mercoledì 30 gennaio 2019

Elogio della lentezza

Molti pensano che il mio lavoro negli stadi sia una passeggiata di piacere. Non è così, è solo la parte visibile di un lavoro più lungo, che inizia prima e finisce dopo, ma non importa, ho smesso di preoccuparmene.
Una parte di questo lavoro somiglia a quello di tutti gli altri. Una parte importante, come tutti gli altri: è quella che la costruzione della fiducia. Quella che deve nascere con le persone che vi andranno a lavorare, allo stadio, controllando che sia agibile, aprendone i cancelli, visionando documenti e borse, zaini, biglietti, indicando posti, rispondendo a domande, mantenendo un clima disteso.
Quella che nasce con le autorità. Perchè - svelo un segreto - io allo stadio non sono nessuno. E sarei anche inutile, se non fosse per la responsabilità che mi lega con il referente della società. E la mia facoltà di interagire al GOS.

Non vado a sedermi, allo stadio. Non ho un posto in prima fila. Anzi, in alcuni di loro, dove ho avuto il lusso di avere un ufficio, spesso non vedevo nè campo, nè tribune. Ma posso stare là dove si riunisce il Gruppo Operativo Sicurezza, dove ci sono le telecamere che vedono fino alla penna dentro un taschino e dove dialogano Croce Rossa, Carabinieri, Polizia, Polizia Locale, rappresentanti della Questura e della Prefettura, e Vigili del Fuoco.

Cremona è una città bellissima. In realtà, spesso percorro solo la strada che porta allo stadio e, fuori di lì, quella che riporta all'autostrada. Ho a che fare con circa duecento persone, con esigenze molto diverse; alcune di loro fingono di non capire, a volte qualcuno buca un impegno, spesso non leggono le mie comunicazioni...ma allo stadio tutto svanisce, grazie al carisma del Delegato, che li armonizza come farebbe un accordatore di violino. Un perfezionista spesso preso in giro proprio dalle autorità che si riuniscono al GOS, amabilmente. Perchè si conoscono da anni.

Sabato, però, lo scherno è toccato al referente dei Vigili del Fuoco. Da quanto tempo non lavi la divisa? , gli dicono. In effetti è sporca di olio, è vero. Ma dovevate vederla quando sono stato a L'Aquila. Era talmente bianca che sono serviti tre lavaggi.
L'Aquila. C'è stata anche mia sorella, per le opere d'arte, ma non poteva muoversi senza di voi. Anzi, spesso non poteva muoversi affatto, aspettava le opere d'arte in un luogo predisposto e le curava lì.

Sai, è stata l'esperienza più segnante della mia vita. Mi ricordo ancora il primo turno. Siamo arrivati alle quattro del pomeriggio, ci hanno assegnato un'area in centro, davanti alla Casa dello Studente. Era tutto raso al suolo. Quel primo turno finì alle cinque del mattino, ma non ce ne siamo accorti, del tempo. L'adrenalina non ci ha fatto fermare un minuto, e non ci ha poi mai abbandonato. Ci appoggiavamo ai mezzi, ci coprivamo gli occhi con le mani, mangiavamo qualcosa, ma poi ricominciavamo. Ho dormito dopo, a casa, lunghissime ore di fila.
Lì, davanti alla Casa dello Studente, c'erano anche i Carabinieri. Ce n'erano due, arrivati vestiti di tutto punto. C'erano due spazi vuoti, due parcheggi, e abbiamo deciso che sarebbero stati i punti di raccolta di tutti gli effetti personali che le macerie restituivano.
Abbiamo iniziato a spostare i mattoni, i calcinacci. Tutto veniva passato al setaccio, lentamente. Dopo quelle prime tredici ore, i parcheggi erano montagne di cose: effetti personali, catenine, anelli, portafogli. E quei due Carabinieri,  ufficiali immobili a sorvegliare quegli averi, immobili nel prenderli in consegna, erano completamente bianchi, coperti di polvere.

L'Abruzzo è stupendo. Lui c'è stato più volte, in questi anni. A lavorare, ma ha approfittato anche per vederne un po', di quella Regione. Di portare la moglie in vacanza, di fare dei lunghissimi giri. Come a Santo Stefano in Sessanio. Borgo medievale di una bellezza commovente. Lesionato, semiabbandonato, perchè la paura ha scelto per alcuni dei suo abitanti.
Poi, un giorno, un ragazzo scandinavo ci è capitato in uno dei suoi giri a piedi. Sono molti gli stranieri che scelgono di viaggiare in Italia in questo modo, e il ragazzo, innamorato di quel luogo, tornò a casa, radunò il suo denaro, lasciò la Svezia e comprò molte di quelle case e mise in piedi uno degli alberghi diffusi più belli d'Italia. Ho fatto un giro su booking: mi è venuta voglia di partire subito. C'è anche un laghetto, lì vicino, con una Chiesa, della Madonna del Lago. Dopo il terremoto de L'Aquila la messa in sicurezza non è stata facile: il prete, indiano, non voleva aprire ai Vigili. E dopo Amatrice i danni sono aumentati.

Anche un altro paese, su un altro lago, è stato colpito due volte. Campotosto si affaccia su uno specchio d'acqua creato dall'uomo, ma non lo diresti mai. Il lago è bellissimo, il paese è bellissimo e si mangia divinamente (ma dove non è così?). Il primo terremoto lo affollato di crepe, ma il secondo lo ha raso al suolo. A camminarci in mezzo, si vedono i pavimenti delle case, dove case non sono più. Pavimenti bellissimi, rovine di un passato davvero troppo, troppo prossimo.

Ricostruire è un processo lento. Ricucire. Tornare. Non avere paura, provare fiducia.
Tutto sommato, una divisa così è meravigliosa. Non protegge dal freddo, ma dal fuoco. Non è pulita, è sporca d'olio. Ma va benissimo.
Ci sono molte ragioni per cui amo girare stadi e palazzetti nei miei fine settimana. C'è una costruzione, lenta, di rapporti, che non nasce all'improvviso. C'è il rispetto delle procedure, c'è l'importanza delle regole. C'è una lenta comprensione di un processo, ci sono le proposte per migliorarlo. C'è il rispetto dei ruoli. C'è la scoperta delle persone, oltre i ruoli. C'è la scelta di una divisa, ma c'è anche la vita, quella di tutti.
Tra queste, mi pare, non c'è la passeggiata di piacere.

lunedì 14 gennaio 2019

Dentro o fuori

Oggi ho ricevuto uno schiaffo.

Dopo aver piagnucolato per un sacco di tempo, qualche mese fa ho iniziato a picchiare i piedi. Ad agitare pugni, a mugugnare, corrucciata, agitando le braccia scompostamente.
Ma non a parlare.

Ho fatto lunghi monologhi con me stessa, lunghi e articolati, ma senza dar loro voce.
Ho parlato mille volte con me stessa, lasciando però che quei pensieri non avessero ordine e che perdessero ben presto la direzione.
Mi sono comportata come una lagna prima, come una monella dopo.
E ho sbagliato. Questa bambina capricciosa, incapace di essere domata, l'ho tenuta nascosta a tratti, a tratto mi ha sopraffatto. Continuava a indicarmi le cose dalla sua bassa prospettiva, da un punto di vista stretto, ostinato, un tunnel privo di grandangolo.

Oggi, lo schiaffo. Basta. Ti stai comportando male. Sei una stronza, traspare da molte cose. Eppure, non sembri proprio! No, in effetti non lo sono. Ma gli spigoli, le parti taglienti, il grugno e il mugugno sono insopportabili.
Tiriamo una riga, ma facciamolo una volta per tutte. In passato la riga è stato un braccio rotto, è stato un esperto del lavoro. Oggi, qualcosa di meno traumatico, risolta in una stretta di mano. Perchè le dita di una mano hanno strani modi di dare scosse, di schiaffeggiare anche quando non lo fanno.

Alla soglia dei quarant'anni, in un modo del tutto nuovo, ho avuto una gran bella lezione.
La bambina? L'abbiamo venduta al circo.
Questo 2019 può finalmente decollare.