mercoledì 29 febbraio 2012

Chiudere gli occhi e aprire bene il cuore


Ieri sono uscita dal lavoro in direzione del centro commerciale. Sono entrata in un negozio di articoli sportivi alla ricerca degli occhialini, per la piscina. Pensavo di trovarne due, massimo tre tipi, e invece eccomi lì davanti a forme e colori e usi professionali o meno. Con me una ragazza, che poi ho ritrovato al supermercato a scegliere il docciashampo. Tutte e due pronte a iniziare, anche se non saprò mai dove lo farà lei. Tutte e due, per il momento, pesciolini fuor d’acqua.
Casa, costume, tuta e via, alla volta di Sedriano. Il paese della mia infanzia e delle prime classi elementari. La piscina comunale in cui le maestre ci portavano all’asilo per vincere le prime paure, e che io, una pulce, ho sempre ricordato enorme, lì, proprio di fianco alla scuola.
Ed è stato proprio sul cancello di quella scuola che il cuore mi è balzato nello stomaco. Le immagini che conservavo nella memoria si sono sovrapposte come carta velina a quelle che avevo davanti agli occhi, alla luce dell’illuminazione serale, e come per la carta velina ne ho colte tutte le differenze, racchiuse in una dimensione terza, opaca. Ero lì ferma a bocca aperta (chissà che spettacolo), con il cuore che cantava e il ricordo che tornava a ondate. Ho guardato quello che c’era di nuovo, come la tettoia all’ingresso principale. Ho spinto lo sguardo fino ai cancelli di fronte, ricordandomi all’istante come era fatta l’altra strada. E poi sono entrata in piscina: piccolo spogliatoio, piccolo corridoio, piccole docce. E piccola vasca, quella che mi sembrava un mare, lungo e largo e profondo. E c’era chi mi ha accolto con un “evviva” per essere lì, e c’era chi non ha voluto la lezione pagata, in modo da farmi iscrivere al bimestre incombente.
Per la cronaca ho nuotato e anche bene; perché posso essere pigra, ma con un passato quasi glorioso alle spalle, mica cotiche, come mi scriverebbe l’Annina. E l’ora è passata così, in un soffio.
Mi sono stupita del fatto di non essere nemmeno più passata di là. Ne ho parlato con papà, e con lui abbiamo fatto un rapido conto che mi ha ripiantato, ferma e di nuovo con la bocca aperta, in mezzo alla cucina (altro spettacolo). 25 anni. Ma mai come ieri sera il tempo mi è sembrato un concetto relativo.

martedì 28 febbraio 2012

Che risultati hai? Alti e bassi

Jovanotti insegna. Durante le mie lunghe ore di lavoro del fine settimana gira in loop il dvd dell'ultimo tour. Lo vedo e lo rivedo cantare e saltare dal palco e non mi stanco, io no che non mi stanco...ok, la smetto di citarlo, ma è uno che contagia. Che non fa stare fermi, che sprizza vitalità, eppure nelle sue canzoni c'è tutto, la gioia come il dolore.
In questo momento mi sento come lui, in moto perpetuo e in quel particolare mood che mi permette di eliminare le scorie e i pensieri negativi, buttarli fuori e guardarli allontanarsi senza più preoccupazioni. Sine cura, sicura.
Ho quindi un punto di vista privilegiato, in questo momento, e spero duri a lungo. Un punto di vista che mi permette di stare vicino alle amiche come loro hanno fatto spesso con me, finalmente. Di capirle, di ascoltarle, di riflettere con loro.
Nessuno può lenire il tuo dolore al posto tuo. Ma le parole, quelle sincere, possono essere una potente medicina. Se riescono a farti stare meglio è unicamente per due motivi: ti hanno fatto ragionare, e sono state pronunciate da chi davvero tiene a te. Se succede è una gran fortuna. Passato il momento di sconforto varrebbe la pena fermarsi a pensare su come gli amici, spesso, ci offrano ganci piccoli, forse apparentemente fragili, verso ideali scialuppe di salvataggio. Sta però a noi la decisione finale, perché la forza per superare la crisi resta esclusivamente dentro noi stessi.
La semiotica, all'università, insegna che il messaggio che si vuole trasmettere al proprio interlocutore perde parte del significato già quando da pensiero si trasforma in parola. Un po' come succede per le automobili, quando le acquisti, che iniziano a valere di meno al primo giro di ruota fuori dal cancello del concessionario. Chissà dunque quale sarebbe la forza dirompente dei nostri pensieri se potessero trattenere al loro interno tutta la vis originaria...questa forza che resta intatta dentro di noi. Ma la parola, detta o scritta, ha comunque un grande pregio: quella di lasciarsi interpretare. Con risultati, appunto, alti e bassi.

martedì 21 febbraio 2012

La camicia dell'uomo contento

Alle elementari la maestra Carmen ci leggeva, con gusto e con una certa frequenza, Italo Calvino. Ci leggeva le Fiabe Italiane, ogni volta una diversa. Racconti raccolti dall'ampio bacino della tradizione italiana, trascritti e confrontati nelle varie versioni spesso trasmesse a voce da generazioni diverse ai bambini, idealmente davanti al focolare domestico. Lei le leggeva, io ho voluto comprarle e le ho lette tutte. Uno dei due volumi mi era pure finito in acqua, in giardino, e quindi sembra il fratello maggiore dell'altro, ma li conservo ancora. Non so dove, perchè il trasloco me li ha fatti metter via, ma li devo trovare.
Perchè, anche se non le rileggo da molto, molto tempo, ce n'è una che da giorni è nella mia testa. Parla di un principe che ha tutto, ma che non trova la felicità. Che consulta i saggi del suo regno e gli indovini, che gli consigliano l'unico rimedio possibile: trovare l'uomo contento e indossare la sua camicia. Parte dunque la caccia  grossa e il tam tam dei banditori, un messaggio che oggi correrebbe sugli sconfinati campi virtuali. Ma l'uomo contento sembra sfuggire agli appelli e il principe, sconsolato, comincia a vagare nei campi senza meta. Finchè non sente un uomo cantare a squarciagola, sotto il sole, allegramente e capisce di averlo trovato: lo raggiunge di corsa e comincia a sbottonargli la giubba febbrilmente.
Peccato che il contadino, felice di vivere così, non avesse camicia.
Ci penso ogni giorno e sorrido. Perchè è così, si desidera sempre altro, senza capire che la nostra sostanza è sogno e realtà insieme, del tutto unica, del tutto irripetibile. Che la vita porta a svolte inedite, a soluzioni sempre diverse e che davvero volere è potere.
D'altra parte, ci si può vestire in molti altri modi!

lunedì 20 febbraio 2012

La vita può allontanarci, l'amore continuerà

La mia Cristina ha una coppia di cocoriti. Il maschio è arrivato da poco, perchè lei, la femmina, ha ucciso tutti i partner precedenti e si stava accingendo a fare lo stesso anche con lui. Per evitare che facesse una brutta fine, la sua padrona lo ha messo in un'altra gabbietta, solo vicino alla femmina assassina, e lui ha ricominciato subito a mangiare e bere, controllando a vista la carnefice. Lei che lo beccava sulla schiena tutti i giorni, oltre a tenerlo lontano dal mangime. Lei che lo stava consumando.
Ci sono donne che per andare avanti si nutrono del dolore altrui, o lo devono provocare. Sono come una pagina vuota senza contenuti, cercano di riempirla come possono, creando voci veritiere ma del tutto distorte, trovando sempre qualcosa da dire. E tuttavia, il karma prima o poi le trova e si abbatte sulla loro povertà d'animo con una precisione da cecchino, lasciandole di nuovo senza argomenti, ma in un modo definitivo, perchè gli amici si sono stufati, perchè se ne sono andati. In un modo, insomma, che insegna.
Perchè c'è sempre qualcosa da imparare. Si impara dai gesti meravigliosi, quelli che arrivano al cuore e causano un'emozione immediata, ma si impara anche da quelle lacrime amare che versi nei momenti in cui ti senti davvero solo. Si impara che la forza, per andare avanti, è dentro di te e in te sola, ma c'è. E in un attimo, quell'attimo che ora c'è e in un altro attimo passa, capisci che insieme a quella forza, a braccetto, ci trovi anche la felicità. Un piccolo miracolo che ti riporta il sorriso e gli amici. E chissà che non porti anche qualcosa di più.

lunedì 6 febbraio 2012

Anzianacci

Ci sono dei momenti, lunghi, in cui mi sento profondamente scorretta.
Sì, certo, io che dico sempre sì, io che cerco sempre il buono nelle persone, io che perdono sempre tutti, che passo sopra i torti più brutti, io che sorrido sempre e sono educata. Io che mi educo, da anni, all'astensione del giudizio.
Scorrettissima, politicamente spazientita. Basta, insomma. Anche il buonismo a tutti i costi ha bisogno di una dose di insulina, ogni tanto.
Oggi ho messo il piede fuori casa dopo 5 giorno, dopo la febbre, la tosse, la nausea, il raffreddore e il mal di ossa. 5 giorni da mollusco sotto il sole, sì, a piedi tra il ghiaccio e a una temperatura ghiacciata. Direzione, la mia dottoressa, per capire se la mia voglia di suicidarmi ha un che di patologico o no, per capire se è tutto ok in questo corpo budinoso.
La dottoressa è una persona meravigliosa. Una donna bionda, alta e morbida, preparata, positiva e rassicurante, tanto che in poco tempo la sua platea si è fatta sempre più vasta. Peccato che questo vasto pubblico includa i cafoni.
Pensavo di averla scampata, stamattina. E' lunedì, sono le 11,30, non ci sarà molta gente, penso abbassando la maniglia della sala d'attesa. E in effetti trovo solo tre persone davanti a me. Virgin radio bassa nello stereo, un piacevole tepore. Non male...
Errore. Mai rilassarsi in fila dal medico. Nel giro di pochi minuti la sala si riempie. E' un poliambulatorio, in tre cercano un altro dottore. Con loro arriva lui: il Vecchio. Quello che non ha niente da fare, ma che ha fretta, sempre. La paziente due si dilunga, tiro fuori un libro. Il Vecchio aveva già esordito dicendo di non sapere da chi andare (prima cazzata che non dai a bere a nessuno), poi si avvicina sbuffando, poi inizia a camminare nervosamente avanti e indietro vicino a me. Arriva un altro paziente, canticchiando, e i due iniziano a chiacchierare in piedi in mezzo alla sala. Il Vecchio parla, ripetendo i concetti più volte, del suo Meridione (ah ma sono scappato via presto eh) e delle donne (ah se "giù" sei ferroviere o carabiniere le donne ti corrono dietro), incurante che gli unici essere di sesso maschile, lì dentro, fossero proprio loro due.
Il Vecchio si interrompe ogni volta, prima di ricominciare da capo, per dire ai nuovi arrivati che lui deve solo chiedere una ricetta, poi solo una cosa, e che ha l'appuntamento, ma che non sa. Valanghe di cazzate che non fanno in tempo a decollare perchè, evidentemente, il mio sguardo le disintegra. Tanto che a una signora che chiede di sapere chi è l'ultimo in attesa il Vecchio si gira verso di me e dice: io non lo so, chiedete al capo. E, giusto per concludere in bellezza, si infila al mio posto dalla dottoressa e, con la porta aperta la cazzia perchè la moglie-quasi-morta non ha l'esenzione ma-come-si-fa.
La mia meravigliosa dottoressa era di nuovo positiva e rassicurante, quando sono entrata io. E lo schifo mi è passato subito.
Ne caso, comunque, sopprimetemi prima.