mercoledì 27 marzo 2013

Quella gioia della Luigia

Ho incontrato la Luigia, l'altra sera.
Io tornavo a casa dopo la cena dai miei, faceva freddo e i miei unici pensieri erano di entrare in casa, portar fuori la spazzatura e tuffarmi definitivamente sul divano. Scale dal parcheggio interno salite in fretta, chiave del portone individuate nel mazzo, pensiero sul telefilm da guardare, quando vedo lei uscire dal suo, di portone, stampella accomodata sulla destra e guinzaglio nella mano sinistra.
Non era stata bene, la Luigia, quest'inverno, e nonostante la frettolosità, la superficialità dei nostri incontri, me n'ero accorta. Per più di un mese era stata ricoverata in ospedale, per una polmonite, che si è andata sommando a quei disturbi da vecchia-da-non-curare ribadito più volte dai medici. Ma il ricovero li ha costretti, questi simpatici dottori, a curarla, evidentemente. Perchè lei mi è arrivata vicina più velocemente, la sua schiena mi è sembrata meno curva, il suo tono più gioviale.
Abbiamo camminato insieme, per quel breve tratto di vialetto che separa la mia scala dalla sua. Mi ha detto che sì, sta bene, e che non mi vedeva da qualche tempo. E' vero, le ho detto, ho di nuovo cambiato orari, sto lavorando. Sai, adesso insegno.
A quel punto quella piccola donna, che per la società è solo una vecchia che non ha più nulla da dare, è sbocciata in un sorriso. Sono davvero molto felice per te, ha esclamato. Oh, come sono felice! Anche se ci vediamo poco, a voi (si riferiva a me e ad un'altra ragazza del palazzo) sono affezionata. Vi voglio bene e prego sempre per voi. Brava gioia, non ti preoccupare, vedrai che andrà meglio!
Sono sincera: mi sono commossa. La Luigia era davvero contenta, come se le avessi regalato qualcosa di raro e prezioso. La sua gioia mi ha toccato il cuore, così, con la stessa spontaneità manifestata da lei, l'ho abbracciata e le ho stampato due baci sulle guance.
Che forza, queste zitelle di condominio.

martedì 19 marzo 2013

Il Loto fiorisce nel fango

Domenica sono stata a Parma dalle cugine. Ester, Luana, Rosa e Yunais. 4 generazioni di donne: nonna e nonna bis, mamma e figliola. C'è stato un invito che ho accettato subito. Ho preso la macchina e sono andata, semplicemente.
Io le chiamo cugine, anche se tecnicamente è Rosa che lo è di papà. Noi, tutte le altre, veniamo dopo in gradazioni diverse della stessa categoria parentale. Ma Ester...

Non è sempre stato così. Per anni, lunghi, la considerazione reciproca è stata diversa. Io avevo anni da vivere davanti, lei aveva già qualcosa da archiviare e una rinascita da affrontare. Una seconda vita che ha incontrato per caso, in un modo che non avrebbe mai immaginato, che l'ha lasciata a bocca aperta. Spogliandola di modi arroganti e di fatiche e rivestendola, poco alla volta, un passo alla volta, di luce.
Luce: mi piace considerarla così. Perchè Ester è questo: tutti i colori dell'arcobaleno. Un prisma che arriva fino a me, nonostante i 100 e passa km di distanza. Lei mi sente, mi chiama, mi ascolta.

Sembra facile, vero? E invece no, non lo è per niente. Io le chiedo perchè non ho un posto nel mondo e lei me lo spiega, ribaltando tutto. Lo fa con me esattamente come lo ha fatto con se stessa, dopo un divorzio, una vita ricostruita da zero, un bilancio da far quadrare sulle spalle, una figlia che va a vivere dall'altra parte del mondo, un tumore al seno. Tutto osservato da un altro punto di vista, tutto riconsiderato e tutto accolto con gratitudine, perchè ogni aspetto del suo vissuto, per quanto doloroso, le ha insegnato molto.

Io arrivo con l'inquietudine e trovo loro 4, Paco il cane e Memole la gatta, il pane da andare a predere con veloce aperitivo annesso, un risotto e mille rivoli di chiacchiere e una festa di compleanno per 6, splendidi, anni insieme a vicine e bambini allegri. Parlo e ascolto e la mia curiosità è attratta da mille particolari. Un paio di scarpe blu e cuoio, una siamese che mi bacia sui capelli, una donnina che attacca stickers da un libro appena regalato come se fosse necessario perhè la giornata possa andar avanti tranquillamente, una giovane mamma che racconta del nuovo lavoro che le occupa tanta parte della giornata  ma non importa, una tranquilla signora che mi racconta ricordi di scuola, una ragazza bellissima che potrebbe essere l'incarnazione della Sirenetta, dall'accento napoletano irresistibile.

Fuori piove, ma a nessuna di noi importa. I loro occhi brillano e mi restituiscono pezzi di mondo totalmente differenti, ai margini di questo grande parco nel cuore della città. Niente è superato una volta per tutte, ma niente è definitivo. La soluzione c'è, ma segue percorsi insondabili, differenti, ingarbugliati e sempre sorprendenti. Piove, e quell'acqua lieve, mista a neve sull'autostrada del ritorno, scioglie lentamente l'inquietudine. Si scioglie anche in qualche lacrima, per la verità. E mi regala proprio quello che cercavo: una nuova prospettiva.

La domenica è volata via così, dopo un pranzo, una fetta di meravigliosa torta e un trancio di pizza, un bicchiere di prosecco che straborda e due dita picchiettate sul collo, perchè porta fortuna. E un abbraccio accanto all'auto, prima di ripartire: sei libera e sei intelligente, e la tua natura non ti abbandonerà mai.
Il mondo sarebbe migliore, se fosse in mano alle donne.

domenica 17 marzo 2013

...e SEO domani...

Scrivere sul web non è come scrivere su carta.
La tua attenzione non inizia in alto a sinistra, come succede quando si apre un giornale, una rivista, un libro, ma è totale, centrale, onnicomprensiva. E in questo tutto si cercano punti di riferimento, ancore, segni discontinui che colpiscano più di altri, che creino una nuova priorità.

Il contenuto è il re, diceva ieri Alessio, di www.spregiudicata.it, ma non basta. Certo, la lasagna è importante, ma un piatto, una bella tavola e un buon vino, una candela e la giusta atmosfera fanno il resto. Conoscenza degli strumenti, conoscenza della materia, promozione delle proprie idee. Imparando un nuovo linguaggio, partendo da un nuovo punto di vista e per nuovi modi di "guardare".

Alla luce della lunga seduta preliminare d'approccio alla materia, tra un bacio di dama, una fetta di salame e un'oliva e poi, dopo pranzo e un bel piatto di trofie radicchio e taleggio, apro il blog e mi accorgo dei miei numerosi errori.

Questi miei piccoli interventi non offrono grossi spunti ipertestuali, gli stessi che pretendo dai miei novelli studenti. Racconto e raccordo, ma solo nella mia testa. Non ci sono foto, non ho parole chiave segnalate, non rimando a nulla. Ma se sulla carta scripta manent una volta per tutte, qui si può sempre rimediare.

Alessio è spiritoso, chiaro, preciso e ci ha dolcemente ma fermanente obbligato all'ascolto. Io, Silvia e Giusy non abbiamo fatto troppa fatica a seguirlo, anzi. Il sabato, quello di ieri, è scivolato via con piacere e curiosità. Sappiamo che è solo l'inizio, che la lezione è stata a prova di dummies, cioè a prova di Sabrina.

venerdì 15 marzo 2013

Back to school

E' la sua prima esperienza?
Sì.
Qual è il suo mestiere?
Sono...sarei...sono una giornalista.
Da domani, quando è qui, si dimentichi di essere giornalista.

Iniziamo bene.
L'impatto con l'istituzione di più alto grado non è stato il massimo. Forse perchè nel giro di un giorno ha preteso che tutti i miei impegni in corso fossero cancellati. Ma questa in realtà è la prassi.
Sarà stato il tono, ma ho scoperto di non averne per niente l'esclusiva.
No. Sarà stato quel modo-misto-a-minaccia di avvertirmi di essere la terza a percepire uno stipendio per un posto (non la terza in ordine, la terza in contemporanea) e l'ultima possibilità di domare un certo numero di piccole belve.

Eccola, allora, la domatrice. Come rendere piacevole l'esordio di una nuova avventura. Poche ansie, proprio. Ma tant'è. Ho iniziato e mi riservo il primo vero bilancio a dopo Pasqua. E di riprendermi dai veri schiaffi in faccia: maleducazione, arroganza, assoluta mancanza di rispetto di questi tredicenni. Hanno vent'anni di meno e una malizia ai cui livelli non potrei mai arrivare.

Intanto ho iniziato finalmente ad abituarmici: sono professoressa. E' arrivata dopo la consapevolezza di esser capace di fare anche questo. Anche se la teoria, là dentro, non serve a molto. Del resto, chi doma belve non può permettersi di persarci su troppo.

mercoledì 13 marzo 2013

Panta rei

Il telefono squilla e nel giro di 30 minuti mi fornisce una motivazione più che valida per scardinarmi da casa, dove le tapparelle disegnano bolle chiare e ordinate sul pavimento e sui mobili.
Mi ritrovo a camminare sul Naviglio, e a parlare con persone che desiderano ascoltarmi.
E lo faccio, racconto loro una moltitudine di cose così come sgorgano dalla mia mente. Una corrente di pensieri che stride enormemente con la secca totale del canale, a Boffalora. Una secca che scopre un letto pieno di sassi e fango secco, che sa di cozze e che sembra davvero molto innaturale.
Il sole è caldo, finalmente: la primavera fa i suoi primi passi, quelli timidi e pieni di dietrofront tipici del mese pazzerello. Il sole è caldo, è domenica e io parlo. Mi chiedo se questo fluire incessante di parole sia utile, sia richiesto, se non stia annoiando i miei ascoltatori. Ma loro ascoltano e chiedono, e incoraggiano i momentanei incagli. Camminiamo così, in formazione disordinata e sempre mutevole, per ascoltarci meglio gli uni con gli altri e arriviamo sotto i ponti dell'autostrada e della ferrovia, verde e blu. E proprio appena prima una pozza ha resistito, in mezzo a tutto quell'asciutto. Una lacrima in un letto vuoto, piena di alghe. Dentro la pozza quattro bambini coi pantaloni arrotolati fino alle cosce. Uno di loro è senza stivaloni, gli altri tre, invece, li hanno, stivali da pescatore adatti alla loro misura ridotta. Guardano attraverso l'acqua scura e verde di piante acquatiche, con bastoni e retine in mano. E si confrontano. Sulla riva, molte persone camminano come noi, o corrono, o pedalano. Tutti guardano i quattro bambini, così diversi tra loro, così concentrati su ciò che accade al di sotto del velo acquatico. Così impegnati a darsi solo istruzioni. A loro non serve un fiume di parole.
Anni fa la gente mangiava all'arrivo della secca del Naviglio, mi dice martedì papà. Faccio una smorfia di orrore, lui mi vede e precede le mie obiezioni. L'acqua era pulita, e c'erano molti più pesci, mi dice. Io richiudo la bocca e penso ai quattro ragazzini. Si sono persi molto, chissà che festa, se fosse ancora così. Ma si divertono comunque, ancora, con azioni ripetute prima di loro chissà quante volte, da chissà quanto tempo. Il segreto è sempre quello: lo stupore. Per una domenica di sole, per una secca osservata da un argine affollato, per un divertimento che sa di antico.