giovedì 28 luglio 2011

Fuga per la Vittoria

Sono una giornalista fuori dalla casta. Zero benefit, zero contratto, zero (o quasi) previdenza, zero disoccupazione.
E, soprattutto, mi manca la faccia tosta per quella cosa fondamentale di cui tutti i giornalisti si nutrono per non morire nel loop di corte, turni, albe, notti, notizie dell'ultima ora. E in particolare, quelli precari che devono crearsi un diversivo per non morire di ansia in prossimità delle scadenze dei propri contrattucoli: gli accrediti.

Ma ogni tanto ce la faccio anche io a superare quello scrupolo e avanzare quel "diritto" di presiedere a belle cose. Tipo ieri sera.
A due passi dalla radio c'è stata la presentazione dei calendari di Serie A per la prossima stagione. Ho colto quindi l'occasione, anche perchè ero splendidamente accompagnata. E l'ho colta anche per rivedere un po' di addetti ai lavori di quel mondo a cui da sempre mi piacerebbe appartenere.

Gli studi televisivi di Sportitalia, dunque. Il nostro timido ingresso, i primi saluti. Le sedie rimediate nel "settore ospiti", il rifiuto di andare a occupare i posti dietro ai rappresentanti dei club calcistici. A favore di telecamera sarebbe stato decisamente troppo.

Un'ora di diretta condotta da Alessandro, che mi ha salutato con un eloquente: ma tu che ci fai qui? (vedi la premessa a questo post). Un freddo da freezer e la trasmissione. Loro, presidenti, amministratori delegati, dirigenti, tutti schierati in prima fila. Al centro un tronfio giornalista sullo sgabello (stile Stregatto), con il conduttore una ex Miss Italia. Come volevasi dimostrare.

La presentazione era iniziata da un quarto d'ora forse. Ed ecco il colpo di scena. O meglio, di scemenza. Il presidente del Napoli che era giunto in auto fin quasi alle porte degli studi si alza e se na va, semplicemente. Sparisce. "Siete delle merde!", urla fuori. Ovviamente non era rivolto a noi tre ghiaccioli congelati, ma agli elfi dell'estrazione casuale del calendario, rei confessi di aver messo partite importanti a ridosso degli impegni di Champions League del Napoli (e fa niente se non è l'unica squadra impegnata nel torneo).

E vabbuò. Questo si alza e si volatilizza. Letteralmente. Non se ne accorge nessuno. Passa dietro una tenda, forse. Con un lunghissimo attimo di ritardo i colleghi seri si riscuotono dal momento di smarrimento e lo inseguono. A lungo, uno sciame di microfoni e telecamere. E lui farnetica, per un altro quarto d'ora, furiosamente camminando senza meta. Finchè afferra per una spalla un ragazzo in scooter che aveva rallentato per guardare e salta in sella. Così. Senza casco. Mi risparmio il commento sulla naturalezza del gesto.

Il resto è cazzeggio. La diretta finisce, arriva il buffet. Bello, perfetto, quasi finto, con quelle tartine microscopiche. Ma a noi interessa poco. Io, Federica, Matteo, la neoconoscenza Andrea chiacchieriamo e, per quanto mi riguarda, evito di star troppo vicino alla Zamparo, che ha le gambe alte come me. Poi le foto allo scudetto e il fotografo Christian, che sarà a San Siro ad ogni partita, a bordo campo.

Insomma. Per noi una serata bellissima. Per "loro" un po' di pepe ad una presentazione altrimenti piatta. Sarà. Per essere un produttore cinematografico, comunque, Aurè mi ha sbagliato i tempi.

mercoledì 27 luglio 2011

Milanopoli

Ieri pomeriggio avevo un appuntamento in Cadorna. Mi sono detta: andiamoci in macchina, il periodo lo permette. E infatti è stato tutto perfetto. Anche il parcheggiatore cingalese che mi ha venduto il grattino e che mi ha fatto ridere: segna le 15, qualche minuto in più cosa vuoi che sia, in questo Paese c'è chi ruba i miliardi!, mi ha detto d'impulso, e poi si è scusato per la battuta.

Al termine del mio impegno ho recuperato l'auto e ho attraversato la città alla volta di Lambrate. E, sempre consapevole del periodo, l'ho fatto per vie centralissime. Stupendomi, ancora una volta, di quanto sia effettivamente piccola questa Milano.
E per l'ennesima volta di quanto sia bella.

Mi sono inventata un gioco. Che faccio in automatico quando non ho fretta e posso camminare, o posso guidare con la calma che mi consente in ogni caso il traffico. Quando posso guardarmi intorno. Di solito faccio affidamento sul mio senso dell'orientamento e faccio sempre strade diverse. E mi immagino come sarebbe vivere in quelle che mi colpiscono.
Ieri il gioco si è innescato in via Vincenzo Monti. Saranno stati gli alberi carichi di fogliame, il pavè, o la bellezza del centro.
Non so. Solo che poi non mi sono fermata. Via Carducci. Via De Amicis. Largo Augusto. Corso Monforte. Corso Indipendenza. Ma solo perchè stavolta passavo di lì.
Come sarebbe, abitare a Milano.

Lo so, lo so. Spesso non c'è niente di romantico. Ma mi diverte. Come pensare di acquistare davvero il Parco della Vittoria.

lunedì 25 luglio 2011

Altro che Stanlio e Ollio

C'è del comico in ogni piccola tragedia.
Già io e la Manu lo avevamo sperimentato al matrimonio di Stefano e Veronica, quando lei per l'intero pomeriggio aveva avuto la bellissima pensata di lasciare i fari dell'auto accesi. Vedere papà, gli zii e il cugino spingere inutilmente la Clio nel buoio del parcheggio ci aveva...come dire...messo una certa allegria. Forse anche per il vino, chissà. Fino all'applauso per il coupe de teatre risolutore: lo zio che sfodera i cavi, l'altro che li attacca delicatamente e via, verso casa.
Stavolta non c'erano stati troppi brindisi, e nessuna allegra compagnia di supporto. Soprattutto per la Manu, che, rincasando, a trovato la casa visitata. Rovistamenti, due finestre da cambiare, chiavi che mancano, e quel senso di malessere causato dalla violazione di quello che consideri da sempre un porto sicuro. Ha chiamato gli zii, i carabinieri, me con Davide e Giusy. Io sono arrivata prima dei due uomini in divisa, ma questo, quasi, non c'era neanche bisogno di dirlo. E quando questi sono giunti la tragicommedia, anche se involontaria, ha avuto inizio. Sarà per la loro richiesta di "permesso" in una casa discretamente sottosopra. Di Ciccio che li squadra con il faccino serio e non si sposta dal tappeto di un millimetro, prima di correre dalla zia a farsi coccolare insieme alla Maya, che fino a qual momento aveva preferito rotolarsi nel tappeto. Le raccomandazioni tardive sull'antifurto, o quel verbale redatto sempre sotto lo guardo attento dei due mici.
Non so. Ieri, domenica, è stato il giorno della denuncia in caserma. Io con le occhiaie, altri due giovani in divisa che si prendono per i fondelli, da buoni commilitoni, e che scherzano sulla mia età anagrafica.
C'è del comico in tutto, per quel che mi riguarda. Alla Manu viene un po' meno da ridere, in realtà, ma sto facendo di tutto perchè passi.

giovedì 21 luglio 2011

Milano mon amour

Martedì aperitivo in Terrazza.
Sì, ma quella dell'Hotel Cavalieri, in piazza Missori, Milano, Italy, Mondo.
La Terrazza Ramazzotti, al decimo piano, a due passi dal Duomo.
E fin lì sotto ci arrivo con l'auto. E fin lì sopra ci arrivo con Marco, Paolo arriverà con calma, e ci trovo altre ragazze, altre persone. Quarantenni rilassati e realizzati che mi tranquillizzano.
Anche perchè, qui, a togliere il fiato, ci pensa il panorama. Su una Milano bassa, tra palazzi storici, ex monasteri, ex ospedali, qualche palazzo più alto e, soprattutto in lontananza, le luci lampeggianti della Fiera, dietro lo Stadio. Tante le nuvole, un insolito freddo per questo pazzo luglio, ma che quasi non si sente.
Questa città è di una bellezza sconvolgente. Sotto la pioggia, al crepuscolo, e poi con le luci che si accendono lì sotto una dopo l'altra, i lampioni gialli del centro storico. Bella come chi corre tutto il giorno e che poi, stanca, si lascia andare per un attimo sul divano, coi capelli che sfuggono e il sorriso grato, dopo tanto correre. Bella da togliere il fiato, da ripercorrere velocemente e senza fretta insieme per tornare a casa. Di quella bellezza che fa sempre così: ti sorprende ogni volta.
Dopo la pioggia, oggi, questa città si è regalata una giornata splendida. Tersa come raramente succede, con un cielo di un azzurro perfetto e una luce meravigliosa. Chissà come sarebbe stato, stasera, lo stesso aperitivo. Ma va bene così... (lo stesso) senza parole.

martedì 19 luglio 2011

La vera spazzatura

Un amico napoletano, tempo fa, mi ha raccontato a grandi linee come si vive senza lavorare a Napoli. Con quel suo accento e il suo modo spezzettato di raccontare fatti e vicende, che deve essere ormai intrinseco di persone abituate a dire e non dire, a svelare e tener nascosto.
Mi ha raccontato di liste elettorali, gruppuscoli politici di iniziativa popolare che poi ricevono finanziamenti dai partiti e li ripartiscono ai clienti.
Mi ha raccontato di liste di disoccupazione travestite da gruppi culturali o da circoli di zona. Una certa "organizzazione" di non lavoratori che avevo intuito esistesse fin dai tempi in cui mi occupavo di traffico per le radio, sia a livello stradale e autostradale, sia a livello cittadino, quando sentivo la polizia municipale di Napoli parlare tutti-i-giorni-tutti di manifestazioni in piazza Càvur, con buona pace del Camillo Benso (non tutti, in realtà: d'estate e nelle belle giornate son comunque tutti al mare).
E mi ha raccontato dei rifiuti. "Con i rifiuti ti copri d'oro", mi aveva detto. Come? Il segreto sta nel trasporto. Entrare in una delle (perchè, poi, non una) aziende che gestiscono la raccolta ed è fatta. Fare il giro, mettersi in fila alla discarica, e a quel punto spegnere il motore del fungoncino e lasciarlo lì, in coda. Vai tranquillo che il giorno dopo lo ritrovi sempre lì e sempre in coda, insieme agli altri. E la serata è garantita, tempo per un'accurata doccia compreso.

E' chiaro, lampante, che questa nuova Amministrazione a Napoli "non è gradita". Ci sono barricate e ostruzioni e incendi e tonnellate ed estensioni del problema alla provincia forse anche maggiori delle volte precedenti. Ci sono difficoltà a replicare i precedenti "colpi di spugna", non interviene più l'esercito. Le imprese entrano improvvisamente in sciopero, e nonostante le raccolte porta a porta e i volontari e la differenziata non sembrano esserci progressi. Anzi.
Il sindaco e il suo vice sono costretti a stringere accordi con un Paese straniero per portare via la munnezza via mare e a tenerlo segreto, per timore di altri sabotaggi. Questo dimostra quando l'autorità pubblica abbia perso proprio una parte della sua essenza, "l'autorità". Questo dimostra quanto ancora ci sia da fare, quanto sia difficile senza perdersi d'animo.

Mi ha sempre colpito quel modo di spezzettare la verità. Involontario, probabilmente. Culturale. Tanto che, quando uno di loro ne fece un discorso organico e lo mise per iscritto fu come squarciare il velo del tempio. Quell'uno è Roberto Saviano. Che scrisse un'intera sezione di quel Gomorra sui rifiuti, nascosti in ogni dove, che paiono proprio saltare fuori da ogni dove ora.
Non fece altro che unire i puntini. Cose che già si sapevano, dissero sconsolatamente gli inquirenti. E quindi, ora, cose che si sanno. Mi piacerebbe che certe persone, lassù ai piani alti, smettessero di minimizzare e banalizzare questa emergenza legale.

lunedì 18 luglio 2011

Va tutto bene

Basta un gelato con un'amica che non vedevi da tempo perchè il sereno torni di nuovo. Anche in una giornata, quella di ieri, che di sereno non ha nulla: cielo plumbeo e gonfio di pioggia, e persino un terremoto in pianura in serata.

Un gelato, un gradino, qualcuno da salutare che scende dall'auto e va. E le nostre parole che scorrevano via, come quella pioggia che non è mai arrivata. Per capire che, alla fine, va tutto bene. Per capire che, in fondo, andava bene anche prima, e sarà così anche per il futuro.
Un gelato domenica, un bagno di folla sabato sera, in quello che per sempre resterà il mio paese, anche se non ci abito più. Chi amo, chi amavo, e chi ho imparato ad evitare perchè mi ha ferito. C'erano quasi tutti, c'era anche chi non mi sarei mai aspettata di ritrovare.

Ieri sera, poi, mi sono imbattuta in un documentario sulle trentenni. Era trasmesso da Mtv. Mi sono chiesta perchè questo genere di narrazione non possa essere trasmesso da una bella tv nazionale di massa. Da una bella tv di Stato, che preferisce La Signora in Giallo (non me ne voglia la Jessica).
Ma solo per mostrare, con un sorriso, che alla fine esistono "forme alternative" di vita che non hanno nulla di scandaloso. Forme di vita che, per una miriade di motivi, non sono più tradizionali, per quanto questa parola possa aver ancora un valore.

Per capire che, alla fine, va davvero tutto bene.

venerdì 8 luglio 2011

Divieti di accesso

Ho fatto alba in radio, settimana scorsa. Venerdì. Nel quotidiano flusso delle notizie da vagliare c'era il matrimonio del principe Alberto, con le sue ombre. Mi è sfuggito un commento acido, e la mia collega mi ha chiesto: ma perchè ce l'hai tanto con i ricchi?

Non ho risposto. Più che altro perchè non sapevo come, non ci avevo mai pensato, in realtà. Ma ci ho riflettuto.
Non ce l'ho con i "ricchi". Per niente. Se lo sono, il più delle volte se lo sono meritato, o qualcuno ha versato sangue, lacrime e sudore per raggiungere quello status. Non è odio, è ammirazione per chi ha saputo cogliere l'attimo, intravedere una via, cavalcare il cavallo vincente. E per chi vive bene, nel giusto, nella vita che si è costruito, senza renderla un inferno.

No, cara amica, prima che collega. Non ce l'ho con nessuno, tranne che con me stessa.
Che ho il frigo vuoto da tre mesi. Che tremo ogni volta che devo far benzina. Che davanti alla porta del parrucchiere, prima di posare la mano sulla maniglia, mi chiedo dieci volte se ne vale la pena. Che vorrei mettere una libreria in casa, o la zanzariera, o l'allarme, ma posticipo. Che esco a mangiare solo quando è necessario. Che non guardo i saldi. Che ho due denti del giudizio da togliere, ma lascio perdere. Che sono pigra, ma forse un abbonamento in palestra con gli amici non mi farebbe male, ma lascio perdere.

Mi chiedo quando tutto questo ha smesso di essere un mio diritto, o almeno, di far parte della mia esistenza come dovrebbe essere. Perchè il mio lavoro, il mio prestigiosissimo lavoro, vale meno del tuo, o di quello di qualsiasi altra persona. Perchè, se dovessi avere un figlio, sarebbe di serie B, e grazie a Dio è un "problema" che non sussiste, perchè non riuscirei a compragli nemmeno un pacco di pannolini.
Perchè, se resto a casa, per me non c'è disoccupazione.
Perchè se, come è successo qualche anno fa, se dovessi rompermi un braccio dovrei stringere i denti e guidare con il gesso, rischiando anche di più.
Che cosa ho fatto, o meglio cosa non ho fatto, per sentirmi realizzata. Per partecipare agli eventi della vita di chi voglio bene sempre con una parte del cervello occupata da pensieri fastidiosi. Per smettere di pensare ad un viaggio, ad un fine settimana, ad un invito in montagna.

Mi chiedo perchè quella via, quel cavallo, quell'attimo giusti non ci sono, non ci sono più, non ci sono stati, perchè in passato altre persone si sono messe scioccamente di traverso.
Mi chiedo quando smetterò di crederci, smetterò di fare i quattro, cinque lavori che son costretta a fare contemporaneamente e tutti male e mi riciclerò. E come mi riciclerò, visto che non l'ho ancora capito. Mi chiedo quando potrò smettere di trattenere il fiato e quando potrò far smettere di fare altrettanto ai miei genitori.

D'altra parte riesco ancora a riderci su. Abbastanza, almeno. Anche se le battute, come quella di venerdì mattina, hanno un che di humor inglese, ormai.

mercoledì 6 luglio 2011

Belli de zia

E' ufficiale. Sono entrata nell'età della "zietudine" a pieno titolo.

Lo sapevo già, ovvio. E la cosa non mi disturba neanche un po', sia chiaro.
Anche perchè ci ho solo guadagnato.
Riesco a infilare un costume e ridere delle mie abbondanti rotondità anche quando queste si trovano in un punto diverso di dove le vorrei o comunque dovrebbero essere meno tonde. Infilo il costume, mi massaggio indulgentemente la pancetta e cammino avanti indietro sul bagnoasciuga non per essere ammirata, ma perchè è piacevole e fa bene alle mie gambette corte.
Riesco a vedere le amiche e i loro figli, che ridono sempre perchè le loro mamme sono donne positive e, se è possibile, ridono e cantano e sono anche più affettuose di prima. E mi vogliono bene, e mi salutano con un abbraccio, lo stesso di sempre.
Adoro i piccoli. Quello "petit" che sa già che "carrozza" è quella trainata da un cavallo e non solo il cognome della zia, quando la sua mamma lo comunica all'albergatore. E i marmocchietti da dieci mesi cadauno, che battono le manine perchè sono bravissime, che sanno più cose di quanto si possa immaginare, che fanno lunghi discorsi di ba-ba-ba molto più intelligenti di quelli di certe persone.
Riesco ad assistere alla gioia di due giovani sposi, che ci hanno portato tutti in cima ad una collina toscana davanti a una chiesetta alta e con una scalinata killer, tra i miei fiori preferiti e un'emozione forte, autentica, come il sole che è tornato a far capolino solo per noi. Questi sposi, che hanno organizzato un ricevimento perfetto e poi una domenica in spiaggia tutti insieme, come se il nostro affetto verso di loro, e il loro verso di noi, non fosse stato sufficiente.
Riesco a godermi tutto questo. E continuo a ripetermi come è bello averle lì vicino, ancora, come sempre, anche se diversamente. Ad una cena di pesce alla festa di paese, vestiti dei nostri migliori abiti al matrimonio, stesi sulla spiaggia, o seduti in un piccolo cortile bianco.

Sono proprio una zia.