giovedì 28 aprile 2016

A portata di braccio

Ho chiesto alla mia amica di mandarmi quello che lei ha scritto al marito al loro matrimonio.
Loro si sono scambiati le fedi nel giardino di una villa sulle colline di Barcellona, di fianco alla funicolare, con tutti gli amici seduti su una scala. Un panorama perfetto dietro, una coppia di innamorati a completare quel capolavoro.
Le ho chiesto di mandarmi quello che aveva scritto su quel foglio perchè lei lo teneva stretto, sgualcito perchè piegato più volte. Lo teneva davanti a lui, lo guardava solo per poter andare avanti, parola per parola, per arrivare in fondo. Anche se un paio di volte ha rischiato di fermarsi, per l'emozione. Sicuramente sapeva quasi a memoria quelle parole, ma aveva bisogno di vederle scritte.
Ha iniziato a leggere. Io ho iniziato a piangere. Ma non poco.
Ho iniziato a piangere moltissimo. E solo la vergogna mi ha impedito di scoppiare in singhiozzi.
Perchè ho capito perfettamente quanto per lei quell'incontro, questo amore, questa persona, abbia davvero dato direzione nella vita. In tutta la sua vita. Ho capito cosa vuol dire "destino", "fortuna". Ho sempre pensato che la sua visione della vita fosse anche la mia, tanto è vero che dopo lei mi hha detto: guardavo te per farmi forza e invece! E ho capito che le cose belle bellissime succedono.
Ho iniziato a piangere dalla prima frase e a pensare che sarebbe bello, anche per me, trovare qualcuno a distanza di braccio. Ho realizzato, mentre cercavo uno, due, tre fazzoletti, che non mi è mai successo veramente. Che anche il primo amore non aveva tantissima voglia di stare lì, a distanza di braccio qualsiasi cosa accadesse. Era anche normale. Eravamo ragazzi. E neanche chi è arrivato dopo. Troppe complicazioni. Eppure lei leggeva, il tono della sua voce cambiava, io soffocavo i singhiozzi dietro gli occhiali a specchio blu e mi sembrava tutto semplicissimo.

Adesso sei arrivato tu. E ti trovo lì vicino.
Ecco perchè ho chiesto quello che lei aveva scritto. E' qui sotto. E io sto ancora piangendo.


La distanza che ci separa non è mai più lunga del mio braccio, ci faccio caso spesso e lo muovo apposta per vedere se è vero, se basta allungarlo un attimo e trovarti lì vicino.
Lo faccio in posti facili, tipo i pullman o gli aerei, o quando camminiamo per strada,
e poi lo faccio la sera, quando ci addormentiamo e ci prendiamo la mano e il letto diventa all’improvviso come il mare quando giochiamo a fare il morto doppio e non ci viene.
Però è esattamente in quel momento, quando fluttuiamo stando a galla e chiudendo gli occhi,
mentre il sole ci riscalda o ci prepariamo a sognare, che io sento che non ci saranno mai onda né incubo che mi faranno staccare quella mano.

Io non lo so se è stato il destino, o la fortuna, o semplicemente il caso,
so solo che un giorno ci siamo incrociati, e abbiamo iniziato ad andare nella stessa direzione.
Da allora, secondo un mio calcolo del tutto approssimativo, abbiamo fatto almeno un paio di giri del mondo.
Li abbiamo fatti a modo nostro: 
dormendo nelle periferie dimenticate della Cidade Maravilhosa, che Maravilhosa lo è per pochi,
o mangiando nei ristoranti migliori di Lima senza sborsare un centesimo.
Abbiamo cantato con un rapper buono, visitato in cella un mafioso logorroico, ascoltato i pianti silenziosi di donne torturate.

E tutto questo l’abbiamo fatto perché siamo io e te tu e io, come diciamo sempre,
non avrei potuto farlo con nessun altro e nemmeno avrei voluto.
Perché tu per me sei come me, solo più generoso, più paziente, più disposto a sospendere il giudizio e molto meno rompiscatole.

Sei anni fa, quando sei partito all'alba per il Brasile la prima volta, ti avevo scritto una lunga mail in cui ti elencavo in ordine sparso le ragioni per cui mi piacevi e l’altro giorno sono andata a ricercarla per vedere se qualcosa era cambiato. E in effetti sì: non hai più quelle orribili scarpe arancioni del Decathlon… Ma quello che non è cambiato, oltre il tuo caffé al bar la mattina e la tua camicia bianca, è come mi guardi, come ti avvicini e mi abbracci.
E’ che io in Cina con te, o da qualunque altra parte, ci andrei anche domani e che le cose belle che mi dici tu nessuno me le potrà mai dire.
Perché la vita con te è davvero più facile e piacevole del normale e perché basta un verde malesia per essere a casa. Perché so che per noi, tutto andrà bene.
E io ti prometto che sarò sempre dalla tua parte e che non smetterò di sorriderti mai.
Perché sei la mia persona preferita al mondo e se siamo assieme non mi importa più nemmeno se piove.
Ed è per questo e per diecimila altre ragioni che io, oggi come allora e come domani, voglio stare con te, per così tanto tempo da essere per sempre.

E adesso allungo il braccio e ti sposo...

lunedì 11 aprile 2016

Per Elisa

Non ha fatto una piega, Alessia, quando don Christian l'ha presa e le ha immerso la testa nel fonte battesimale. Ha mantenuto quegli occhioni verdi spalancati sul mondo come fa da quando lo ha visto per la prima volta. E quella serenità con cui, come dice Andrea, ci guarda elaborando già chissà quali pensieri, già quale visione.

Ci siamo ritrovati per il Battesimo, e siamo amiche da sempre. Dalle scuole elementari, da quando io sono arrivata in questo paese. Ne abbiamo fatte tante insieme, trascorrendo tante di quelle ore da perdere il conto. Solo che da bambine erano ore che passavano veloci; da adolescenti erano spazi imprescindibili e allungati e oggi sono frazioni di ore, messaggi, pranzi veloci, occasioni.

La nostra concezione della vita è cambiata con noi. Abbiamo assistito a bellezze e brutture. Abbiamo saputo, l'una dell'altra, dolori e gioie. Abbiamo visto le nostre lacrime, anche quelle vere. Sappiamo tutto, pur senza saper nulla di dettagliato: coincidenze, sensazioni, sogni.
Qualche lacrima è scesa anche ieri, ma aveva tutto un altro sapore. Aveva l'emozione dentro. Aveva la gioia di condividere un momento con persone che - finalmente - stanno tutte bene. Quella lacrima era per Alessia, ma era anche per noi. A noi che non abbiamo mai smesso di volerci bene.

Ho fatto la fotografa, ieri. Lei poteva scegliere un soggetto un po' più artistico per questo compito, ma ha preferito me. Queste righe sono un'integrazione a quelle immagini che so terranno per sempre.

venerdì 8 aprile 2016

Vie vecchie, vie nuove

Non scrivo da mesi.
Problemi tecnici - non ancora risolti - mi hanno impedito di continuare.
Oggi ricomincio con un'avvertenza: a batteria si è scaricata, quindi ci metterò un po' ad arrivare a regime.

La mia collega Ida se ne va.
Ha dato le dimissioni.
Prima di lei, le scorse settimane, ci sono state altre due persone.
E' una novità assoluta per me, che, fresca di stabilità, non sono io a dover cambiare lavoro per prima.
Da questa parte della staccionata assisto ad una scala mobile pazzesca, che fino a poco tempo fa, nell'ambito cui volevo appartenere per forza, non si vedeva nemmeno per sbaglio. Prima, nella mia precedente vita, era come se mille frati obesi avessero voluto infilarsi a forza nella porta stretta di Alcobaça per andare ad abbuffarsi al refettorio. Adesso le porte sono grandi e i posti a tavola sono tantissimi.

Questa ragazza è un uragano. Sono arrivata nell'ennesimo ambiente lavorativo e lei, in questo open space caotico, fatto di call, collegamenti su Skype, progetti condivisi, riunioni e visite da programmare, ha semplicemente parlato di tutto. Riuscendo persino a coinvolgermi in un corso nella palestra qui vicino.

Per sopravvivere al piccolo trauma del "sai cosa lasci, ma non sai cosa trovi", Ida è la collega ideale. Non si mette al computer come un operaio che per tutto il turno di lavoro deve occuparsi della sua parte di catena di montaggio, ma coinvolge. Include. Considera e chiede perchè vuole realmente sapere di te. Ti mette al corrente dei suoi progetti, alla prima occasione ti presenta il marito. E ti fa sudare due ore la settimana con lei a crossfit.

Ricominciare in un ambiente nuovo è un piccolo trauma. Dipende sempre, però, da come si affronta. Da cosa si è disposti a dare subito e se hai la fortuna di trovare una Ida sempre. Dopo di lei arrivano anche gli altri, ma le prime settimane sono sempre difficili (e con il tempo il periodo di assestamento di è allungato). Quelle in cui ti senti un pesciolino fuori dall'acquario. Sempre più spettinata degli altri, meno allineata nell'abbigliamento, e con la ruga della preoccupazione perenne.

Lo spazio te lo conquisti sul campo e alla lunga, ma è difficile senza una Ida.
Ho la fortuna di aver incontrato molte persone come lei, che sono rimaste. Grazie a loro, il non saper cosa trovi non è per niente male!