giovedì 31 maggio 2012

Vuoti sotterranei


 
Ci voleva il terremoto per rendersi conto ciò che ormai è sotto gli occhi di tutti.
Ciò che le associazioni ambientaliste dicono da sempre, sul depredamento petrolifero del sottosuolo della pianura (e con quello non mi pare che siam diventati tutti sceicchi), oppure della necessità di coordinare meglio le risorse per non dover poi intervenire con capitali ingenti a disgrazia avvenuta.
Che arte e comunicazione, con un corretto piano di marketing territoriale e il potenziamento tecnologico, possono salvare l’Italia e far finalmente fruttare l’immenso e senza pari patrimonio. Salvo vedere la terra che fu divisa in principati, ducati e contee sgretolarsi, e ridursi a chiedere ai cittadini di aprire i wi-fi. La terra di eccellenze gastronomiche sepolta sotto i capannoni.
E’ che siamo troppo abituati ai colpi di scena. Ci piacciono solo quelli, sia a noi giornalisti avidi di documentare il povero operaio che piange l’amico ucciso sul posto di lavoro e di ragionare a colpi di edizioni straordinarie, sia gli Italiani, che invece di mostrare una vera solidarietà son pronti con il dito puntato contro il primo capro espiatorio a caso. La parata? La parata, colpa loro! Il Papa? Il Papa, che se ne stia a casa sua! Monti? Governo ladro! Il popolo vuole segnali forti.
La mia domanda è solo una: ma dove è finita la prospettiva? Lo sguardo alle nostre spalle, la pianificazione del futuro? Territorio, arte, innovazione, non sono parole con cui riempirsi solo la bocca (o noiosa, o inutile, come istruzione). Concetti troppo astratti? Non credo. Una terra curata da uomini, abbellita da uomini, migliorata da uomini e nutrita anche culturalmente da uomini. La deficienza di contenuti mi sembra davvero molto più profonda. 

In questi giorni ho raccolto lo sfogo di due amici. Una mi ha scritto in privato.
Vivo delle situazioni giornalmente con persone che non sopporto, di cui non capisco la mente, ipocrite e cattive, ma che purtroppo devo affiancare per vivere per lavorare per far star bene i miei bimbi e la mia famiglia ... e mi sento una grande ipocrita ... io credo nella sincerità nell'onestà nel rispetto (grande rispetto) dei sentimenti, degli ideali, ma purtroppo la realtà è un'altra, esigiamo dagli altri cose che purtroppo a volte noi tradiamo e anche alla grande ... che amarezza ... 

L’altro sulla mia bacheca, e il contesto riguardava La Storia Siamo Noi su Falcone e Borsellino.
Puoi cercare di capire perchè il sole è giallo, il cielo blu, i prati verdi? No. Non credo. Ho due nipoti grandi. Uno laureato in "geografia" e uno che lavora come operaio da oltre 6 mesi. Il laureato si perde nei sogni assurdi, mi piacerebbe, vorrei fare, e non fa un tubo a parte qualche vacanza con gli amici (pagata da mio cognato). L'altro almeno lavora seriamente e si fa il mazzo. Ma prova ad affrontare un discorso politico, di cultura generale, non seguono manco le macchine...Al soliti diciamo una riga di cazzate e basta. E i loro amici (tutte brave persone per carità) vuote come campane.... A proposito di generazioni la mia (sono del ‘64) è una delle peggiori. Non abbiamo fatto il '68 ne il '77. Ci siamo trovati tutto o quasi fatto. E a livello classe dirigente ci hanno saltati. Passati i 50enni sono subentrati i 30enni. Perchè noi in generale non abbiamo proprio giocato. Siam rimasti fuori dagli schemi. E non abbiamo fatto nulla di utile per migliorare la società. Ai miei tempi bastava avere la GOLF ed eri un grande figo. Se parlavi di politica risultavi il rompicoglioni. Erano gli anni '80 gli anni del boom fittizio generato a forza di debiti da Craxi e soci. Si stava bene. Perchè porsi domande del tipo: ma siamo sicuri che tutto vada bene?

E’ che sono un’inguaribile ottimista, e mi son detta che certi momenti di sconforto, per così dire, o di amara considerazione, capitano a tutti.
Ma poi è arrivato il terremoto. E mi hanno raccontato cosa è successo l’altro ieri in una certa scuola elementare di un certo paese dell’hinterland milanese. Di una vigilessa (polizia municipale, garante dell’ordine e della sicurezza pubblica, così, giusto per rimarcare il ruolo) che di nascosto, con il cellulare di servizio, permetteva che i bambini spaventati chiamassero i genitori, generando un’ansia ben più maggiore del pericolo corso; che volesse accompagnare dentro la scuola evacuata i bambini. Che maestre annoiate e per niente propense a curar la propria classe in giardino pretendessero i bicchieri di vetro della mensa per non far bere i loro bambini nei pochi bicchieri di plastica disponibili, o che chiedessero alle bidelle di entrare a scuola (evacuata) per far loro il caffè. Che i genitori accorsi a ritirare i ragazzi pretendessero che fosse loro resa la cartella, rimasta nelle classi della scuola (sempre evacuata).
E allora l’ottimismo se n’è andato. Perché siamo una manica di egoisti, piccoli individui che dividono il mondo in caste secondo valori decisamente terreni. Che del terremoto non ce ne frega poi molto, siamo solo spaventati se ogni tanto ci trema un po’ il culetto. Che fa fatica a mandare un sms, perché tanto chissà dove vanno a finire i soldi. 

Varrebbe la pena di riflettere come ci siamo arrivati, a questo punto.

giovedì 24 maggio 2012

Ci pensa la vita, mi han detto così

L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Solo che il lavoro ti classifica come le classi energetiche degli elettrodomestici. A seconda di com'è rientri nella classe A+, A, B, C. Un amico l'altra sera mi raccontava come nella sa ditta si entra solo per via interinale: contratti di due mesi in due mesi rinnovabili fino a due anni, poi il gioco si ripete cambiando agenzia interinale, poi la ditta può decidere per un paio di contratti a tempo determinato da 9 mesi ciascuno, e poi boh. E intanto sono passati più di 5 anni di vita e di scelte condizionate, e buona pace se questo significa non sposarsi o non fare figli o non mandarli all'asilo o chissà che altro.
E allora...ci vuole passione. Passione, nel senso letterale del termine. Passione significa sofferenza. Simpatia significa soffrire insieme. Passione, simpatia: è strano come nel nostro immaginario queste parole siano associate alla positività, al sorriso, alla gioia. Ma le persone appassionate e simpatiche lo sanno meglio di tutti gli altri quel che c'è dietro, quel che c'è intorno a questa gioia di vivere. Stai a vedere, allora, che le prove, gli ostacoli, le gare richieste o meno e le difficoltà, tutto debba essere necessario per meglio gioire, e per meglio accarezzare la felicità. Un dualismo bello e terribile, proprio dell'uomo e che anche le semplici, bistrattate, maltrattate parole testimoniano. E' colpa di queste radici semantiche se ho scelto questo mestiere e questo percorso...
La passione anima ogni singola giornata. La fatica c'è, ma se a questa, appunto, non si accompagna il sorriso e la gioia, resta vuota e sprecata. La passione si sente, come recita lo slogan di una radio nazionale. Ed è così, resta, agisce, modella il nostro essere. Si sente, ne facciamo tesoro, la condividiamo.
Dedico questo post a un'amica che due anni fa ha raccolto un pomeriggio di lacrime amare. Salvo assistere a una telefonata, in quello stesso pomeriggio, che mi avrebbe cambiato l'esistenza. La sua simpatia mi ha dato la forza di continuare ad appassionarmi, di tornare a sorridere. Non credo di averla mai ringraziata abbastanza.

giovedì 17 maggio 2012

Spettinate a vita!

Oggi ho imparato che bisogna lasciare che la vita ci spettini, perciò ho deciso di vivere la vita con maggiore intensità. Il mondo è pazzo, decisamente pazzo... Le cose buone, ingrassano. Le cose belle costano. Il sole che ti illumina il viso fa venire le rughe. E tutte le cose veramente belle di questa vita spettinano...
-Ridere a crepapelle spettina.
-Viaggiare, volare, correre, tuffarti in mare spettina.
-Baciare la persona che ami spettina.
-Cantare fino a restare senza fiato spettina.
-Giocare spettina.
-Ballare fino a farti venire il dubbio se sia stata una buona idea metterti i tacchi alti, stanotte, ti lascia i capelli irriconoscibili.
Quindi ogni volta che ci vedremo avrò i capelli spettinati...Tuttavia, non dubitare che io stia vivendo il momento più felice della mia vita. E' la legge della vita: sarà sempre più spettinata la donna che sceglie il primo vagoncino sulle montagne russe di quella che sceglie di non salire...
Può essere che mi senta tentata di essere una donna impeccabile, pettinata ed elegante dentro e fuori. Questo mondo esige bella presenza: pettinati, mettiti, compra, corri, dimagrisci, mangia bene, cammina diritta, sii seria... Forse dovrei seguire le istruzioni però...quando mi ordineranno di essere felice? Forse non si rendono conto che per risplendere di bellezza mi devo sentire bella..la persona più bella che possa essere! L'unica cosa che importa è che quando mi guardo allo specchio, veda la donna che voglio essere.
Perciò una raccomandazione a tutte le donne: Abbandonati, mangia le cose più buone, bacia, abbraccia, balla, innamorati, rilassati, viaggia, salta, vai a dormire tardi, alzati presto, corri ,vola, canta, fatti bella, mettiti comoda, ammira il paesaggio e soprattutto... lascia che la vita ti spettini!!! Il peggio che può succederti è che, sorridendo di fronte allo specchio, tu debba pettinarti di nuovo!!!

L’ha pubblicata qualche tempo fa Anna sulla sua bacheca. E io OGGI ho il dovere di copiarla, mi prendo tutte le mie responsabilità!
Anna è l’antidoto alla tristezza. E’ solare, ha sempre il sorriso, ti accoglie come se ti avesse lasciato solo un paio di minuti prima e invece son passati mesi. Anna ascolta e consiglia in un modo che non vuole mai essere pretestuoso, è un consiglio carico di affetto. Si è scelta il suo lavoro e lo sta portando avanti con entusiasmo. E’ LA wedding planner, ma organizza tutti gli eventi possibili e sa indirizzare chiunque verso un festeggiamento adeguato all’occorrenza e alla capacità. Io l’adoro, perché la vita non è facile per nessuno, ma lei mi insegna sempre che noi siamo più forti!

mercoledì 16 maggio 2012

Sovrastrutture

Sono quelle che caratterizzano noi femminucce. Che ci fanno pensare che il nostro è davvero un pianeta diverso rispetto a quello maschile. Di cui invidiamo la semplicità, a volte decisamente disarmante, a volta tanto diretta da chiederci se la nostra ansia architettonica serve, o servirà, mai a qualcosa.
Perchè siamo sempre lì a costruire e costruire e a pensare come tirarle su, queste armature, barriere, maschere, maniere. Ci sono sovrastrutture che ci divertono. Fanno talmente parte di noi, ci nasciamo, che neanche ci accorgiamo di averle erette fin dai nostri giochi da bambine. Abbigliamenti, atteggiamenti, sguardi e sorrisi spontanei in tenera età, ma già ben calcolati. Per poi crescere e mantenere abbigliamenti, atteggiamenti, sguardi e sorrisi sempre meno naturali, sempre più circostanziali, manieristici. Quando capita di essere se stessi è quasi un evento raro. Quando i capelli sono spettinati, il rimmel sbavato, quando il pantalone è quello della tuta quasi ci si guarda intorno furtive per carpire lo sguardo di chi ci sta guardando con chissà che rimprovero. Quando siamo deluse, il cuore sanguina, non possiamo darlo a vedere, "piuttosto la morte", mi ha detto qualche giorno fa una giovane amica. E persino quando conosciamo altre donne l'istinto è di erigere qualche barriera per capire che direzione scegliere.
Ci sono donne che non si rilassano mai. Sono sempre lì all'erta, navigano sempre con l'occhio fisso sull'orizzonte, perchè l'iceberg - la storia insegna - è lì davanti e schivarlo è impresa difficilissima.
Fanno bene. Perchè nonostante le accortezze l'altra parte dell'universo ci mette poco ad appiccicare sopra la sua bella etichetta. Basta un passo falso ed ecco la lettera scarlatta. Anche se il passo è identico a quello appena percorso dal maschietto in questione. Che si aspetta, come il padre, il nonno, il bisnonno e giù via fino alla settima generazione, che la donna sia tutto e niente. Bella pretesa. Belle teste su cui far rovinare, tutte insieme, le nostre meravigliose sovrastrutture.

venerdì 11 maggio 2012

Il medium è il messaggio


Sì, certo, lo ammetto ma lo so benissimo. Sono malata di socialità. Non posso vivere senza relazioni sociali e virtuali, che in realtà odio e considero solamente un'estensione di quelle concrete, a differenza di chi le ha completamente sostituite al vero, facendosele bastare.
Sono stata cazziata per l'alto tasso di interazione che pretendo e che fornisco. Effettivamente, secondo le logiche comunicazionali, il troppo rischia nel migliore dei casi di causare una sorta di cattivo comportamento, di maleducazione, nel peggiore di rovinare la reputazione.
Correrò, e corro, questo rischio. Sono stata cazziata anche per l'esistenza di questo blog. Un non-luogo di fatti miei. E' vero; e quindi? Qual è il problema? L'intento è stato ampiamente dichiarato e ribadito fin dai primi post. Il Paese è libero, per quanto mi risulta, mi servo di un software fatto apposta, nessuno ha avuto reazioni allergiche. E comunque non è per nulla obbligatorio.
Non è colpa mia se subisco il fascino dell'evoluzione digitale, che quantomeno per ambito professionale non posso comunque ignorare. Continuo a nutrire un sano stupore verso l'evoluzione del nostro linguaggio, virtuale e reale, come quello della famiglia seduta di fianco a me questa mattina in treno. Genitori stranieri che parlano la lingua d'origine tra loro, perfetto italiano delle due bimbe che lo usano tra loro e per reclamare e con la mamma, costringendola ad un rapido cambio di registro.
Al critico moderatore dei fatti miei rispondo con le parole di chi ha fatto della comunicazione la sua ragione di vita. "Abbiamo esteso il nostro stesso sistema nervoso centrale in un abbraccio globale che, almeno per quanto concerne il nostro pianeta, abolisce tanto il tempo quanto lo spazio."
E pensare che quest'uomo si riferiva alla televisione.

venerdì 4 maggio 2012

Fortune

Davanti all'ufficio (quello del lavoro serio) c'è una cooperativa. E' un centro per ragazzi disabili: li fanno studiare, li fanno divertire, li fanno un po' lavorare. Per esempio, se le ditte della zona devono stampare un buon numero di fotocopie, lo fanno fare a loro.
I ragazzi hanno età varie, arrivano coi genitori, ci sono dei pullmini. I ragazzi, come tutti i ragazzi del mondo, hanno lunghe giornate davanti a loro, cui dare un senso.
Niente di più semplice, no? Fare merenda, dormicchiare, guardare la tv, prendere la bici e uscire, fumarsi una sigaretta (di nascosto o no, a seconda dell'età), passare dal bar, giocare alla play...eccetera eccetera eccetera. Studiare, magari. Fare sport. Facile, insomma, per chi dà per scontato molto. Semmai il problema sta nel diversificare le giornate.
Oggi sono arrivata e c'era un ragazzo down in mezzo sulla strada. Camminava tra il ciglio e le auto parcheggiate. Parlava tra sè, aveva il volto corrucciato. Il cancello della cooperativa era aperto. Aveva senz'altro litigato con qualcuno, magari solo un rifiuto, un piccolo battibecco, chissà. Non sapevo che fare, ma poi ho visto l'educatrice arrivare. L'ho guardata mentre circondata con un braccio le sue spalle e, lentamente, lo riportava dentro, al sicuro e lontano da una via su cui passano auto e mezzi pesanti, una via di una zona industriale.
Non bisognerebbe mai dar niente per scontato. Non bisognerebbe mai abbassare la soglia del rispetto. E' vero, capisco, so che non è possibile, molto spesso e anzi quasi sempre. Ma basta un pizzico di onestà, quanto basta, nella ricetta della nostra vita.

giovedì 3 maggio 2012

Io sto con Delio

E il bello è che ci crediamo tutti, che il calcio sia uno sport al pari degli altri. La bugia a noi stessi che si rafforza negli anni olimpici, anche se poi, quando muoiono giovani nuotatori medaglie d'oro, hanno lo spazio che hanno.
Ci crediamo tutti quando iscriviamo i nostri bimbi ai pulcini e poi via via alle categorie superiori. I nostri campioncini, chi meglio di loro? Che fanno allenamenti in campi fangosi e pietrosi, che poi noi seguiamo al sabato, e alla domenica, su altrettanti campi fangosi e pietrosi, sfoderando tutto il nostro orgoglio e tutta la nostra aggressività contro gli altri bambini, contro gli altri genitori, contro gli arbitri, contro gli allenatori, contro i dirigenti. Quasi contro il primo che passa. Una violenza che nasce lì, che non si limita a due parole, e nemmeno a quattro bestemmie, ma che passa spesso ai fatti, agli appostamenti, alle punizioni.
Poi c'è il campioncino che emerge, quello che ha passato l'adolescenza a fare muscoli e a correre, a correre. Che si è fatto il fisico, magari aiutato un po' con l'alimentazione, qualche proteina, chissà. Quello che è coccolato, la luce degli occhi di mammà e papà, con la tuta giusta, la scarpa giusta, il sorrisetto spavaldo, che fa comunella con i compagni di squadra. Con qui prima fa la gara a chi ce l'ha più lungo in spogliatoio, e poi il confronto passa per locali e discoteche. Tra ragazzine allisciate con gli occhi che luccicano.
E poi c'è la fortuna di fare il salto. Un'emozione che dura sempre di meno, pare. Perchè subito si avanza la pretesa di avere la macchina dello sponsor (ultimo modello, eh), l'autista per la riabilitazione, il tavolo al ristorante anche solo per giocare svaccatamente a carte. Senza concedere un autografo al bimbo che ti guarda con occhi sgranati qualche sedia più in là, sbuffando ai ritiri. Che palle, ancora correre. Sìsì, fai foto, fai foto, fai foto!
E poi? Niente, c'è il presidente che ti asseconda e che ti insegna come l'arroganza paghi comunque. Alla presentazione del calendario, ai microfoni, allo stadio. Contro il suo allenatore, che alla fine cos'è, una pedina? E perchè io non dovrei trattarlo alla stessa stregua? In fondo la star sono io, sono io il sacchetto di soldi che cammina. Io, io, io.
Ci deve pur essere quello cui dare mazzate sulle orecchie. Come ti permetti, vecchio rimbambito, di mettermi fuori rosa? Diversificare il mio allenamento? Cambiarmi di ruolo? Addirittura sostituirmi? Sei proprio un handicappato, come tuo figlio, forse di più.

Ho l'impressione che il sistema sia impazzito. Come al solito non succede all'improvviso. La cultura è un elefante invisibile che impiega decenni per trasformarsi. Lento e ingombrante. La funzione sociale del calcio in Italia è morta. Adesso so che la mia tesi di laurea si può davvero buttare nel cesso.
Adesso c'è solo la fila, tutti a condannare il vecchio rimbambito che ha perso la pazienza, che non ha più un ruolo di "guida". Esonerato, un atto dovuto.
Forse la riflessione andrebbe fatta a ben più alti livelli.

martedì 1 maggio 2012

Sono fuori dal tunnel (?)

Non possiamo  pretendere che  le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose.
La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall'angoscia come il giorno nasce dalla  notte oscura. E' nella crisi che sorge l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi  supera sé stesso senza essere 'superato'.
Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell'incompetenza. L'inconveniente delle persone e delle nazioni  è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c'è merito. E' nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il  conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l'unica crisi pericolosa, che  è la tragedia di non voler lottare  per superarla."
Albert Einstein


Ho tre lavori. Anzi, ne avevo tre fino a ieri, quando ho deciso di licenziarmi da quello della domenica. Ironia della sorte, era l'unico contrattualizzato (a tempo determinato, interinale, ma pur sempre un contratto). Mi ha perciò sfiorato l'idea di stare per commettere una cazzata. Ma mi è bastato pensare ai 4 mesi che mi son lasciata alle spalle, senza un giorno di riposo, per capire che dovevo farlo.
2 lavori, dunque, un
terzo che si aggiunge all'occasione, un quarto che arriverà con l'estate, se tutto va, incrociando tutte le dita possibili, toccando ferro e non altro, essendo sprovvista di attributi, quantomeno visibili.
Tutti, insieme, non ne fanno uno. Sottopagati, a 60/90 giorni, pagati con una mancia, senza ferie, malattia, contributi. Vari. E se non ci fossero, non c'è (la consecutio è sbagliata, lo so, ma la certezza matematica dell'affermazione non mi permette di usare un "sarebbe") nessun sussidio di disoccupazione.
E quindi sono stufa di sentirmi dire "ma che ci fai qui?" e anche "sei ovunque". Perchè sarò anche ovunque, ma non dove vorrei. Mi sono sfrantumata le palle di sentirmi dire che merito di più. Spaccata i coglioni di sguardi pieni di meraviglia e di stupite considerazioni di quanto sia brava. Anche questa contessina, ogni tanto, perde la pazienza.
Oggi è il primo maggio. La festa dei lavoratori. Una ricorrenza che ha perso più valore di quanto lo abbia fatto mai la festa della donna. Ma non mi va di lamentarmi, sono davvero stanca (mi sembra di averlo ribadito). Certo, mica facile applicare il pensiero dell'Albert, lo so bene, benissimo, fin troppo. Ma poi c'è il confronto: chi ha lavorato per 4 mesi 12 ore al giorno per portare la mamma in vacanza, chi si ritrova senza ferie perchè non percepisce di avere un contratto, finalmente, dopo 6 anni di precariato; chi ce ne ha messi 11 prima di approdare ad un porto sicuro. Chi sa che presto il mensile presso cui lavora chiuderà e dovrà di nuovo reinventarsi. Chi si paga le trasferte in anticipo. Tutte queste persone, me compresa, hanno però un brutto vizio: quello della cocciutaggine. 


O quello della stupidità.