mercoledì 28 novembre 2012

Possibilities

Mio padre mi voleva notaio. Non ho mai visto un notaio a bolletta, mi diceva, quando fu il momento di scegliere, con il sorriso e il suo solido e concreto pensiero frontale. Una praticità estrema, quella di papà. Lui che sarebbe diventato un fine matematico, se avesse avuto possibilità di studiare oltre la quarta elementare (e poi alla scuola serale), lui che faceva preventivi solo visionando il lavoro, lui che se sbagliava le misure sognava e trovava di notte l'errore. Lui che al secondo stipendio da commessa (il primo no, ne ho utilizzato metà per comprare quello che fu il mio primo cellulare) sentenziò: adesso puoi comprarti un'auto.
Ma non si è mai vista una figlia di stuccatore sconvolgere la brahamina visione della casta. Anche se poi, con la Casta, mi sono dovuta confrontare lo stesso, più di una volta, con quella domanda buttata lì a caso sul mestiere di Rocco. Tant'è.
Mia madre mi voleva medico. Idea romantica, persino. Poi due amiche di liceo, di qualche anno più grandi, iniziarono Medicina e Novara e mi parlarono delle prime autopsie e l'idea romantica si dissolse. Salvo poi scoprire che forse forse certe cose non mi fanno poi così tanta impressione. Anche se, a certi odori, resto decisamente sensibile di stomaco.
Quindi no: ho fatto di testa mia. Senza approdare in niente di definitivo (anche se non è la verità: per 10 giorni  ho avuto un contratto a tempo indeterminato, per circa un mese un Areanti-Corallo. Direi ottimi risultati) e sperimentando quasi quotidianamente la logica del volereèpotere: se vuoi essere qualsiasi cosa, puoi. Diciamo più per necessità che per altro.
Ma ho imparato che le svolte esistono. E sono fattibili, reali, non solo dettate dalla contingenza. Me lo ha ricordato ancora una volta Stefania. Laureata in Lingue, impiegata indeterminata nel campo del Marketing e della comunicazione, un mutuo e una vita indipendente. Mancava qualcosa, però. Così la Stefi molla il lavoro, mette in affitto la casa, torna dai suoi che non le parlano per sei mesi e si fa tre anni di Scienze Infermieristiche. Oggi lavora al reparto Rianimazione di un grande ospedale. Ha trovato l'amore, si è sposata, ha due cani, fa i turni, corre tutti i giorni e il suo sguardo è luminoso. E' quello di una persona che ha vissuto due vite, e la seconda è decisamente una figata. Nonostante il sonno perduto, le difficoltà sanitarie, un lavoro senza dubbio impegnativo che però sente suo.
I suoi l'hanno perdonata, ovviamente. I miei si commuoverebbero molto. Ammirazione, in ogni caso. Per la figlia vincente di questi tempi.

giovedì 15 novembre 2012

Ti sposerò perchè

Ieri sera sono stata "interchattata" da un amico che non vedo davvero da molto, molto tempo, ma che abita sempre in paese. Un amico con cui, in adolescenza, ho passato tanti di quei pomeriggi da perderci il conto. Sempre negli stessi posti, sempre con lo stesso copione, nell'avvicendarsi lento di quelle stagioni che sembravano non finire mai. D'estate nel parco, con il gelato, a guardare gli anziani strofinare il sapone di Marsiglia sulla pista da ballo che sarebbe servita per la sera, nelle altre stagioni dentro il circolo a giocare a scopone con loro o tra di noi, o intorno al flipper, o stravaccatissimi a legger la Gazzetta e ridere.
Era tardi, ma la sua bimba di 2 anni era sveglissima. E cantava, e lui in sette, otto righe, mi ha snocciolato il repertorio di canzoni da Zecchino d'Oro. Lo avresti detto, gli ho scritto della sua nuova esperienza musicale. Per niente, ha detto lui, ma è la cosa migliore che abbia mai fatto. Si scherzava su un mio possibile intervento da baby sitter e ad un certo punto la domanda che mi fanno invariabilmente le persone che stanno lontane un po' ma che provano autentico affetto: possibile che tu sia single?
Questa sera, su consiglio delle mie due amiche del cuore, scrivo di una proposta di nozze.
Davvero, non sto scherzando. La proposta di nozze più improbabile che avessi mai potuto ricevere.
Ho avuto anche i testimoni. Anzi, a dir la verità, la possibilità di diventare la quarta moglie dell'iraniano Mamhoud non mi è mai stata formulata direttamente, ma è stata confidata ad Alessandro, l'oggi marito della mia amica Silvia, lui fotografo di fama internazionale che ospitava la sua guida mediorentale a casa in occasione di una BIT.
Una sera Mamhoud ha cucinato per i suoi anfitrioni. Verdure e riso bianco stufato, cucinato con pochissima acqua e posizionando delle patate sul fondo della pentola. E altre cose, che a noi tre occidentali sono piaciute tantissimo. Lui, uomo alto dall'età indefinibile, scuro di capelli e di carnagione, dalle parole pesate con il contagocce, ha parlato con noi, anche se più con il suo amico Alessandro e guardandolo maggiormente diritto negli occhi. Cortese e riservato, ha confidato all'amico e compagno di più reportage di essere rimasto colpito da me. I ragazzi poi me lo hanno detto successivamente, a Mamhoud partito. Non vale, dirà qualcuno. Non credo, penso invece che funzioni proprio così. Mi avrebbe sistemato su un piano del suo palazzo sperduto in terra iraniana, un piano in cui avrei potuto fare tutto. Per il resto della vita da harem, ignoro. Noi siamo pieni di stereotipi, è vero, è quindi mi immagino caldo, brullo, beige, capre, burqua, casa. O magari no, ma provate ad immaginarmi in un Paese privo di democrazia. Come minimo la lingua tagliata all'istante.
Oppure l'arresto per la mia attività giornalistica, o forse il mio cortese e riservato marito avrebbe avuto modo di seppellirmi nel giardino di casa per qualche grave mancanza. Ops! Forse ho confuso l'Iran con l'Italia...

domenica 11 novembre 2012

Che ognuno fa meglio per sè

Ci vuole davvero una bella presunzione per considerarsi l'origine di tutti i mali di un'altra persona.
Perchè poi, a distanza di anni, sei ancora lì a contemplare quello che vai a considerare incredibile, sei lì a cercare di capire come hai fatto a rovinare la vita di questa persona, ferma in un punto a far mente locale, che quella è già lontana chilometri. Anzi, anni luce. Anzi: il veto di parlarne dura ormai da così tanto tempo che pure gli amici hanno iniziato a sospettare che qualcosa di vero ci sia, nella tua cattiveria.
E invece è solo presunzione. Perchè le cose accadono solo se vuoi farle succedere. Quella persona non vuole parlarti più e ha cambiato vita, amici, atteggiamenti, comportamenti, abitudini e modi di dire. Ha scelto te per operare un cambiamento che nasceva solo ed esclusivamente da lei. Una forza interiore che si è sprigionata con un pretesto qualsiasi.
Il bello è che poi, alla fine, quasi ci credi. Un errore incredibile, perchè a distanza di tempo, a distanza di mesi e mesi, quando finalmente qualcuno, nel tiepido sole di novembre, ad un tavolino di un bar di una tranquilla piazza di provincia, ti apre gli occhi su quello che hai sempre saputo, capisci quanta parte di vita hai sprecato nel distillare dispiacere e immagazzinarlo nel cuore. Quanto questo dolore per un fatto incomprensibile abbia guastato la limpidezza di un sentimento, l'amicizia, dopo. Un sentimento che inquino anche oggi, perchè sono sospettosa di tutto. Dei silenzi, degli impegni, delle priorità degli altri.
Ma è difficile distaccarsi dalla presunzione di sentirsi importante, almeno tanto quanto quello che è finito lo era per te. Ecco, forse questo è un po' difficilino da guardare da un'altra prospettiva. Passatemi un grandangolo, cambiatemi l'obiettivo, alleviate la fatica di questo punto di vista. Che fatica, sì: quando la distribuivano probabilmente dormivo, o ero in coda per qualcosa di assolutamente banale. L'ho sempre sospettato che le priorità non sono il mio forte. 

sabato 10 novembre 2012

Culi a capanna

Che poi non si capisce perchè il sogno americano non muoia mai, nemmeno con il fiscal cliff tempestoso (ve lo immaginate? Io me lo figuro come uno scoglio scosceso flagellato dal mare in burrasca), mentre il sogno italiano non esista proprio. L'incubo, semmai. Di quelli che agghiacciano.
Eppure altro che sogno. Noi abbiamo avuto il miracolo economico. Che come tutti i miracoli è stato accolto nell'estasi mistica di una generazione che ha fatto di tutto per goderselo, senza lasciarsi dietro nemmeno le briciole. Auto acquistate in contanti, case in contanti, abiti firmati, di moda nascente e rampante con stoffa-borsa-scarpa abbinati, pelli e pellicce e coccodrilli come se si dovesse procedere ad un fulmineo sterminio della specie. E droga, e rock n' roll. La generazione dei magnaccioni, dei mostri, come musica e cinema hanno ben colto. Perchè la Storia non aveva insegnato niente, a questi figli del denaro e dei diritti acquisiti dalle grandi battaglie sociali. Lo voglia di fregare il prossimo a loro è rimasta sempre la stessa, quella dei loro nonni che producevano stivali di cartone per i soldati mandati a morire in Russia, applicata, qualche anno dopo, alla speculazione selvaggia sull'euro, da loro stessi. Una classe dirigente di goderecci che se lo sono magnato, il miracolo, restando aggrappati con mille tentacoli alle loro poltroncine di comando.
Insomma, il periodo di vacche grasse alternate alle magre non l'ho inventato io, questo tipo di avvicendamento era il sogno terribile del faraone d'Egitto. Una verità biblica che non lascia dubbi: è la nostra generazione quella magra. Mentre la prossima è già caduta nell'oblio, composta da ignoranti bimbiminkia iphonizzati e senza interessi se non per le foto con il broncio e la testa reclinata. Su cui i genitori non sembrano aver alcun potere. Non basta lavorare per riparare ai danni dei nostri predecessori, invece che solo per noi. Ci tocca aver successo, e in fretta, anche per questa generazione di inetti. 

mercoledì 7 novembre 2012

Land of hope and dreams

Oggi su Repubblica c'era la foto di un surfista in coda al seggio di Venice Beach. Un baracchino sulla spiaggia, e lui era in coda con muta indosso e tavola sottobraccio. Su Corriere c'erano le foto di seggi nelle tende, nei luoghi colpiti da Sandy. Per coloro che non lo hanno potuto fare via fax, o via mail. Su twitter ho letto di una coda in un condominio, per un seggio aperto dalle 6 del mattino, fino alle 9 di sera. Lui, Obama, ha votato talmente tanti giorni fa che persino l'addetto al controllo della punzonatura deve essersene un po' dimenticato. Quel che si dice voto per voto, voto su voto, con sistemi talmente vari da riuscirmi impensabili. Con una fiducia incrollabile nel sistema, che non teme brogli, come succederebbe da noi verso schede depositate lì una settimana, 10 giorni. Con un diritto acquisito non proprio semplicemente presentando una tessera ad un funzionario, ma attraverso l'iscrizione preventiva ad una lista, e con sistemi che rinuncio a capire, e con i Grandi Elettori da conquistare che rendono i diversi Stati più determinanti o meno.
Un presidente eletto dal popolo. Gli Americani, termine che più generico non si può. Superproteici o iperobesi, di corsa nelle metropoli o sonnecchianti in pompe di benzina nel nulla, al sole delle spiagge o immersi nella neve, davanti a spettacoli della natura o dell'uomo, appena rientrati dalla missione in Afghanistan, come ben sa la mia amica Sara. America che è nei miei occhi grazie ai film, alle serie, ai libri, ai viaggi dei miei amici, alla mia visione personale di New York, o ora grazie anche al viaggio di Tiziano, freelance che ha macinato chilometri, ha perfezionato la lingua giorno per giorno, che ha scattato foto sui tram, sulle metro, davanti al "fagiolo", sotto un portico aspettando che spiovesse, davanti ad una Miami sfiorata. Lui sì che ha toccato con mano il sentimento di queste persone che, più di tutto, più della fede che sfiora il bigottismo, più del culto del corpo o di quello per il cibo, più del latte bevuto a colazione-pranzo-cena, delle porzioni king size e dei galloni di benzina meno cari della cocacola e più degli abiti venduti al chilo o dei buoni per la spesa, costituisce la vera essenza di questa persone: la potenza incrollabile del sogno americano.
Un sogno che si rinnova nei simboli: le frasi, le foto, la bandiera, una canzone. Grazie, sognatori, perchè il Presidente è nero. E fra quattro anni potrebbe essere donna.