martedì 10 ottobre 2023

Sai chi ti saluta tantissimo?

Oggi è la Giornata della Salute Mentale. 
Quella cosa che somiglia sempre di più alla corda dell'equilibrista, senza la preparazione dell'equilibrista. 

Come si fa a mantenere nervi saldi, sangue freddo, e un nervo vago che non fa tremare le gambe e aumentare la nausea? Bella domanda. Se sapessi la risposta, probabilmente abbatterei tutti i costi della mia vita. Ma non la so. E credo che nessuno lo sappia davvero. 
A malapena capiamo cosa ci sta, in fondo alla corda. Qual è il nostro obiettivo? La felicità, è ovvio. 
Ovvio, sì. Ma cos'è, davvero? 

La felicità non dipende da quello che dicono gli altri, cosa la società induce ad essere qualcosa di molto riconoscibile per non diventare un paria, cosa conviene fare, cosa non si deve dire. Se si seguono queste indicazioni invece dell'umano sentire, di quel senso profondo che arriva dall'anima, prima o poi quell'anima emerge, andando a disturbare la frequenza della nostra vita. Questa sinfonia che smette di suonare, già soffocata dal frastuono di quanto si vuole apparire, in equilibrio - eccolo ancora! - con come si vuole essere. E' davvero un panorama che ci intossica. 

Nel mare di legno di oggi è poi difficile chiedere aiuto. Certo, tutti lo consigliano: butta fuori, non tener tutto dentro. Ma fuori dove? Fuori dalla finestra no, casomai ti sentisse qualcuno. Fuori a bere nemmeno, nessuno ha più tempo di uscire. Che poi mica sta bene, dai. Allora, butta dentro, meglio in una stanza insonorizzata. 
Oggi tutti invitano a fare outing. Anche sul lavoro: un sondaggio che ho letto oggi parla del 70% dei lavoratori italiani che sperimenta stress e burnout, e solo il 50% ne discute apertamente con i propri manager. Lo studio è della tedesca GoodHabitz. 
E ti credo, direi. Quando succede, l'aria cambia. Diventi tu il problema, laddove ti hanno sommerso di problemi. E la corda oscilla, violentemente. 

Mettere un piede davanti all'altro è dunque l'unica soluzione. E' un momento, passerà. Circoscriviamolo e concentriamoci sull'equilibrio, tagliando tutto il superfluo, scegliendo ogni giorno, senza condizionamento. 

Perchè, in realtà, abbiamo anche bisogno di questi momenti per andare avanti, migliorare, costruire, per creare. E' qui che cresciamo: altrimenti, la vita sarebbe troppo facile, anche fin troppo banale, senza equilibrio da costruire. Anche se non abbiamo avuto alcun allenatore, già pensare di stare sulla corda è l'atteggiamento più positivo che esista. Nessuno ci ha insegnato ad essere costanti, e forse il segreto della nostra salute mentale sta tutto qui: queste radici che crescono dentro e ci tengono saldi alla nostra anima. Nonostante tutto. 

martedì 3 ottobre 2023

L'acqua salata

La cura per ogni cosa è l'acqua salata: sudore, lacrime, o il mare. Karen Blixen.

Io e Silvia ci siamo sempre volute bene e ultimamente ci sentiamo spesso. In modo asincrono, con messaggi scritti o vocali a raffica che arrivano al mattino presto, la sera tardi. Quando il pulviscolo tossico della vita incasinata in cui siamo immersi si posa e nitidamente riemerge il dolore. La mancanza di un marito che, in una calda mattinata di Luglio, ha scelto una linea ferroviaria e un treno regionale per togliersi la vita. Lei era al lavoro, lui non rispondeva al cellulare. E, una volta a casa, come ipnotizzata, è uscita fino ad arrivare lì, di fianco a quel treno fermo. 

Lui, così aggrappato alla vita. Il teatro, la divisa da arbitro, i giochi sempre diversi inventati per i bambini. Sì. Due figli piccoli. Lui che cucina, che si ritaglia la corsa mattutina prima di quel lavoro che adorava. Detronizzato professionalmente dopo anni di crescita, ha iniziato a scivolare sulle mille sfaccettature della sua esistenza, non riuscendo più a trovare grip. In nulla. Tanto sudore gettato per ridare un senso alle cose che, improvvisamente, lo hanno perso. 

Ci sono argomenti che non si possono toccare. Avvenimenti intorno ai quali non si parla, meglio di no, meglio così. Meglio girarsi dall'altra parte. Non esiste più nemmeno quella consuetudine al "dovere" che spinge a fare quella chiamata. Quella visita. Ai funerali, forse, meglio non presentarsi. Stare in disparte e scomparire. La manifestazione del dolore diventa quasi oscena, meglio nasconderla e, in fretta, dimenticarsene. Lacrime da non mostrare.

Quando una persona decide, di sua volontà, di mettere fine alla propria vita, ci si concentra solo su quest'atto finale. Certo: è quello definitivo. Da lì non si torna più indietro. Dopo quel gesto, è tutto cancellato, tutti i percorsi tracciati si interrompono, e tocca a qualcun altro chiudere definitivamente tutte le possibilità che questa vita, insufficientemente, ha fornito. Anzi, spesso queste possibilità non si vedono più: solo una stanza dalle pareti che si restringono intorno sempre di più, senza uscite di emergenza.  

Qualcuno lo chiama coraggio. O il coraggio della disperazione. Come se il gesto di togliersi la vita sia una decisione di un istante, il consiglio di una notte, una lampadina che si accende - o meglio - si fulmina all'improvviso. No.
Coraggio significa agire con il cuore e non è sempre la soluzione giusta, quando questo viene calpestato più volte. Si arriva al punto di aver la certezza di essere un peso per tutti. I momenti belli vengono vissuti come una breve parentesi che, senza di noi, sarebbero pure migliori. E forse è meglio togliere il disturbo, scrivere una parola fine alle lacrime e al sudore e immergersi in quel fondo che non si tocca mai. 

Silvia si ritrova così, vedova e con due bimbi orfani a cui ha scelto, con la giusta guida, di non nascondere nulla. In questo momento così doloroso deve esserci un solo, grande e incrollabile punto fermo: la verità. Vasta e tumultuosa come il mare, che causa domande difficili da soddisfare, tante lacrime, urla e calci e pugni tirati a un pungiball acquistato per l'occasione. Ha ricominciato a lavorare, scrive una lista di cose da fare tutti i giorni, perché sono tante e ci metterà molto tempo per smaltirle da sola. Un altro mare di incombenze in cui si ritrova immersa, suo malgrado, tutte da ricostruire. 

Come si torna a riemergere da tutto questo? Non da soli. Con un aiuto professionale, con un "come stai" davvero interessato e non di circostanza, e con il confronto. Lei vuole ascoltare le storie degli altri. Lei vuole capire e, un passo alla volta, un pezzetto al giorno, e scrollarsi da dosso un senso di colpa che non è suo. Quel mare nero, seppur così vasto, è difficile da capire davvero. Restano tutte le domande lì, sospese, quasi solide, a fare disordine in casa, a notte fonda, nei momenti di silenzio assoluto. Ma quel confronto le serve, fa ricerche, legge e chiama persone che hanno vissuto un distacco così definitivo. 

No, non se ne parla abbastanza. E' ora di vincere questo pudore.