giovedì 30 settembre 2010

Quello che fai ti torna indietro.

Allo stadio c'è proprio di tutto. Ce ne sono proprio di tutti i tipi.
Ci sono persone che ormai mi conoscono e mi salutano con gradi diversi di affetto. Ci sono le persone furbe, ci sono le persone potenti, che dal tempio della politica arrivano magicamente al tempio del calcio in tempi da record e sicuramente con mezzi che a noi, umani...
E poi ci sono le brutte persone. Quelle che ti han fatto male e che ti ritrovi ANCHE lì. Ci sono dei fatti positivi, però.
1 - Constati che niente è cambiato e che resta, solo a vederlo, un bel po' dimesso.
2 - In quel luogo ho io il potere.
3 - Lo ringrazi, perchè ti ha fatto male. E' stato il datore di lavoro peggiore del mondo, che non ho mai denunciato per mobbing. Ma lo ringrazio, appunto, perchè ora lo farei subito e lo rovinerei.
Ergo, anche lui dovrebbe ringraziare me.

martedì 28 settembre 2010

Superclassifiche

Sono in una fase sospesa, una zona di pigritudine periodica. Mi assale ciclicamente. Ormai ci sono abituata, è il mio carattere, che se avesse forma sarebbe un'onda, con passi a volte anche altissimi. "Un giorno sul pero, un giorno sul melo", per dirla semplicemente. Iperattività e quiete, anche. Non solo per quanto riguarda l'umore, dunque.
Insomma, entro in questa nuova casa e, pur sapendo benissimo che le cose da fare restano sempre 1000 e una, tiro il freno a mano. Forse perchè devo avere il tempo di registrare, assimilare, capire. Per il momento, infatti, è come se fossi in vacanza. Ho fatto le valigie e sono in trasferta a lavorare e alloggio lì. Il che è anche abbastanza divertente, visto che non mi ricordo mai in che cassetto della cucina ci sono determinate cose e finisco per aprirli tutti e non ho le misure delle stanze, quindi ho già assaggiato qualche spigolo. La sera, lavoro permettendo, vado a mangiare a "casa" e resto lì, seduta in cucina o in sala, anche quando tutti vanno a dormire, indugiando. E poi me ne vado.
La mia testa, però, non ha mai questi attimi di quiete, anzi. Proprio in momenti come questi è un motore a pieno regime. E allora che faccio? Semplice. Faccio liste. Liste su qualsiasi cosa. Liste della spesa. Liste di quello che manca in casa. Liste di cose da fare, documenti da sistemare, foto da appendere, incombenze che includono il dentista, il Comune, il meccanico magari. Liste di lavori da aggiungere al lavoro, per aumentare il potere di acquisto e assottigliare le altre liste. Classifiche di priorità, con le voci che prendo e sposto, porto su e giù, cancello e rimetto.
Che novità. Pensare alle "cose da fare" fa parte di ognuno di noi. C'è anche chi ci ha scritto qualche libro. C'è che le fa e poi le rispetta, perchè è un meticoloso e si prefigge degli obiettivi che restano incrollabili. C'è chi, come me, le fa e le disfa, le scombina e le confonde e poi le rimette insieme, anche se certi punti fermi se li tiene. Alla fine, credo, sono quelli che ti danno un motivo per alzarti la mattina.

venerdì 24 settembre 2010

My Home Day

Per me il 23 settembre 2010 resterà una data da ricordare.
Niente di eccezionale, niente che molti prima di me non abbiano fatto e che moltissimi dopo di me faranno. Ma si sa, gli eventi acquistano straordinarietà nel nostro tessuto personale e non tanto in quanto fatti in sè, e nella mia vita questo evento è decisamente importante.
Insomma, ieri sera è iniziata la mia vita. Quello spazio, cioè, che è solo mio e soltanto mio, in un luogo che è mio, e soltanto mio, con tutte le responsabilità e le difficoltà del caso.
Per ora, però, riesco a cogliere la felicità di questo attimo. Quell'allegro stupore di svegliarsi ripetutamente, nella notte, e controllare di continuo l'ora. Di costatare di essere di nuovo nel mio letto, ma in un luogo nuovo, in uno spazio desiderato e voluto e che diventerà sempre di più come l'ho pensato. Di ascoltare, in silenzio, un silenzio mai sentito prima, fatto di ronzii e piccoli rumori, vicini e lontani. Di guardare con un occhio chiuso la luce che cambia, dai buchi in alto delle tapparelle, che non avevo più da quando ero bambina. E poi di alzarmi e preparare un caffè che non berrò, perchè la caffettiera è nuova. E di accendere la radio e pensare la giornata, la stessa di quelle che l'hanno preceduta. Desisamente da un'altra prospettiva, però. La mia.

martedì 21 settembre 2010

Bella zia

Sono la 007 dei reparti maternità. Riesco sempre ad intrufolarmi in orari impensabili e trovare i miei tesori e le mamme del mio cuore senza che l'infermiera-megera, che esiste in tutti gli ospedali del mondo, mi fermi.
L'ultima impresa risale a ieri. Il nosocomio in questione è il San Carlo Borromeo, che raggiungo lanciando la mitica C2 sulle tangenziali a tutto regime e a tutto volume radiofonico. Trovo una porta chiusa, ma scendo di un piano ed entro da un'altra parte. Dietro di me, 3 parenti speranzosi di un'altra neomamma vengono fermati dall'infermiera-megera in questione, che mi passa a fianco a passo di nazista ignorandomi. Io, camicia ARANCIO e con il viso seminascosto dalla rivista che porto a Maria.
E poi ecco che mi infilo in camera, e lì, nascosta nell'angolo del lavandino, ho tutto il tempo per sciogliermi per bene. Eccoli lì, mamma e papà e tutto il loro Amore. Che si incarna in questa piccola bimba perfetta, liscia e morbida come una pesca, che sospira e si gode le carezze, che sembra ascoltarci a occhi chiusi. Poi lui, ad un tratto, quasi con noncuranza, mi dice: la vuoi prendere? Ed ecco che è tra le mie braccia.
E' bellissima. La stringo piano e, in un solo istante...sono completamente innamorata. Persa. Kaputt. E mi ritrovo a ripetere a Maria che è bravissima, bravissima, come un pappagallo con l'Alzheimer.
Mi sento molto fortunata. Sono circondata dall'Amore. C'è Anita, tranquilla tra le mie braccia. C'è Aurora, che ho visto oggi in foto. Ci sarà presto Martino, tra qualche giorno. E poi ci sono Matilde e la sua mamma Virginia e Leon, che domenica sera al telefono alternava un "ciao" e un "halòò?". Niente mi commuove di più della vita che inizia.

domenica 19 settembre 2010

Gnozi seautòn

Non è sempre facile essere se stessi. A volte ci si adatta alle situazioni e alle persone, che ci rubano pezzettini di noi, cambiano la nosta personalità, a volte impercettibilmente, a volte in modo assolutamente indolore, e la perdita di identità ti si ripropone poi all'improvviso, lasciandoti come in mezzo ad una strada.
Io ce l'ho con te. Per te ho cambiato le mie abitudini, e ho cambiato compagnia di amici, ricominciando da zero e costruendo, anno, per anno, tutta una serie di rapporti, che adesso, per forza di cose, si sono interrotti. Ho iniziato da zero e ho mitigato quel tuo carattere chiuso e spigoloso, quel tuo non avere bisogno di niente e di nessuno, quel tuo essere isola in mezzo alla tempesta. Ti ho fatto ragionare, ti ho fatto capire che c'è bisogno di tanto affetto, nella vita, che arrivi da persone diverse. Hai conosciuto altre persone, tu mi hai fatto crescere, ma io ho fatto crescere te. E adesso pensa che paradosso: tu ti sei reso conto che tutto questo è vero, e io pago quella diffidenza che avevano in noi, la pago io, perchè tu sei rimasto lì al tuo posto e hai continuato a capire che gli amici sono fondamentali.
E ce l'ho anche con te. Eri la persona con una marcia in più, la proposta pronta, il sorriso, la parola giusta. Mi sono affidata completamente a te, ho sempre avuto bisogno di averti accanto. Ma delle tue cose non dicevi mai nulla. I disagi, i pensieri, anche la disapprovazione. Nulla. E poi ecco che tiri fuori tutto isieme e sparisci, come fa Izzie nella sesta stagione del nostro telefilm preferito. Ma vedi, Meredith dice una grande verità, per tutti: non si cammina sopra le persone, non si buttano via le persone. Eppure tu fai proprio come Izzie, te ne vai ugualmente.
Ma la colpa è unicamente mia. Invece di dire: no, è un compromesso cui non voglio scendere; oppure: no, forse è meglio che dica la mia...ho lasciato andare. Per il tuo bene, pensavo; e anche per il tuo. Ho lasciato perdere, non ho detto nulla, ma ho continuato a stare vicino a te, e anche a te.
E adesso sono da sola. E' scritto nelle stelle che debba arrangiarmi da sola, forse. Ma adesso lotto per far capire agli amici, gli altri, che sono diversa dal ruolo che ero andata a ricoprire vicino a voi.
Nessuno dovrebbe mai mettersi da parte.

venerdì 17 settembre 2010

Conosci te stesso

Eccoci qua. In una foto scura scura, perchè scattata di notte e con una macchina fotografica a rullino. Poteva essere il 1997, o il 1998. Dovevamo essere in piazza e doveva essere inverno, non solo per la stella cometa che si vede sopra le nostre teste, ma anche per il cappotto della mia amica e per il mio giaccone. Fondo scuro, macchina rossa alle nostre spalle (Honda Civic, quella del Bara) e facce bianchissime, quasi stupite dal flash.
Avrò avuto 17 anni.
E' bastata una foto per scatenare i ricordi.
Liceale magrolina, senza trucco, capelli appena sotto la spalla, riga in mezzo.
Mi ricordo che mi sentivo invisibile, in una classe di non-amici. Un compagno di classe aveva dato un aggettivo ad ognuno di noi, e il mio era "incolore". Me la ricordo bene, quella sensazione di sentirsi sempre perfettamente sbagliata nel posto sbagliato.
Eppure, con quasi altrettanti anni alle spalle in più, so benissimo che non era così. Che ero questa Sabrina, proprio la stessa, ma ovviamente allora non lo sapevo. E che invisibile e incolore non ero. Al liceo c'erano anche gli amici, tanto per cominciare. Uno qualche tempo fa, e un altro molto recentemente, mi hanno restituito un'immagine di quello che ero decisamente migliore di quella che dipingevo io stessa. E poi c'erano gli amici fuori dalla scuola, come l'autore di questa foto, che mi ha scritto: ecco qui i miei angeli.
Che grande cosa è l'autostima.

giovedì 16 settembre 2010

Gesti d'Amore

Mi mancano le tue parole. Lo scrive il mio amico alla fidanzata lontana per lavoro. E lei risponde: mi manchi tu.
Sonnecchia, invece, la mia amica quasi al termine della gravidanza, appoggiata alla spalla del suo compagno. Lo aveva guardato prima, lo fa un'altra volta aprendo un occhio, cambiando lievemente posizione.
Non c'è nulla di straordinario in un messaggio, niente di eclatante in una tranquilla serata tra amici, davanti a una pizza. Eppure mi sono sentita spettatrice di spettacoli unici.
Ci sono rapporti che vanno avanti per forza di inerzia. Quanti ne ho visti! Quanti hanno retto per abitudine, per affetto, finche l'uno, o l'altro, o entrambi...sono finiti. Ci sono anche stati matrimoni decisi come diversivo, per dare "una botta di vita" alla storia. Non parliamo dei figli, poi, usati come scudi umani per nascondere un sentimento inesistente. Che poi crescono con qualche mattoncino in meno, tra le fondamenta della vita.
Insomma, dov'è l'Amore, mi vien spesso da chiedermi. Non è la favola, quella favola con cui ci siamo trastullate da piccole. Una ci crede ancora a 20 anni, poi piano piano capisce che la realtà è tutt'altra cosa. Già, ma cosa?
Mi rifiuto, con tutta me stessa, ad abbandonarmi al cinismo. Assisto a naufragi familiari impietrita, partecipo di un dolore che potrebbe essere il mio, davvero. Ogni volta è un brivido lungo la schiena: nessuno scherza con i sentimenti, nessuno ha le istruzioni per l'uso.
Ma poi succede. Di nuovo, ogni volta, inaspettatamente. Mi mancano le tue parole. Ti guardo, e sei qui. Bacio il piedino di mio figlio, che dorme, nel suo vestitino battesimale. Mi sposo e volevo dirlo alle amiche tutte insieme. Carezzo quei capelli, un po' arruffati.
C'è il sorriso, spontaneo e non comandato da nessuna cellula del cervello, diverso. Ma, soprattutto, ci sono gli occhi: luminosi, splendenti. Ogni volta mi colpiscono nel profondo, come se li avessi osservati per la prima volta. Occhi d'Amore.

martedì 14 settembre 2010

Cartoline dal Belgio

La regione del Limburg. La Vallonia. Ex miniere di carbone, le vedi da lontano perchè le carrucole degli ascensori, accoppiate, sono altissime e ora illuminate, e ora chiuse. In questo secondo venerdì di settembre, un po' freddino, si decide di visitare quella di Beringen, una delle nove della provincia, chiusa dal 1989, definitivamente. Tutto sepolto là sotto da un'enorme colata di sabbia e cemento che ha colmato il pozzo dell'ascensore. Treni, attrezzature, milioni e milioni di tonnellate di ferro, e legno, e macchine rimasti nel ventre della terra fiamminga. Troppo costoso estrarre tutto.
Si potrebbe pensare: dimenticate, ma non è così. Alla miniera c'è ancora molta vita. Sono gli ex minatori, che da volontari tengono viva la memoria. Quella di 7000 persone che a turni, per 8 ore al giorno, si cambiavano, ritiravano la lampada, la pila di alimentazione e il "pico", cioè la punta del martello pneumatico, controllavano con gli ingenieri la loro posizione e poi scendevano nella stazione sotterranea, a prendere il treno che li avrebbe portati a bucare ed estrarre pietre anche pancia a terra. Un fazzolettone rosso legato sul viso, la massima attenzione contro le fughe di gas, la lotta contro una temperatura media di 40 gradi, e il rumore. Dei martelli, delle ventole, dei nastri trasportatori, dei carrelli sui binari, dei trapani e delle escavatrici.
siamo fortunati, perchè a raccontarci tutto questo è un italiano, uno dei migliaia arrivati qui in tempo di guerra. Si chiama Rocco, è di Potenza, è arrivato nel '46 dopo due anni di prigionia in Germania e faceva anche il calzolaio. Ha lavorato lì sotto per 25 anni. E ora ne ha 86. E' piccolo di statura, ma cammina ben dritto sulla schiena, ed è un fiume in piena, nel suo italiano colorito da un lucano mai dimenticato. Le sue parole ci sembrano pietre, come quelle che frantumava ed estraeva più che poteva, perchè solo così poteva guadagnare di più.
E' in pensione, ma la miniera resta la sua casa, il Belgio è la sua casa. E l'Italia? Sì, gli manca, ma lì non c'è più nessuno ad aspettarlo. a sua vita è lì.
Da quando l'ho incontrato mi frulla in testa sempre la stessa ovvietà: "sempre meglio che lavorare in miniera". Ecco. Ci sarebbe un buon, buon, buon numero di persone che manderei anche solo a vedere. Le parole sono proprio pietre.

lunedì 6 settembre 2010

Synpàzeia

Simpatia. E' una parola che ha perso la sua forza, progressivamente. Chi la usa, adesso, intende un sentimento positivo ma tiepido verso quello cui si riferisce. Una persona simpatica, spesso, deve avere altre qualità di supporto, per non restare nello sfondo di una conoscenza.
E invece la parola ha un significato molto forte. Significa "soffrire insieme". Implica una partecipazione emotiva decisa, senza tentennamenti. Uno slancio, una decisione. Tengo a te, patisco con te, ti sostengo e condivido il tuo dolore.
Dedico questo post a te, che stai soffrendo e che continui a farlo da mesi, e mesi.
Saperti così fa male al cuore. Perchè so che non posso fare nulla, perchè so che la svolta, la luce necessaria a squarciare questo buio, deve venire direttamente da te. Non posso far altro che starti accanto e assicurarti, adesso ma anche dopo e sempre, che io ci sono, sono qui e non mi muovo. Che ti regalerei un po' di sana ignoranza, anche questa nel suo significato profondo. Perchè a volte il non sapere e il non conoscere possono evitarti nuovi dolori. Mi piacerebbe regalarti un giorno senza pensieri, un giorno da riempire di novità, senza nessun bagaglio pesante da portari appresso.
Nel frattempo, sono qui. Con simpatia.

venerdì 3 settembre 2010

Stupore

Mi stupisco di tutto. Stasera tornavo a casa, e sulla A4 c'era un lungo serpentone di auto, tra Sesto San Giovanni e Cormano. Una cosa che so talmente bene che è quasi dentro di me, ma ad un certo punto, dove quel tratto urbano passa sotto il ponte pedonale del Parco Nord e scende un po' di livello, il sole arancio e al tramonto ha colpito tutte quelle carrozzerie lente, da una parte e dall'altra, e le ha colorate dello stesso identico colore. Mi stupisco proprio di tutto.
Al mare io e Naika abbiamo letto un bellissimo articolo sulle emozioni. Lo stupore c'era. Era raccontato da una poetessa, che ha l'abitudine di appuntarsi su un quadernetto tutto quello che la stupisce. Ecco, magari il tramonto sul traffico non rientrerebbe tra le note da tenere, eppure...
Quando penso a Milano, per esempio, mi vengono in mente gli alberi dei viali, il profumo della siepe fuori dalla radio e quello intenso, del biancospino, di viale Fulvio Testi, a maggio. Mi vengono in mente le scarpe, quelle dei pendolari che guardo immancabilmente tutte le volte che salgo in metropolitana. Le insegne dei negozi, un tripudio di fantasia. L'asfalto dei marciapiedi che i tacchi bucano quando fa caldo. Quando mi alzo all'alba, mi stupisco sempre della limpidezza del cielo alle 7 di mattina, quando esco al volo per una colazione al bar di Angelo, appena aperto.
Mi stupisco di tutto. Mi stupisco dei gesti delle altre persone, delle belle parole, quando sono sincere. Del piacere di ritrovarsi dopo le vacanze, di gentilezze al telefono, di sorrisi incrociati di sfuggita. Dell'emozione di incontrare chi mi portava all'asilo con il pulmino a Sedriano a decenni di distanza, abbracciarlo senza vergogna come avrei fatto allora, quando ero alta 80 centimentri.
Mi stupisco anche di fronte a un altro tipo di gesto, quello del tutto ispiegabile. Quei comportamenti che non hanno capo nè coda che mi lasciano impalata e ferma con le braccia lunghe lunghe. Piuttosto che tirar conclusioni, in questo caso mi piace pensare a una distrazione, più facile. In ogni caso, mi stupisco anche di questo. E va bene così, perchè se non lo facessi il cinismo si impossesserebbe inesorabilmente di me.

mercoledì 1 settembre 2010

Astrattismi

Abituati a immaginare le nostre vite come linee. Rette, che camminano anche fianco a fianco ma non si incontrano mai. O coincidenti, con diverse angolature. Lunghe o corte. Dritte o storte.
Invece, dei rapporti umani, io ho tutt'altra idea. Secondo me sono come cerchi. Grandi, se si tratta di solide amicizie, enormi, se si tratta di amori, sbiaditi se valgono poco, splendenti, anche brillanti, fosforescenti, al contrario. Alcuni crescono con il tempo, come se a generarli forse un sasso lanciato nell'acqua, e si intersecano con altri rapporti, creano scenari nuovi, colori nuovi, a volte inediti. Altri scompaiono dalla scena; o forse diventano invisibili, ma solo per un po'.
Certo sarebbe meglio se tutti 'sti rapporti fossero cerchi perfetti. Lo diceva anche Platone, alla fine: rotondi, perchè sintesi perfette. A dire il vero lui parlava di anime gemelle, che si fondono in un unico corpo. Però perchè non estendere il concetto a chi sta comunque vicino al mio cuore? Magari alcuni sono un po' ovali, altri un po' sbilenchi, come i Super Tele della mia infanzia. O sgonfi del tutto. Ma nel quadro di insieme ci stanno, no? Linee, cerchi e altri oggetti più o meno tondeggianti.
E io? più che un bel tratto dritto mi sento tutta curve. Avanti, a volte un po' indietro, con dei giri "immensi, che poi ritornano". Nessuna ortodossia, nessuna strada retta. Sai che noia.