mercoledì 15 giugno 2016

Missioni di cuore

Mi sono trovata altre volte a scrivere di restauro, visto che ho la fortuna di avere una professionista in casa che riesce a fare meraviglie.
Una di queste, una delle ultime, è a Ossuccio, sul Lago di Como. Dal 2014 il paese, accorpato ad altri tre, si chiama Tremezzina, ma la frazione resta nota con il suo nome anche e soprattutto per il Santuario della Madonna del Soccorso, che fa parte di un più ampio Sacro Monte, patrimonio Unesco insieme agli altri dei Monti Prealpini di Piemonte e Lombardia.
Domenica il restauro completo della chiesetta, che si raggiunge in una ventina di minuti di cammino che si snoda tra le stazioni della via crucis e offre un panorama straordinario della zona tra Laglio e Menaggio, è stato presentato al pubblico.
Ha parlato un emozionato don Sergio, rettore del santuario. Ha lasciato la parola al vescovo e al sindaco; poi il significato degli affreschi e degli stucchi è stato spiegato da uno studioso di storia dell'arte. Ha fatto seguito il direttore dei lavori e poi, finalmente, una delle titolari della ditta di restauro che ha realizzato il recupero dello splendore originale. Poco spazio per la parte più interessante, praticamente inesistente per le persone che lo hanno realizzato. E allora, ecco come è andata.

Le titolari di questa piccola impresa di restauro sono tre donne, che hanno chiamato a lavorare con loro altre donne. Questa attività, qui e in Italia in genere, è a larghissima maggioranza femminile. Donne che non hanno paura di affrontare il freddo, che non disdegnano di indossare ogni giorno scarpe antinfortunistiche e indumenti da cantiere. Che salgono e scendono dai ponteggi con l'agilità di un gatto, che conoscono tutti i segreti di un consolidamento, una pulitura, un'integrazione, in posizioni difficili da tenere dopo i primi cinque minuti.
Queste donne hanno lavorato insieme e vissuto insieme per un anno e mezzo, ai piedi della salita dei venti minuti, affrontata ogni giorno di buona lena. Si sono trovate di fronte ad un piccolo scrigno annerito e ripassato, perchè nei primi anni del Novecento si usava ricoprire con pellicole più che riportare allo stato iniziale le opere, e queste pellicole (di stucco, di pittura e di altro) hanno nel tempo scurito e trasformato, più che conservato.
Operazioni pazienti, unite alla ricerca delle soluzioni alle problematiche scovate di volta in volta. Riconosciute da tutti, dal vescovo che le andava a trovare salendo sui ponteggi, al don che era quotidianamente con loro, alle signore che portavano torte con frequenza quasi quotidiana, alla titolare della trattoria nei pressi del santuario. Un gruppo che è diventato famigliare, abbracciato con affetto domenica.

Non si può vivere senza Bellezza, è stato detto. Queste donne insegnano che anche la Bellezza vuole impegno, fatica, e va mantenuta per sè e per chi verrà dopo. Queste donne fanno vivere la Bellezza come una missione, perchè la valorizzazione del loro lavoro è purtroppo un'altra cosa. Lo fanno finchè possono, perchè è faticoso, totalizzante, ingombrante.
Ma non ne possono fare a meno.

venerdì 10 giugno 2016

Ci vuole dolcezza

Nella mia infanzia ci sono giardini e cortili.
All'asilo c'era uno e l'altro: un cortile di in sampietrini, in cui per la verità di giocava pochissimo, perchè la meraviglia vera era il giardino. Enorme. Pieno di alberi, con un bel pratone, l'affresco sul fondo, la buca della sabbia, le casette in muratura, i tubi colorati in cemento, le giostrine. Tutto era enorme, forse perchè eravamo nani. Rivedere la piscina che frequentavamo a distanza di (molti) anni ha dato un bel colpo snellente alle dimensioni.
Alle elementari, prima e dopo il trasferimento, il giardino è stato più che altro prato. E i giochi sono stati con la palla, con gli elastici, nei tubi. Poi si sono trasformati in passeggiate, in particolare alle medie.
A casa, prima del trasloco, il giardino era un grande tondo compreso tra due palazzi e, sui lati mancanti, da una fila ordinata di garage. Nel mezzo, piante e fiori. Si facevano torte di fango, si girava come matti in bicicletta, un pallone non mancava mai. E i richiami della mamma, la sera, erano quotidiani, per rientrare in casa. Dopo il trasloco, il giardino era tutto nostro.
Dalle zie c'era una corte semi abbandonata, piena di ciuffi d'erba, un cane da caccia dolcissimo e tanti bambini, sulle scale tipiche delle case a piani, sui pianerottoli e i solai di cemento. C'era un'altra grandissima cortaccia, così chiamata perchè molto popolare, piena di gatti, di bambini, di ex stalle e casette dismesse.
E poi c'era un giardino pubblico. Con un canestro, una montagnetta e un enorme albero di gelso. Grandissimo, sotto il quale c'era la fontana, che spandeva generosamente acqua intorno, sull'erba, sulle grosse radici, sul cemento. L'albero era folto e bassissimo: offriva i suoi rami fino a terra e, in questo periodo dell'anno, anche i suoi frutti.
Le more di gelso mi ricordano tutto questo: ricordi di sole, di fronde, di erba, di ginocchia sbucciate e di giochi. Mi ricordano quando la vita era un gioco che non smetteva mai, a fatica quando la mamma chiamava dalla finestra. Mi ricordano come era facile stare insieme ad altri simili.
Ci vuole dolcezza, nella vita. E ci vuole un sole da guardare attraverso le foglie.

mercoledì 8 giugno 2016

La Storia e le storie delle donne. Quante storie.


Il 2016 è quell'anno in cui una donna è candidata alla Casa Bianca. E la cosa causa stupore. Io ho ben altri sentimenti. 

Il 2016 è l'anno in cui una donna è candidata alla Casa Bianca. Mentre un'altra muore uccisa perchè non ha chiesto il permesso di ballare.

il 2016 è l'anno in cui una donna è candidata alla Casa Bianca. Mentre un'altra viene bruciata nella sua auto.

Il 2016 è l'anno in cui una donna è candidata alla Casa Bianca. Mentre un'altra è uccisa col figlio di 4 anni per essersi separata.


Oggi mi ha preso così. Affido a twitter il mio disappunto, per aver ascoltato le news in radio e aver colto fin troppa sorpresa nella voce del giornalista che ha parlato della Clinton.

Eppure un simpaticone ha voluto rispondermi. Il fatto che Hillary è la rappresentazione di tutte le donne frustrate e cornute non ti dice niente? Mi ha scritto.
E' così. Non mi dice niente. Niente di niente. E il fatto che questo sia il messaggio che un perfetto sconosciuto voglia trasmettermi non riesce nemmeno a farmi arrabbiare. Il livello dell'asticella è talmente basso che per scrivermi questa stronzata deve aver scavato sotto il livello e fatto sbucare le mani davanti alla tastiera da sottoterra.

Perchè è così. Non importa il valore di una donna che è arrivata alla candidatura della presidenza degli Stati Uniti d'America. Tutto si riduce ad una macchia (peraltro nemmeno sul suo, di vestito) che cancella tutto il resto. Perchè, si sa, le donne sono frustrate e cornute. Deve essere una distinzione imprescindibile di genere, visto che è un particolare talmente trascurabile nel genere maschile da non apparire mai come puntualizzazione.

Probabilmente, una donna alla Casa Bianca arriva dopo qualsiasi altro tipo di categoria: un presidente nero, un miliardario misogino, il gatto morto che porta in testa. Forse la meraviglia del giornalista è il male minore.