domenica 29 marzo 2020

Le tre cose belle del giorno

Cercare di tirare un bilancio positivo della giornata è un esercizio che bisognerebbe fare sempre, non solo in tempo di isolamento forzato. A dire il vero, è qualcosa che mi sforzo di fare da molto tempo, anche se spesso dimentico di farlo ogni sera. Ricordare almeno tre cose belle dell'oggi è qualcosa che rimette a posto l'equilibrio dell'anima, quel piccolo aggiustamento che fa fare un respiro - almeno uno - più profondo.

Oggi lo leggo spesso, tra i contatti di Instagram, soprattutto. Perchè siamo tutti umani, e la meditazione dei 21 giorni che sto facendo in questo mese proprio oggi mi ha insegnato che, nonostante le profonde diversità che ci caratterizzano, siamo fatti della stessa sostanza, delle stesse molecole dell'universo. Siamo uno, insomma. E far parte di questa unicità mi regala anche un po' di armonia.

In più, ora che i pensieri finalmente hanno smesso di scontrarsi nella mia testa e ora che il ritmo è rallentato talmente tanto da permettermi di poter dedicare uno spazio alla volta anche alle cose materiali, i ricordi tornano alla mia mente con un ordine tutto loro, e sono sorprendenti. Arrivano e li accolgo con un'enorme gratitudine.

Oggi ci sono state molte cose belle. Ho ricevuto un messaggio di cuore, mi si chiedeva come sto, da sola. Ho capito una cosa fondamentale, oggi: che sola non sono mai, nè lo sarò, perchè qualunque cosa capiterà porto la mia famiglia nel cuore; la porto nelle mie fibre.
Ho capito anche che la rabbia, che mi porto come compagna assidua e invadente da ormai 15 anni, ha un altro volto adesso. Tra i libri che sto leggendo contemporaneamente ce n'è uno che descrive i nostri demoni come compagni di navigazione, che minacciano le peggiori cose se solo cerco di attraccare a un porto, mentre se ne stanno sottocoperta se lascio la barca alla deriva; per quel che mi riguarda, la rabbia è la capobanda di questo manipolo. Eppure, mi spiega il libro, sceglierò di approdare prima o poi e affronterò i demoni, che urlano e minacciano e spingono e sputano, ma non mi faranno mai veramente del male.

Ho visto un film, il seguito di "Before sunrise", che mi ha riportato indietro nel tempo, al cinema con le amiche, di domenica pomeriggio, a sedici anni. Ho riso pensando a quanto Ethan Hawke nel 2003 fosse così diverso da quel primo film, ma più che altro ho pensato alla bellezza di quelle prime uscite al cinema da sole, di come ci fossimo guardate dubbiose all'uscita. Mi pare di vedere un'istantanea di quegli anni: sarebbe stata una brutta foto, di sicuro, come quelle che sono andata a cercare in cantina poi, mentre recuperavo lo stepper per qualche esercizio. Brutte foto, o forse solo diverse da quelle di oggi, in tutto. Eppure così potenti, tanto da farmi promettere che stamperò presto quelle che in questi 10 anni ho sparse in chiavette, memorie, facebook.

Stasera ho acceso un cigarillo che mi hanno regalato; coincidenza, mi è arrivato su Instagram (e torniamo lì, ala fine) un gioco con i viaggi che ho fatto, e che farò. Sì, da Cuba avevo portato altri sigari, diversi. E con quel sapore ho ripercorso strade e desideri. Perchè di strade e desideri è fatta questa vita.

giovedì 19 marzo 2020

Della sanificazione, un inutile rito collettivo

E' davvero molto facile credere a qualcosa, in questo momento. Qualcosa che ci aiuti a stare bene, a trasferire un po' della sofferenza che ognuno di noi prova, nelle diverse misure in cui la sente, al di fuori di noi stessi. Ogni mezzo diventa un alibi per giustificare questo trasferimento: molto spesso, è la ricerca di un qualsiasi capro espiatorio su cui riversarci qualcosa, travasandola da noi, facendola filtrare o lasciandola erompere.

Cercare qualcuno o qualcosa da incolpare è una reazione del tutto normale; farlo in gruppo diventa un'azione sociale. Schierarsi si trasforma in una presa di posizione che ci identifica con quale gruppo stare. Un atteggiamento che si ripete da quando siamo bambini, si rinnova in ogni fase della nostra vita. Questa condivisione di responsabilità ci porta a prendere una comoda posizione senza pensarci troppo: deve essere per forza così, quindi sostengo una causa, soprattutto se supportata dalla maggior parte delle persone.

E le cause oggi si perorano sui social, non potendo farlo di persona. Anche se, a dire il vero, succede ormai da una decina d'anni a questa parte.
Ormai non ci si chiede più "ma è davvero così?"; la visione parziale di un fatto, vista con gli occhi di uno, può essere in toto sposata e condivisa senza nemmeno attivare il pensiero critico? Sì; succedeva anche dal vivo, prima. Quando si decideva che quella compagna di classe andava derisa e lo si faceva tutti insieme.

Quindi, oggi, se qualcosa ha un suono simile alle nostre paure, se somiglia a un terrore da esorcizzare, se ci si deve accanire verso l'ignoto, si sceglie il nemico più facile. Se si deve credere a una soluzione, si crede. Ma anche questo in realtà non è nulla di nuovo: la storia dell'uomo è punteggiata di riti assolutamente simbolici ma privi di efficacia. Di convinzioni collettive al di là di qualsiasi razionale pensiero.

Di riti ce ne inventiamo sempre di nuovi. Il Gange è lontano, l'acqua santa non si può usare, e allora ecco la candeggina. Candeggina per lavare tutti insieme l'onta di uno sporco portato da chissà chi, formato chissà come, colpa di chissà cosa. Purchè sia un rito pubblico, si invoca un lavacro in pubblica piazza e in pubblica via.

Ma a cosiddetta sanificazione in realtà non esiste. Prima di tutto, perchè la normativa esiste al  di sopra dell'emergenza. La percentuale di candeggina che si può utilizzare sulle strade è dello 0,1%; il resto è acqua e sapone. Lo determina l'ISS, l'Istituto Superiore di Sanità. La stessa che ci dice che lavare le mani è importante, mentre tenere i guanti per un'intera giornata è al contrario inutile.
E mentre lo scrive, qualcuno lo riprende (tipo l'ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambentale), osservando che esistono informazioni contrastanti. Già, la suola delle scarpe non portava il virus? No. Ma la bufala continua a circolare, perchè non si sa mai, è lo sporco prodotto da chissà chi e chissà dove. Gli altri, maledetti.

Semmai, rileva l'ente, che intesta l'osservazione insieme al Sistema Nazionale per la Protezione dell'Ambiente, non attenersi a certe percentuali libera sostanze nocive nell'ambiente e nelle acque superficiali. Ma come! Ci siamo liberati dallo smog per avvelenare di proposito la terra?

Ma nel solito giochino dell'"e allora in Cina?" si guarda ovviamente a chi è migliore (?) di noi. Migliore quando conviene, beninteso. E a squadre di pulitori con la tuta integrale fianco a fianco sulle strade di fantomatiche città. Senza magari chiedersi che tipo di pulizia stradale ci sia, "e allora in Cina". Se magari, nel capitolato, nei contratti cittadini, nelle norme, c'è lo spazzamento strade, ci sono gli spazzini, c'è qualcosa che testimonia una cura delle strade quanto la nostra. Forse, magari, in Cina, le strade si puliscono due volte l'anno. Ma siamo ormai tutti metonimie di noi stessi, ci limitiamo a piccole parti senza più il tutto. Non abbiamo più tempo, per il tutto. Anche adesso che il tempo ci è stato restituito tutto in una volta.

Perchè le nostre strade sono pulite. Quando non lo sono, è perchè ci sono le cacche dei cani (di chissà chi arrivato da chissà dove); forse qualche mozzicone. Ad andar male si pesta una cicca masticata. Ma le strade sono pulite. E anche con tutta la candeggina del mondo le cacche dei cani tornano, di chissà chi. E in ogni caso i cani non portano il Coronavirus.

Se ci fosse la prof. Magistrelli, probabilmente una battuta sull'ipoclorito di sodio me la farebbe. Capire i sali fu quanto di più complicato che dovetti affrontare al secondo anno del Liceo; ma si trattava pur sempre di contare i salti degli elettroni, di calcoli matematici. E quindi tutto normale, nel mio percorso del tutto poco analitico.
Ma la mia prof di Chimica del Classico era un'anticonformista, e non l'avrebbe fatta solo a me. Forse qualcosa ho imparato lo stesso.

lunedì 16 marzo 2020

Il più bel compleanno di sempre

E' che, in effetti, compiere gli anni in queste settimane non dev'essere bellissimo. Ci pensavo l'altro giorno, ma, se non altro, per ognuno di noi ce ne sono stati altri molto belli. E per chi ha compiuto il primo, ad esempio, resteranno foto di sorrisi e i racconti di chi può ricordarlo e raccontarlo, in futuro.
Eppure, sono sicura che per Nino questo è stato il più bel compleanno della sua vita. Anche se lo ha dovuto passare da solo, sono sicura che questo lo racconta così, fin dal giorno dopo.

Lo conosco da quando sono bambina. L'amico dello zio, che è passato dal ciuffo laccato e la Uno turbo al matrimonio e tre figli mai perdendo di vista quello che è, mai snaturandosi e con accanto, appunto, gli amici di sempre. E lui pure, da ragazzi con il lupetto, o la maglietta con le maniche arrotolate, a padre di famiglia amorevolissimo. Hanno due lavori un po'...impegnativi, lo zio e Nino. Il primo fa il ferraiolo (non il fabbro, eh: il ferraiolo); il secondo è giardiniere. Tanto lavoro, tanto freddo e tanto caldo, tante ore, tanta fatica. Eppure, quando li vedo insieme, tutto questo non c'è.

Da molto tempo, i reni di Nino hanno iniziato a non funzionare più come prima. E le cose si sono complicate, per quest'uomo nel fiore degli anni. La vita ha imposto altre priorità e ha seminato dei nuovi ostacoli. La pancetta del benessere è via via sparita, quell'abbronzatura perenne che stava così bene sulla pelle olivastra ha iniziato ad avere una sfumatura diversa, grigiastra. E poi è iniziato un percorso più doloroso, difficile da spiegare a chi non lo ha provato, che lo ha portato alla dialisi.

La forza di questo ragazzo è cambiata. Ha fatto i bagagli, si è rintanata tutta all'interno del suo addome per allineare i giorni, per affrontare i viaggi verso il centro, per continuare a lavorare. Per riposare quando possibile, per mantenere alto l'umore, per sperare. Perchè presto la speranza ha avuto un nome. Presto, il momento di incertezza si è concretizzato intorno a un'unica soluzione: il trapianto. Con tutte le incognite del caso, con la ricerca di compatibilità in famiglia e fuori e con la famosa quanto ignota lista d'attesa.

E' passato molto tempo. La terapia ha subito diverse modifiche, i chili sono via via diminuiti, ci sono stati momenti migliori e altri peggiori, sempre con l'attesa, lì in un angolo. Chissà cosa significa vivere con un'incognita in più. Non una qualsiasi, ma da cui la vita dipende come un altro filo della Parca, come se lei avesse una forbice con una doppia lama.

Chissà come stato ricevere quella telefonata, il giorno del compleanno di Nino, ai tempi del Coronavirus. Che cosa significa sentirsi dire che l'attesa è finita, cosa significa fare una valigia e riporci dentro la speranza di anni, e affrontare a Varese quell'operazione che ha di nuovo permesso alla sua forza di uscire e tornare a manifestarsi fuori dall'addome, da dove si era rannicchiata. E passare giorni da solo, in ospedale, a rifiorire in mezzo ad altre vite, tutti di nuovo appesi a un'unico filo.

Lo sa solo lui, Nino, che non è mai cambiato. Ma che ora può di nuovo decidere come spendere il suo tempo, dopo il compleanno più bello di sempre.

domenica 15 marzo 2020

La cassa come una trincea

Lella lavora in un grande supermercato in uno dei nostri capoluoghi di provincia, che non è Milano.
Ci lavora da anni, è sindacalista e spesso si muove sul territorio per fare aggiornamenti e incontrare gli altri rappresentanti per meglio dialogare con la propria azienda.

Lei ama moltissimo il suo lavoro di cassiera, che le permette di ritagliarsi molto tempo libero, godersi la città in riva al lago e viaggiare. Ha una bella casa sempre aperta alle vicine, con una camera per gli ospiti per gli amici. Ha un carattere solare e ama stare a contatto con il pubblico.

O amava, forse. Perchè da tre settimane il suo lavoro è cambiato, radicalmente. Prima l'assalto ai viveri che l'ha annientata per qualche giorno, mentre i colleghi cercavano di riempire gli scaffali di notte in vista dell'assalto successivo. Poi i provvedimenti, presi in corsa e senza chiudere mai. A ranghi ridotti, perchè sono iniziate a fioccare le malattie, e senza più pause. Anche lei ha avuto una brutta faringite, ma senza febbre, e ha perciò deciso di continuare a lavorare. Ma in un clima totalmente differente dal solito.

Oggi gli ingressi sono contigentati, ma per Lella non cambia nulla. Si apre prima, si chiude dopo, per 10 ore va tenuta la mascherina, che significa respirare nel proprio precedente respiro, che dà un senso di soffocamento e che impone di mantenere la calma. Quella che non riscontra nei frequentatori del supermercato, che sfogano con lei e le colleghe tutta la loro frustrazione: maleducazione, distanza non mantenuta, toni alterati e sputacchianti.

Anche le colleghe sono demoralizzate. Lei torna a casa la sera e crolla a letto, con il cervello in fiamme. Il pensiero di ricominciare l'indomani mattina alle 7.30 pesa sulla bocca dello stomaco. Anche le altre, anche chi tra loro ha sempre avuto un carattere posato, perde la pazienza, sbrocca anche con i clienti. Cercano di farsi forza a vicenda e, quando non c'è nessuno, spostano la mascherina per prendere un lungo e profondo respiro non filtrato.

Viviamo un tempo sospeso in cui abbiamo perso tutti i nostri riferimenti, tutte le nostre certezze. Per molti di noi andare a fare la spesa è uno spazio settimanale; o un momento di fuga solitario dai figli, oppure un'operazione che si fa tornando da lavoro; per altri è rilassante. Un piccolo rito, insomma, che ognuno celebra in modi differenti. Oggi non è così. Ma non per questo deve mancare il rispetto per chi ci permette di farlo.

Lella è una cara amica. Mi fa sempre ridere, sa sempre trovare il lato positivo di ogni situazione, per me e per Federica. Siamo un trio che conserva il lato lieve della vita, quello che ci fa programmare vacanze, che ci fa incontrare a Monza per una cioccolata, che ci fa guardare il lago che luccica nelle sere d'estate. Tengo molto alla sua allegria. Tengo molto al suo sorriso.

venerdì 13 marzo 2020

Luigia, dove sei?

L'appartamento della Luigia è vuoto da un po' di tempo.
Ci ho messo diversi giorni per accorgermene. Ero immersa nella mia personale disperazione, ero impiegata a trasportare a occhi bassi la mia piccola croce, per alzare gli occhi, o aprire la portafinestra e guardare a destra del mio balcone, a quello che, come il mio, ha lo stesso finto fogliame e le stesse fioriere, come mi aveva lei stessa chiesto di mettere e come io avevo fatto per lei.

Quando finalmente ho alzato lo sguardo dal cortile, o ho ruotato la testa di pochi gradi, mi sono accorta di non aver nessun strumento per capire come fare per sapere cosa fosse successo. Non ho nessun numero, nè della nipote adorata, nè del nipote ultimamente n po' latitante, che ho conosciuto solo attraverso le sue parole. Avevo solo un numero fisso sul cellulare, ma l'ho cambiato e, in ogni caso, ora non ha più senso.

Ora la casa è stata completamente svuotata. Qualche giorno fa qualcuno ha sollevato le serrande e non c'è nulla, all'interno. Restano solo la "nostra" edera finta, i "nostri" vasi vuoti, e le sue tende da sole, che aveva aggiunto e che usava spesso. Quante volte e avevamo parlato, di quella spesa che non posso mettere in conto! E oggi loro sono lì, senza Luigia.

Ho scritto alla vicina. Mi ha detto che hanno deciso per lei, che stava perdendo colpi. Me n'ero accorta anche io, ma prima di tutti lo sapeva bene lei stessa: mi parlava di nuovi farmaci che la rendevano meno lucida, di come dimenticasse se aveva mangiato, quando si era alzata, se aveva cucinato. mi parlava di tante cose, ripetendole però più e più volte, e a tratti se ne rendeva conto. Aveva iniziato a fare le stesse chiamate più volte al giorno, ai nipoti, ma anche alla guardia medica. E presumibilmente anche alla signora che l'aiutava con le pulizie e la fisioterapista e la dottoressa. Da qui la decisione di non lasciarla più sola.

Mi manca, Luigia. Mi mancano i nostri dialoghi del balcone, a un volume leggermente più alto di quello che il bon ton condominiale richiederebbe. Mi manca il suo ottimismo, che la porta al decimo decennio della sua vita. Mi mancano i racconti, la forza d'animo, i consigli ad andare avanti, e quel suo modo di chiedermi, preoccupata e ammirata contemporaneamente, dove sarò nel prossimo fine settimana.

Cara amica, non viaggerò più come prima, forse. O forse invece lo farò di più, o andrò più lontano. Io invece ti troverò. E, stai sicura, in qualsiasi di questi casi ti porterò sempre con me.

mercoledì 11 marzo 2020

Donare: una piccola mappa contro il Coronavirus

C'è un tempo per tutto.
Per aver paura, in particolare quando la situazione è incerta.
Quando ci si trova a combattere contro l'ignoto, lo dice anche Sun Tzu, le possibilità di vittoria sono incerte, non si conosce bene l'entità del nemico che abbiamo di fronte.
Allora, nell'arte della guerra come nella vita, dobbiamo cercare di conoscere soprattutto noi stessi, per reagire. E quando la situazione intorno a noi si definisce, la reazione si concretizza.

Prima ci sono state le donazioni. Alcune importanti, come quella di Esselunga, come quella di Giorgio Armani. Alcune più "contenute", se proprio vogliamo quantificarle, anche se sempre di donazioni si tratta. Quelle note sono del Presidente dell'Inter Zhang e di Fedez&Chiara Ferragni.
Ma questa coppia, così spesso sotto i riflettori, conosce bene i meccanismi dei social e della notorietà e ha innescato, partendo dai loro 100.000€, una donazione a catena, che oggi viaggia verso l'obiettivo dei 4 milioni di euro, a beneficio dell'Ospedale San Raffaele di Milano.

Le raccolte però sono fiorite e sono tutte legate all'emergenza Coronavirus. Sono istituzionali e non. Cerchiamo di elencarne alcune: mi sono fatta aiutare dagli amici di Facebook e ho preso spunto da gruppi social che frequento, oltre che a passaparola che arrivano anche dal mondo del lavoro.

Su gofoundme, piattaforma scelta da Chiara Ferragni e Fedez per rafforzare la terapia intensiva del San Raffaele, è presente anche un altro banner da cliccare, #Insieme Contro il Coronavirus, che apre una pagina dedicata a diversi ospedali italiani. Anche in questo caso basta una piccola donazione per il Cotugno di Napoli (ora vicina ai 400mila), l'Ospedale Maggiore di Parma (poco oltre i 200mila), il Niguarda di Milano (con due raccolte distinte), l'Ospedale di Cremona, città molto colpita fin dall'inizio dell'emergenza.
Ci sono anche Bari, Torino, Como, Novara, Bologna, Lecco e Pavia: tutte queste sono legate a strutture ospedaliere e tutte queste hanno sfondato i 100mila euro. Appena al di sotto il sistema sanitario Trentino, Reggio Emilia, il Policlinico di Milano, l'Abruzzo, Monza, Lodi, Cattolica, Sant'Ilario, Crema, Reggio Calabria, Cosenza, Modena, La Spezia, Lecco, Palermo, ancora Milano con il Sacco e due raccolte, Sant'Antioco e Treviglio: tutte queste hanno superato le 50.000 euro ciascuna. E ce ne sono altre ancora: io ne conto al momento 42.
Spedali Civili di Brescia, come sicuramente altri, postano la possibilità di aiutare l'acquisto di materiale e macchinari utili direttamente sul loro sito.
Il cantante Achille Lauro sta usando tutti i suoi canali per supportare il gruppo San Donato.

E' presente anche il Cesvi, sulla piattaforma, ma le associazioni che stanno procedendo sono numerose. Ad esempio, abbiamo la OBM onlus del Buzzi di Milano; Unicef si è già mossa da Gennaio con un aereo cargo verso la Cina per contribuire a debellare nel punto di origine la pandemia. Lo spiega con un lungo post su suo sito, spiegando che l'ammontare dell'appello umanitario lanciato è calcolato in 42,3 milioni di dollari.

Torniamo in Lombardia, per segnalare il progetto della Regione: è molto semplice, ma molto efficace, l'appello lanciato sul sito. La Lombardia resta la Regione più colpita, o forse la Regione in cui i controlli sono costanti, efficaci, capillari. Ad ogni modo, l'ente si impegna verso i cittadini in qualità di garante e con i sindaci lavora invece per elaborare strategie di aiuto concreto.

C'è anche lo sport, che si è fermato ma contribuisce alla causa. Due esempi per tutti. I biglietti della Curva Nord del splendido ottavo dell'Atalanta a Valencia sono stati devoluti all'Ospedale di Bergamo, colpito da un focolaio piuttosto violento in provincia. Anche altri gruppi di tifosi, come Chei de La Coriera, che organizza i pullman per le trasferte, riempie "coriere" virtuali con le donazioni, anche se il calcio è fermo.

Oltre al colosso Esselunga (che dona anche 5€ ogni 500 punti fragola donati dai possessori) ci sono altre realtà della GDO che si muovono. I supermercati della catena Alì hanno donato 100.000 euro alla Protezione Civile a sostegno del sistema sanitario del Veneto e dell'Emilia Romagna, ma danno sul sito la possibilità di continuare a donare. Il gruppo è capillarmente diffuso in Veneto e nelle province di Bologna e Ferrara. Anche questo è solo un esempio.

E chiudiamo con chi è più vicino a noi, tornando su gofoundme: c'è anche Legnano, con i suoi infermieri della "ria", la rianimazione. Si sta toccando quota 40.000 e questi professionisti garantiscono di dare riscontro concreto ai soldi che donerete. Potete farlo qui.

Non conosciamo il nemico, ma conosciamo noi stessi e, alla fine di questo post (che è sicuramente incompleto) siamo sicuramente capaci di reagire all'incognita. #andràtuttobene

martedì 3 marzo 2020

La serie B ai tempi del Coronavirus

Squilla il cellulare, attendo che lui risponda.
Pronto, Sabrina. Come va?
Ha la voce stanca; sono abituata a vederlo allo stadio Zini sempre di ottimo umore e la cosa mi pare subito strana.

Lui è uno steward storico. Io mi occupo della squadra della città da cinque stagioni e, quando sono arrivata, lui c'era già e faceva parte di un piccolo gruppo che negli anni precedenti aveva svolto anche volontariamente il servizio, quando si giocava nelle serie minori.

Ciao, domani la partita si gioca a porte chiuse, ma per il funzionamento della gara il Delegato ha comunque bisogno di un piccolo contingente. Tu ci saresti?
Mi piacerebbe, risponde. Ma non credo di poter venire. I miei suoceri si sono ammalati e, anche se non ho avuto contatti diretti con loro, mia moglie li ha visti in questi giorni, e ora è ammalata. Stiamo aspettando l'esito del tampone.

Cremona, Italia. Se si guarda una qualsiasi mappa, la zona rossa, a 20 km di distanza, ci sta proprio a corona. Potrebbe essere una battuta di spirito, se non fosse che la preoccupazione è tangibile. Dei numerosi steward formati per il servizio, alcuni sono nati in quei Comuni, qualcuno ci abita, alcuni ci lavorano. Altri, come l'esempio del mio steward, hanno i parenti.

Ma non è solo questo. Nel mio giro di chiamate per il piccolo reclutamento, un'altra ragazza mi spiega di essere a casa da una settimana. Aveva preso il raffreddore, le hanno fatto lo stesso il certificato medico. Ha dovuto rimandare importanti impegni di lavoro ed è inquieta.
Un altro lavora in Acciaieria ed è tranquillo: quando entra, a ogni turno, gli misurano la febbre.
Il Delegato della squadra mi chiede di non andare: l'ospedale della città è blindato, ci sono 130 contagiati ricoverati, non si entra e non si esce, ci sono presidi e telecamere "peggio dell'epoca di Calciopoli". E me lo immagino, l'Ospedale: fuori dal centro, circondato dai campi, si staglia bianco ed enorme nel nulla. Nella mia mente mancano solo gli elicotteri.

Domani è oggi. La squadra ospite ha dormito a Fidenza, una distanza che ha ritenuto prudenziale. I ragazzi che faranno servizio dovranno dichiarare di essere in buona salute. Qualcuno mi ha chiesto i guanti.

La serie cadetta ai tempi del Coronavirus ha la fronte corrucciata. I pensieri faranno correre le gambe? Ad ogni modo, buona partita, ragazzi. Dentro e fuori dal campo.