giovedì 3 maggio 2012

Io sto con Delio

E il bello è che ci crediamo tutti, che il calcio sia uno sport al pari degli altri. La bugia a noi stessi che si rafforza negli anni olimpici, anche se poi, quando muoiono giovani nuotatori medaglie d'oro, hanno lo spazio che hanno.
Ci crediamo tutti quando iscriviamo i nostri bimbi ai pulcini e poi via via alle categorie superiori. I nostri campioncini, chi meglio di loro? Che fanno allenamenti in campi fangosi e pietrosi, che poi noi seguiamo al sabato, e alla domenica, su altrettanti campi fangosi e pietrosi, sfoderando tutto il nostro orgoglio e tutta la nostra aggressività contro gli altri bambini, contro gli altri genitori, contro gli arbitri, contro gli allenatori, contro i dirigenti. Quasi contro il primo che passa. Una violenza che nasce lì, che non si limita a due parole, e nemmeno a quattro bestemmie, ma che passa spesso ai fatti, agli appostamenti, alle punizioni.
Poi c'è il campioncino che emerge, quello che ha passato l'adolescenza a fare muscoli e a correre, a correre. Che si è fatto il fisico, magari aiutato un po' con l'alimentazione, qualche proteina, chissà. Quello che è coccolato, la luce degli occhi di mammà e papà, con la tuta giusta, la scarpa giusta, il sorrisetto spavaldo, che fa comunella con i compagni di squadra. Con qui prima fa la gara a chi ce l'ha più lungo in spogliatoio, e poi il confronto passa per locali e discoteche. Tra ragazzine allisciate con gli occhi che luccicano.
E poi c'è la fortuna di fare il salto. Un'emozione che dura sempre di meno, pare. Perchè subito si avanza la pretesa di avere la macchina dello sponsor (ultimo modello, eh), l'autista per la riabilitazione, il tavolo al ristorante anche solo per giocare svaccatamente a carte. Senza concedere un autografo al bimbo che ti guarda con occhi sgranati qualche sedia più in là, sbuffando ai ritiri. Che palle, ancora correre. Sìsì, fai foto, fai foto, fai foto!
E poi? Niente, c'è il presidente che ti asseconda e che ti insegna come l'arroganza paghi comunque. Alla presentazione del calendario, ai microfoni, allo stadio. Contro il suo allenatore, che alla fine cos'è, una pedina? E perchè io non dovrei trattarlo alla stessa stregua? In fondo la star sono io, sono io il sacchetto di soldi che cammina. Io, io, io.
Ci deve pur essere quello cui dare mazzate sulle orecchie. Come ti permetti, vecchio rimbambito, di mettermi fuori rosa? Diversificare il mio allenamento? Cambiarmi di ruolo? Addirittura sostituirmi? Sei proprio un handicappato, come tuo figlio, forse di più.

Ho l'impressione che il sistema sia impazzito. Come al solito non succede all'improvviso. La cultura è un elefante invisibile che impiega decenni per trasformarsi. Lento e ingombrante. La funzione sociale del calcio in Italia è morta. Adesso so che la mia tesi di laurea si può davvero buttare nel cesso.
Adesso c'è solo la fila, tutti a condannare il vecchio rimbambito che ha perso la pazienza, che non ha più un ruolo di "guida". Esonerato, un atto dovuto.
Forse la riflessione andrebbe fatta a ben più alti livelli.

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