura e la pulizia, la proposta varia ma in piccole quantità.
E la vitalità, il calcio e la musica e il kite, le escursioni, i quad, lo snorkeling, il windsurf. Case, appartamenti, B&B. Artigianato locale nascosto da quello di importazione. Bazar cinesi, birre gelate da 25 cl, riso e pesce e carne. Asini che traversano la strada.

Ma c'è molto di più. C'è qualcosa sopra. Il mare, la sabbia, il deserto. Piste, che ne ricalcano alcune da secoli, che percorrono letti asciutti di fiumi. Muri a secco di case senza più tetti.
C'è la Terra che respira, a Capo Verde. Ed è questo respiro, questo soffio continuo che il vento porta all'orecchio, scombina i capelli, stropiccia i vestiti, asciuga l'acqua del mare che chiama e chiede di fermarsi, di valutare l'importanza del superfluo, di restare.

Restare da stranieri, però. Perchè, nonostante l'Europa sia decisamente presente, è comunque lontana, e tu sei comunque un bianco che dee fare più file di altri, anche quelle che gli altri saltano. Che devi avere a che fare con tutta la burocrazia possibile, che altri non hanno. E' un po' come sperimentare un razzismo al contrario, capire cosa vuol dire essere in minoranza e non avere troppa solidarietà. Ma quello diventa il tuo posto, quella diventa la battaglia.

C'è una realtà, quella in cui siamo immersi, che mentre la viviamo ci sembra l'unica possibile.
Ma non è così. Ognuno di noi a molte possibilità, anche della stessa realtà che ci sembra impossibile da modificare. I viaggi sono un'ottima opportunità per scoprire che la vita può essere affrontata in molti modi. Boa Vista non fa giri di parole. Ma siamo pronti a liberarci del superfluo?