mercoledì 29 luglio 2009

Parlare o tacere?

Quando ci succedono delle cose non piacevoli ecco aprirsi davanti a noi due strade: parlare o tacere? Mi tengo tutto dentro o cerco aiuto?
Entrambe le opzioni sono molto accattivanti. Il "farsi gli affari propri", oltre che avvolgerci in un indubbio alone di mistero, ci regala la convinzione che si possa bastare a se stessi visto che non si ha bisogno di nessuno, che dentro di noi ci sia tutta la forza di cui abbiamo bisogno, e che non chiedendo aiuto non saremo così mai in debito con gli altri. Purchè la convinzione non sia solo un'illusione, purchè questa forza non si esaurisca, purchè non si arrivi al limite, con imprevedibili conseguenze.
ll cercare conforto è sentire il caldo abbraccio di una persona amica, buttare tutto fuori per riuscire a superare il momento difficile, cercare un punto di vista diverso che non sia quell'angolino dove siamo andati a sbattere e che non sembra offrire vie d'uscita. Sicuramente la condivisione di un dolore può consolare. Il rischio è che, nel momento in cui gli amici non siano subito disponibili al soccorso del cuore ferito, la disperazione sia insostenibile. O che, abituati ad essere presi per mano, non siamo più capaci di essere a nostra volta consolatori.

giovedì 23 luglio 2009

La cura dell'anima

Sono andata a trovare lo zio in ospedale. Ha la sua età e una serie di malanni che sembra la lista della spesa del sabato: l'anemia, il diabete, un leggero ictus, l'artrosi al ginocchio, una sinistra cisti da togliere...
Povero zio, non è molto su di morale. Anzi, per niente. Teme di non uscire più dall'ospedale, dove è ricoverato da tre settimane. Alla prospettiva di un'altra operazione si dispera e piange. Lo zio. Un uomo grande come una montagna, che io e mia sorella, da piccole, scalavamo letteralmente, i nostri piedini sul suo pancione, e lui sempre lì, a farsi massacrare, sempre allegro.
Devo dire che ce l'ho messa tutta a non unirmi alle sue lacrime. L'ho buttata sull'Ibrahimovic, e sul Trezeguet (lui, super juventino, analfabeta che però aveva imparato i nomi delle squadre e complilava tonnellate di schedine dei Totocalcio, giocando anche le nostre che sembravano più disegni del tipo "unisci i puntini" che altro)... e su come lo trattano all'ospedale.
E lì la svolta: come un fiume in piena mi ha raccontato queste tre settimane, dal prelevamento in casa con l'elicottero ("quello lì...in 5 minuti mi ha sistemato...tutto coperto, sembrava l'Uomo della Luna!") alle cure. Alle brave persone che lo assistono: le infermiere e gli infermieri, il primario, la dottoressa. Solo l'ortopedico latita...
E il suo morale è risalito, piano piano. Mentre tornavo a casa, e il nodo allo stomaco si scioglieva pian piano anch'esso, mi sono resa conto di quanto bene faccia un sorriso, la gentilezza, un lavoro svolto come una missione, con passione. Tutte medicine che curano l'anima.

mercoledì 8 luglio 2009

Come si fa a non vedere oltre il colore?

101€ Tanto costa un abbonamento mensile per il treno che porta da Milano alla Riviera Ligure e viceversa. Il percorso che lui, senegalese altissimo, fa ogni giorno per vendere la sua merce in spiaggia, insieme a una miriade di altri immigrati, che passano sul bagnoasciuga alla media di 3 ogni 10 minuti.
Mi aveva subito individuata, mi si è avvicinato con un sorriso fiducioso e il mio sguardo si è posato sui libri. Basta, ero stata catturata dalla sua verve di venditore. Ma io voglio sempre sapere altro. Voglio capire. Gli compro due libri e gli chiedo da quanto tempo è in Italia: 6 mesi. Eppure parli molto bene l'italiano. Sì, perchè quando sento una parola nuova alla sera la cerco sul dizionario e la ripeto e...sono fortunato, ho una buona memoria. Sei laureato? Sì, in Architettura. E...quante lingue sai? Beh...l'italiano lo sto imparando, poi il francese, l'inglese, l'arabo...
Si era dimenticato il senegalese, questo ragazzo che dice di avere trent'anni, che ha due figli là e una moglie che ha sposato da giovane, secondo le usanze della sua gente, che è abbronzato dalla nascita e che lascia a me il sole. Che mi dice che a libro guadagna un tot, che non gli va di nosconderlo ai clienti perchè "è la verità", e che va via ripetendo "matto", come lo chiamo io quando mi dice la strada che fa ogni giorno per vendere.
E io, guardandolo allontanarsi, mi sento davvero piccola piccola.

giovedì 2 luglio 2009

Come feriscono le parole!

Ti sembra di agire in assoluta buona fede, ma quando parli di altre persone, delle loro vite, intendo, è molto facile fare degli errori. Grossolani, che si trasformano in giganteschi, perchè prendono la velocità di una pallina di ferro su un piano inclinato.

Il primo errore è il giudizio. Impossibile essere imparziali di fronte ai fatti, che in qualche modo segnano sempre, fungono da immediata pietra di paragone.

Secondo. Il coinvolgimento. L'affetto, percorsi insieme, esperienze condivise contano. Storie simili, anche. Di immediata immedesimazione. Il problema è proprio questo: cosa si farebbe al posto della persona coinvolta?

Terzo e importantissimo: la discussione. Condividere un fatto non è sempre la cosa migliore. Se è delicato, personale, difficile da interpretare, meglio serbarlo nel cuore e pensarci pian piano, srotolarlo come un gomitolo.

Imparare a tacere? Un'altra storia.