giovedì 15 novembre 2012

Ti sposerò perchè

Ieri sera sono stata "interchattata" da un amico che non vedo davvero da molto, molto tempo, ma che abita sempre in paese. Un amico con cui, in adolescenza, ho passato tanti di quei pomeriggi da perderci il conto. Sempre negli stessi posti, sempre con lo stesso copione, nell'avvicendarsi lento di quelle stagioni che sembravano non finire mai. D'estate nel parco, con il gelato, a guardare gli anziani strofinare il sapone di Marsiglia sulla pista da ballo che sarebbe servita per la sera, nelle altre stagioni dentro il circolo a giocare a scopone con loro o tra di noi, o intorno al flipper, o stravaccatissimi a legger la Gazzetta e ridere.
Era tardi, ma la sua bimba di 2 anni era sveglissima. E cantava, e lui in sette, otto righe, mi ha snocciolato il repertorio di canzoni da Zecchino d'Oro. Lo avresti detto, gli ho scritto della sua nuova esperienza musicale. Per niente, ha detto lui, ma è la cosa migliore che abbia mai fatto. Si scherzava su un mio possibile intervento da baby sitter e ad un certo punto la domanda che mi fanno invariabilmente le persone che stanno lontane un po' ma che provano autentico affetto: possibile che tu sia single?
Questa sera, su consiglio delle mie due amiche del cuore, scrivo di una proposta di nozze.
Davvero, non sto scherzando. La proposta di nozze più improbabile che avessi mai potuto ricevere.
Ho avuto anche i testimoni. Anzi, a dir la verità, la possibilità di diventare la quarta moglie dell'iraniano Mamhoud non mi è mai stata formulata direttamente, ma è stata confidata ad Alessandro, l'oggi marito della mia amica Silvia, lui fotografo di fama internazionale che ospitava la sua guida mediorentale a casa in occasione di una BIT.
Una sera Mamhoud ha cucinato per i suoi anfitrioni. Verdure e riso bianco stufato, cucinato con pochissima acqua e posizionando delle patate sul fondo della pentola. E altre cose, che a noi tre occidentali sono piaciute tantissimo. Lui, uomo alto dall'età indefinibile, scuro di capelli e di carnagione, dalle parole pesate con il contagocce, ha parlato con noi, anche se più con il suo amico Alessandro e guardandolo maggiormente diritto negli occhi. Cortese e riservato, ha confidato all'amico e compagno di più reportage di essere rimasto colpito da me. I ragazzi poi me lo hanno detto successivamente, a Mamhoud partito. Non vale, dirà qualcuno. Non credo, penso invece che funzioni proprio così. Mi avrebbe sistemato su un piano del suo palazzo sperduto in terra iraniana, un piano in cui avrei potuto fare tutto. Per il resto della vita da harem, ignoro. Noi siamo pieni di stereotipi, è vero, è quindi mi immagino caldo, brullo, beige, capre, burqua, casa. O magari no, ma provate ad immaginarmi in un Paese privo di democrazia. Come minimo la lingua tagliata all'istante.
Oppure l'arresto per la mia attività giornalistica, o forse il mio cortese e riservato marito avrebbe avuto modo di seppellirmi nel giardino di casa per qualche grave mancanza. Ops! Forse ho confuso l'Iran con l'Italia...

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