martedì 25 agosto 2009

Le parole che non ti ho detto

Sei lì tutto immerso nei tuoi problemi quotidiani. Il lavoro, la spesa, il caldo, gli amici che ti deludono, le vacanze troppo brevi e neanche troppo perfette, il sonno che non riesci a prendere. E poi, d'un tratto, succede. C'è una persona che se ne va, una persona cui tieni davvero, cui sei legata da un affetto fatto di anni e di ricordi che peschi con piacere dalla tua infanzia, ricordi chiari, che sanno di risate, e di pranzi sotto alberi frondosi, e di mare.
Passa tutto all'istante in secondo piano. Getti un'occhiata di lato e ti stupisci di come ti affannavi dietro a cose tanto stupide, a quanta attenzione presti ai pareri altrui, alla fatica di sembrare quello che in realtà già sei.
Quello che sei adesso è una persona colpita dalla morte. Impreparata, perchè è arrivata veloce e non ti ha dato il tempo di adattarti alla già orribile notizia della malattia. Che ti ha privato di una telefonata a questo cugino romano, ti ha privato di trovare le parole che cercavi per esprimere l'affetto che è dentro di te.
Non posso fare altro che scriverle, queste parole. Scrivere dei capelli lunghi e ricci di Salvatore, e poi corti e sempre più brizzolati. Ricordare le sue battute in romanesco stretto, a occhi sbarrati, che mi buttavano a terra dalle risate, con quella S un po' paperina. Pensare al suo amore smisurato per la Roma, le sue trasferte, i suoi turni massacranti al lavoro incastrati sempre in modo di essere tra i primi ad arrivare in curva, lui, uomo del Testaccio, profondamente innamorato del suo quartiere, innamorato della famiglia. Quel suo modo di darmi coraggio poco prima del mio esame di Stato, di raccomandarmi di stare attenta alla borsa mentre mi rimetteva letteralmente sul treno.
Quel suo saluto sulla banchina. Che non doveva essere l'ultimo, ma che lo è stato.

lunedì 24 agosto 2009

Fiuto per il business

Sabato scorso, giorno di caotico controesodo. Lo vedo bene sulle autostrade, dalla mia piccola postazione lavorativa. E non posso che tirare un sospiro di sollievo al pensiero che mia sorella, e la sua amica, abbiano scelto il treno per tornare dalla Calabria. Il mio turno di viabilità finisce a mezzogiorno, ma le soprese arrivano poco dopo le 15: il tir e l'auto volati sulla linea ferroviaria a Battipaglia, il suo treno (sovraffollato, su cui il posto dell'amica è risultato inesistente) bloccato. E allora con i compagni di viaggio si opta per il taxi: in 5, a rotta di collo, in direzione di Napoli, per non perdere coincidenze preziose. Tempo di percorrenza: un'ora circa. Costo della corsa: 150€. E Diavolo di un tassista: mentre guida come un pazzo, attraversando Pompei e la cintura dei comuni del capoluogo campano, chiama al cellulare i familiari. Li spedisce a Battipaglia, ha fiutato l'affare. In certi casi, certi stereotipi, ce li meritiamo proprio.

domenica 23 agosto 2009

Meglio sole?

Noi 4, ex colleghe, sparse per la città. Organizziamo, ci diamo appuntamento, incastriamo turni e impegni e alla fine ce la facciamo. Ognuna di noi esce trafelata da lavoro, salta in macchina o in sella al motorino, parcheggia artisticamente in uno dei microscopici buchi sul Naviglio e corre verso la pizzeria designata. Arriva l'ultima, siamo vicine all'entrata, e inizia un fitto cicaleccio neanche troppo discreto, accelerato, sovrapposto, pieno di risate. Occhi vivi, autentico affetto: ci lega il lavoro, ci tramandiamo i libri per l'esame di Stato e questa volta il malloppo passa a Claudia, che lo preparerà in mezzo alle mille cose che fa contemporaneamente. Arriva la pizza ma non smettiamo un minuto di parlare, anche se non basterà questa sera per esaurire tutto ciò che abbiamo da dirci.
Dietro di noi, proprio di fronte a me, una ragazza ci guarda. Anche lei arriva dall'ufficio, è bella, ha un vestito elegante, un'acconciatura sofisticata. Aspetta un po' a ordinare, ma dopo un'ennesima controllata al cellulare e la lettura di un messaggio di chi non arriverà cede. Ci ascolta, riusciamo a strappare a tratto il suo spesso velo di delusione e a farla sorridere brevemente. La guardo e più volte sono sul punto di invitarla a sedere con noi. Ma non lo faccio. Resta lì. Finchè siamo noi a sciamare fuori, e ognuna torna a casa con un piccolo tesoro nel cuore. Che sarebbe stato ben diviso anche per 5.

domenica 2 agosto 2009

Little Far West

Santo Stefano Ticino. Piccolo paese della Provincia di Milano, forse uno dei più piccoli. Niente di meglio per crescere: esci dalla porta di casa a piedi o in bici, cammini per strada a tutte le ore del giorno e della notte, non ti preoccupi di togliere l'autoradio dell'auto, conosci tutti per nome, li saluti per strada e, tempo permettendo, passi volentieri la giornata a chiacchierare. E' un paese che coccola, che protegge, ma anche che espone, perchè si sa che le piccole comunità vivono e sono unite, come lessi in un illuminante manuale di psicologia sociale qualche anno fa ("L'elefante invisibile"), dal pettegolezzo e dal ravvivare continuamente la conoscenza reciproca dei fatti altrui, poco importa se veri o totalmente inventati.
Peccato che, a rompere la routine del soppesamento continuo tra i vantaggi e gli svantaggi di essere conosciuti dalla tua comunità, ogni tanto succedono cose che vanno oltre. Sempre più spesso, per la verità. Un anno e mezzo fa una rapina in villa con calci e pugni, poi è stata la volta dell'egiziano ucciso da qualche giorno e nascosto in un angolo di un appartamento, adesso è il trafficante di armi arrestato rocambolescamente in un sonnolento pomeriggio con tanto di colpi di pistola sparati in aria.
Eppure no, non si tratta di un paese che perde la personalità. Non si tratta di una comunità che si trasforma in periferia americana, con villette uguali, spazi uguali, e cittadini alienati. I cittadini sono sempre gli stessi, con la stessa voglia di uscire, incontrarsi, divertirsi e comunicare. Magari un po' afflitti dalla cassa integrazione, dalla disoccupazione, o dai ritmi a tratti frenetici. Fa perciò maggiormente pensare questo lento insinuamento della cronaca, quella nera, in un tessuto di ben altro colore.