giovedì 30 marzo 2017

Sex and the City #maddechè

Ho due immagini di Carrie che mi sono venute in mente domenica sera, a Trento, mentre spingevo la pesante doppia porta della birreria Pedavena di Trento.

Intanto erano le 21.00 e sembrava che fosse mezzanotte. Mancavano i rintocchi di un orologio gigante sopra i grandi contenitori di rame della birra per trasformarli in zucche ( o mestoli?) e i camerieri in topolini, tanto ormai era chiaro che la serata fosse ormai al termine. La gentilissima cameriera mi ha indicato uno di tre tavoli con la tovaglia a quadretti rossi e bianchi vuoti, allineati vicino al grande bancone quadrato di ingresso. Tutti e tre vuoti. Insomma, a New York alle 21 altro che spazi immensi...

Dopo dieci minuti il tavolo di fianco al mio ha ospitato un francese di mezza età che ha ordinato pizza tonno e cipolle. Dopo altri dieci minuti è arrivato il terzo solitario, anziano, con la maglia della salute e un atteggiamento molto sospettoso. Quando è arrivato il primo, mi sono immaginata Carrie seduta nel bistrot di Parigi con il cagnone che puntava ai suoi pasticcini.

Quando è arrivato il secondo, pareva la copia al maschile della vecchia che triturava l'antidepressivo sul gelato. Ha ordinato prosciutto cotto e cetriolini, poi ha negato mandandolo indietro e chiedendo prosciutto crudo senza cetriolini. Per poi massacrarlo con un coltello tagliandolo a pezzettini e levando il grasso senza smettere di borbottare neanche un minuto.

Mi sono chiesta se diventerò mai così. In trasferta, sola, nei luoghi che renderò delle consuetudini rassicuranti a parlare con un prosciutto affettato al momento.
Per fortuna non sono Carrie, Trento non è New York, ma non lo è nessun'altra città.
Il mio corrispondente di un cosmopolitan è stata una birra rossa di Pasqua, leggermente dolce, e poi una grappa troppo morbida per una buona muosse al cioccolato fondente.

In America non sanno nemmeno cos'è la grappa. Figuriamoci i canederli.
Ma soprattutto, credo di aver un po' meno bisogno di un Mister Big.


giovedì 23 marzo 2017

Blunotte

Di rientro dal concerto mi ha colpito l'orologio all'angolo tra il Foro Bonaparte e piazzale Cadorna. Segnava mezzanotte. Le lancette perfettamente sovrapposte. A disturbare la bellezza della piazza sullo sfondo, dietro l'orologio della città, nella brezza fredda e tra le parole di due amiche, c'era solo il pensiero di non perdere la metro, in questa città che fa di tutto per non essere europea.

Avevo ancora gli occhi gonfi, perchè quella ragazza, su un palco a forma di conchiglia, ad un certo punto ha cantato una canzone a me. Per me. Lei sembrava un po' Venere su sfondo botticelliano, un po' una sirena (in positivo e in negativo), un po' una di quelle donne guardate con sospetto in un teatro siciliano solo perchè non piegate alla maldicenza. Un vestito lungo nero e il prolungamento naturale verso quelle chitarre, l'arte di estrarre tutta la musica che serve da lì, solo accompagnata da un violino e un violoncello, solo a tratti. Quella canzone ha strappato in un attimo il velo pietoso che avevo steso sopra il mio dolore.

Ci sono momenti che si dilatano e acquistano rilievo. Quando li vivi, pensi "per fortuna sono qui!", per fortuna ho detto sì. Sono uscita dal lavoro con l'intenzione di infilare un ristorante dietro il teatro, ho scelto un malesiano, perchè volevo che fosse una serata di prime volte. E ho mangiato il frutto del drago (lo trovi in Chinatown,è la stagione giusta!, mi ha detto la gentilissima proprietaria del ristorante) con i gamberi leggermente piccanti, e ho atteso le mie amiche con Isabella nelle orecchie, che mi ha raccontato di sè per tutta la cena, perchè sapeva bene che era esattamente quello che volevo.

Prima di entrare in un teatro pieno, pieno di persone che sapevano di trovare quelle corde pizzicate e quella voce così profonda, roca, graffiata e limpida, è arrivato anche il mio primo biscotto della felicità. Non gli ho creduto, naturalmente. Ma in questa notte blu fuori moda tutto è possibile.


mercoledì 15 marzo 2017

Rimedi all'insonnia

Sai come si fa a placare le notti insonni?
Non è facile.

Ci sono delle notti in cui tutto è fuori posto. I capelli sono sempre sugli occhi, sul viso, nel peggiore dei casi inizia a formicolare la testa. Fa freddo, e poi caldissimo. Le lenzuola si avvolgono come se fossero bagnate, si animano e scivolano di lato. E non si trovano posizioni, le gambe non stanno ferme, devi fare pipì e non vuoi oppure non è vero, non devi andare da nessuna parte. Persino il materasso sembra in pendenza.

Accendo la luce, bevo un po' d'acqua. La casa, in questo periodo in disordine perenne, è un sollievo fresco. Guardo tutte quelle cose fuori posto e mi chiedo quando scatterà la furia ordinatrice che periodicamente si accende senza un perchè, senza un preavviso, a ondate discontinue. Per il momento non scatta. Spero che torni prima che iniziare a nuotare nel disordine.

Non apro il frigo. Il cibo notturno non è mai stata una consolazione, e nemmeno l'alcol. Quello è stato solo sinonimo di convivialità, lo associo a qualcosa che sta fuori di casa e non in solitudine. Inizio a leggere un po' ma resta, nel sottofondo, l'inquietudine di un sonno che non arriva, mi deconcentra, inizio a pensare che si tratta di un esercizio inutile.

E allora come si fa? Quando le notti iniziano a sommarsi e i pensieri non si spengono, ma iniziano ad avere spigoli che sembrano urtare continuamente sulle pareti tonde del cervello, c'è solo da pensare ad una trasformazione. C'è solo da fare pace con quello che impedisce di trovarla.
Parte proprio dagli angoli retti di quei pensieri. Parte da quegli spuntoni che vogliono uscire e invece cerchiamo di contenere.

Mi sono accorta che, se escono, questi pensieri si proiettano fuori come freccette e non tornano più indietro. Lasciano forse una traccia, lasciano quello che è stato a cui non si può porre rimedio, lasciano un residuo di materia che tendo a rielaborare all'infinito ma con ragioni diverse.
Ma quello che è scagliato fuori non ferisce più come prima.
Il passo in più è spogliarlo dalla rabbia, Il passo in più è farlo giungere a destinazione così come vorrei riceverlo. Il passo in più è smettere di pensare che tutto sia un'ingiustizia.

Non è facile e non riesce sempre. Anzi, quasi mai. Ma quando succede le notti tornano ad essere il momento del sonno, il momento del riposo.

venerdì 10 marzo 2017

Siamo Così

Ieri sera sono andata alla presentazione dell'ultimo libro di Lucia.

Sono grata a questo tempo di primavera, perchè è questa aria che voglio tornare a respirare, fresca fresca, sulle guance, che ti spinge a camminare. Sono grata alla strada in centro ma fuori dal traffico, tra via Lanzone e le traverse di via Torino, vicino all'Università che, quando frequentavo, non ho apprezzato fino in fondo. Chissà perchè non apprezzi mai i tesori della tua vita quando li hai, e ne comprendi il vero significato dopo, quando sono passati; me lo sono chiesto guardando quelle facce di studenti e professori che uscivano dal passaggio Gnomo. Come tutte le cose bellissime che questa vita senza problemi ci ha dato, grazie alle nostre scelte e a quelle dei nostri genitori, ieri ho provato una malinconia leggermente amara, ma buonissima, come una ale.

Sono arrivata a Palazzo Durini, dove lo scorso anno io e quello che pensavo essere la mia persona abbiamo iniziato, una domenica più calda di ora, il nostro bellissimo giro tra i palazzi milanesi. Per fortuna c'erano Lucia, Mariangela, Giusy, Silvia, Beatrice. E Daniela. Che mi ha chiamato tante volte in questi giorni, anche se aveva il numero errato. Dolcezza vera, sorriso vero, preoccupazione vera.

Poi è stata la volta di Lucia. Che da molto tempo scava sul significato delle parole, come cambiano nella vita di una donna che cresce. Perchè le donne crescono, fanno tesoro senza mai regredire. Da molto tempo si è ripresa la sua dimensione di persona, dopo gli affanni dei vent'anni e forse anche oltre. Se l'è ripresa con tanta allegria, con tantissima ironia, con un disincanto positivo.

Quindi, oltre alla primavera, sono grata anche a lei. Perchè ieri avrei voluto essere parte della tappezzeria, e invece, con un colpo di teatro e ad una numerosissima platea, Lucia mi ha coinvolto, ancora una volta. Ma soprattutto, questo libro dalla copertina decisamente pink e dalle ironiche spiegazioni che la fanno ancora arrossire di fronte alla mamma, insegna a me che la rabbia non serve.

Sono andata via con un biglietto da visita della donna che, anni fa, ha pubblicato su un settimanale un mio articolo, che non mi vedeva da molto e vuole incontrarmi ancora. E con Lucia, Daniela, Beatrice, Mariangela, Silvia, Giusy (che è diventata zia, ma questa è una storia tutta da raccontare) presenti.
Quelle vie, nella dolcezza della sera, senza più uno studente, me lo hanno confermato: Siamo Così.
Non poteva esserci un titolo più bello.