venerdì 10 giugno 2016

Ci vuole dolcezza

Nella mia infanzia ci sono giardini e cortili.
All'asilo c'era uno e l'altro: un cortile di in sampietrini, in cui per la verità di giocava pochissimo, perchè la meraviglia vera era il giardino. Enorme. Pieno di alberi, con un bel pratone, l'affresco sul fondo, la buca della sabbia, le casette in muratura, i tubi colorati in cemento, le giostrine. Tutto era enorme, forse perchè eravamo nani. Rivedere la piscina che frequentavamo a distanza di (molti) anni ha dato un bel colpo snellente alle dimensioni.
Alle elementari, prima e dopo il trasferimento, il giardino è stato più che altro prato. E i giochi sono stati con la palla, con gli elastici, nei tubi. Poi si sono trasformati in passeggiate, in particolare alle medie.
A casa, prima del trasloco, il giardino era un grande tondo compreso tra due palazzi e, sui lati mancanti, da una fila ordinata di garage. Nel mezzo, piante e fiori. Si facevano torte di fango, si girava come matti in bicicletta, un pallone non mancava mai. E i richiami della mamma, la sera, erano quotidiani, per rientrare in casa. Dopo il trasloco, il giardino era tutto nostro.
Dalle zie c'era una corte semi abbandonata, piena di ciuffi d'erba, un cane da caccia dolcissimo e tanti bambini, sulle scale tipiche delle case a piani, sui pianerottoli e i solai di cemento. C'era un'altra grandissima cortaccia, così chiamata perchè molto popolare, piena di gatti, di bambini, di ex stalle e casette dismesse.
E poi c'era un giardino pubblico. Con un canestro, una montagnetta e un enorme albero di gelso. Grandissimo, sotto il quale c'era la fontana, che spandeva generosamente acqua intorno, sull'erba, sulle grosse radici, sul cemento. L'albero era folto e bassissimo: offriva i suoi rami fino a terra e, in questo periodo dell'anno, anche i suoi frutti.
Le more di gelso mi ricordano tutto questo: ricordi di sole, di fronde, di erba, di ginocchia sbucciate e di giochi. Mi ricordano quando la vita era un gioco che non smetteva mai, a fatica quando la mamma chiamava dalla finestra. Mi ricordano come era facile stare insieme ad altri simili.
Ci vuole dolcezza, nella vita. E ci vuole un sole da guardare attraverso le foglie.

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