sabato 30 giugno 2012

Message in a bottle

E' l'ultimo giorno di questo giugno di transizione. Il mese del reale cambiamento, che muta il mio orizzonte ma non cambia me, nella mia sostanza. Un mese di fondo economico toccato e di premessa, e promessa, di sola risalita, anche. Ma soprattutto il momento, ormai giunto, finalmente giusto, della conquista.
Perchè è vero, lotto, lotto, lotto, sono super, sono wonder, ma posso anche permettermelo. Non ho incombenze familiari, neanche di striscio. Ho la mia famiglia al mio fianco. Ho le spalle coperte, diciamocelo. Ho anche capito di essere più forte di quello che penso, anche. Una donnina cazzuta che ha fatto pace con se stessa, con queste gambe corte e grassocce e con le piccole colpevolizzazioni del passato. Ho affrontato a viso aperto un bienno che non auguro a nessuno, davvero, pur privo di vere tragedie, intendiamoci.
Persino il constatare che c'è sempre gente pronta a prendermi per il culo mi ferisce molto molto meno. Ho imparato a fidarmi del sempre sacrificatissimo senso senso, che me li segnala con largo anticipo, prima che ci arrivi la ragione. E la cosa quasi mi diverte, o meglio, mi riempie di curiosità.
Io però non mi sento ancora al passo con questo cambiamento. Da sciampista quale sono (o anche perchè stupita da una certa puntualità di previsione) continuo a leggere oroscopi che sottolineano questo momento e che mi consigliano di scrivere un piccolo messaggio in bottiglia e di riaprirlo tra 5 anni. Un messaggio a me stessa che contenga le mie aspirazioni per questo prossimo quinquiennio. Non mi sembra una cattiva idea, ma quello che vorrei è solo questo: la consapevolezza. L'acquisizione felice del mio stato definitivo di donna, professionista, indipendente. Di persona degna di fiducia.

Aggiornamento. Ho letto l'oroscopo. Ineccepibile.
GEMELLI: Avete imparato a non spaccare il capello in quattro. Non vi mangiate le unghie. Non vi grattate la testa. Non appoggiate il mento sul palmo delle mani sprofondandoci sopra con tutto il peso dei pensieri tristi. Verve. Dentro la vita non vi addormentate di schianto. Non siete costretti a uscire di nascosto, quatti quatti, in punta di piedi. Create l’evento. Parlate il turco. In amore programmate lo sbarco. I nati in maggio godono di angolazioni molto fortunate. Possono uscir di casa bendati, toccare il primo che passa, chiedere baci alle sconosciute, trasformare il carbone in oro.

venerdì 15 giugno 2012

Io e Luigia

Abito in un complesso residenziale formato da due palazzine. Tre piani massimo, tre scale. Poco meno di trenta appartamenti di varie metrature. Famiglie, giovani coppie (Giuseppe è appena nato e c'è un bel fiocco azzurro sul cancelletto d'ingresso) un paio di single e due zitelle, io e Luigia. Io sono sempre guardata con un po' di sospetto (ma questa è un'altra storia), Luigia ha 83 anni e a dir la verità non abita sola, ma con la sua beagle. Che la tiene in allenamento a orari ben precisi, dalle 6 del mattino - l'ora della prima passeggiata - a mezzanotte, quando si compie l'ultima. Neve, freddo, pioggia e niente altro impediscono che questo allenamento quotidiano si compia.
Luigia ha le ossa rotte. Non è un eufemismo. Cammina con una stampella, ha due vertebre fratturate e porta un busto addominale, ha la cuffia della spalla lesionata. Il suo medico di base le ha gentilmente concesso una radiografia nel 2003, poi basta. Cosa pretende, la vecchia? Forse di voler spendere i soldi della sanità pubblica per sè? Non scherziamo nemmeno. Anzi, quasi quasi non le faccio nemmeno il libretto dell'esenzione. E così è stato.
Quest'inverno Luigia ha avuto la febbre per più di un mese. Ha deciso quindi di chiedere aiuto al medico del reparto geriatrico che l'ha brevemente seguita, in quel mese difficile. Il medico non l'ha visitata, ma le ha fornito una lista di farmaci da prendere in caso di dolore. Una soluzione facile e veloce.
Alla fine di quel periodo di malattia Luigia ha preso un appuntamento a Milano, in una clinica privata zona Tribunale. Il dottore le ha detto che dovrebbe usare due stampelle e cambiare il busto con uno più alto, che contenga anche il torace. E che dovrebbe fare terapia in acqua, ma che le strutture che servono a lei sono lì, a Milano.
Lei mi ha raccontato tutto questo un pomeriggio della scorsa settimana, in giardino, sull'imbrunire. Ha scosso la testa e i capelli bianchi graziosamente acconciati e mi ha spiegato che non può uscire a passeggiare con la sua cagnolina e due stampelle. E che un altro busto le causerebbe più problemi che benefici, perchè è curva sulla sua schiena ormai da anni. Mi ha guardato negli occhi e mi ha detto che non vuole imbottirsi di medicine a base di morfina. Mi ha chiesto perchè, per un certo tipo di società, sarebbe meglio che morisse.
Lei ha 83 anni e una mente straordinariamente lucida. Non oso pensare che tipo di dolore possa provocarle muoversi ogni giorno. Mi chiedo cosa si possa provare ad avvertire, con lucida chiarezza, di essere considerato uno scarto inutile di un sistema che corre, non ha tempo e non ha soldi.
Mi chiedo a che serve vivere 100 anni, se questo deve essere il risultato.

martedì 12 giugno 2012

Pioggia

E' notte fonda. Il lampo filtra tra le persiane non perfettamente abbassate e si riflette sullo specchio appeso alla parete sulla parte opposta della stanza. Piove, a dirotto. Il rumore della pioggia che batte sulle mattonelle del giardino si mischia al tintinnio ritmico degli sgocciolatoi, delle grondaie. Piove a pochi metri da me, ferma immobile in un letto fin troppo grande e con un cuscino rosso da abbracciare. Ma non ho paura, non ne ho avuta mai. Immagino, in questi momenti, come mi piacerebbe che i troppi pensieri cadessero giù tutti insieme, come uno scroscio di pioggia estiva, così improvvisi. E poi sgombrare in fretta. Quei pensieri che ti portano a credere di essere sempre un pochino sbagliata, un po' stonata, un po' fuori ritmo. Mentre tu vorresti averlo, un ritmo, fosse anche quello veloce e forte e monotono come la pioggia forte. Sì. In certi momenti vorresti perfino questo.

venerdì 8 giugno 2012

Twist and shout

L'ultima volta ero a New York. Era il 2009, era novembre, ero con Giacomo e Alessandro.
Pensavo sarebbe stato l'ultimo, pensavo fosse quella la chiusura del cerchio.
Poi sul finire dello scorso anno con Paolo e Sasha ho comprato questo biglietto, e ieri, 7 giugno 2012, ho capito che i cerchi non si chiudono mai, perchè la nostra vita non è fatta nè di sfere nè di materiali impermeabili, ma di osmosi, di scambi, ritorni, sensazioni nuove ma che in fondo ne ricordano sempre altre o che sono premessa di altre simili.
Gli anni 00 del secondo millennio mi hanno regalato qualcosa che non mi aspettavo, in potenza e in profondità, e che se n'è andato. La mia fortuna è stata quella di non avere una sola canzone, per l'unico amore della mia vita, ma di avere un intero repertorio, anche quello di una profondità insondabile. Ho avuto le mie lettere, poche ma piene di poesia. In una, la prima, due pagine di un libro di testi musicali suoi. Le due pagine di Born to run.
Alessandro e Giacomo, ieri sera, erano lì in mezzo. Anche io nel 2003 ero lì in mezzo, ma alle prime note di Morricone mi resi tragicamente conto che la mia statura da nana non mi avrebbe permesso di vedere altro che braccia e spalle. Vidi quel concerto più o meno dalla stessa postazione di ieri sera, vidi il diluvio universale lavare i coraggiosi del prato fino alle ossa e quel matto che con un cappello da cow boy in testa correva per lasciarsi poi scivolare sul palco.
Loro erano lì in mezzo, come è giusto che sia. Loro, che alle prime note si guardano e sparano fuori il titolo all'unisono, roba da quiz. Che sanno tutte le parole, mica come me, una sciampista mascherata da intellettuale. Eppure i nostri cuori hanno fatto gli stessi balzi, ne sono sicura. Certo, loro sono dei puristi. Io spazio da Tiziano Ferro a Bruce come niente, loro no. Certe categorie non si mischiano, dicono, con parole un po' meno misurate. Ma non so scrivere quello che abbiamo provato, insieme. Non lo so proprio fare. E quindi me lo tengo stretto e mi rendo conto, solo adesso, come ieri sera sia stato bello e terribile insieme.
Della mia decina al cospetto del Boss (la metà, forse, dei loro) posso solo dire che questo è stato il più bello in assoluto. Felicità, gratitudine, ricordo, commozione, pazzia. Un uomo che sfida il tempo e che ballando e ridendo e cantando, e contando anche, senza fermarsi, mi ha suggerito come ci sia sempre una possibilità. Ho visto migliaia di mani alzate, ho sentito le loro voci, ho visto la gente ballare, tutta. Anche un pazzo coi capelli lunghi che si dimenava da solo facendo strani inchini proprio sotto di noi, o quel disabile senza gambe che lasciava che la sua carrozzina seguisse traiettorie a casaccio. Tutti abbiamo un cuore affamato.
Del resto non mi interessa, non me ne frega proprio nulla.

mercoledì 6 giugno 2012

#cosedellinfanzia

Apro distrattamente twitter e trovo questo hashtag al primo posto. #cosedell'infanzia.
E' una coincidenza, non può essere che così, anche se credo poco alle coincidenze. Ho un concetto un po' più mistico dell'avvenimento e deglli accadimenti in generale. Un concetto di causa/effetto, per dirla all'occidentale, di ciclicità energetica, se devo darmi delle arie e spostarmi un po' più a Oriente. In poche parole, niente succede per caso.
Qualche giorno fa pensavo all'asilo. Sarà perchè venerdì ne parlavo con le mie splendide amiche e mamme, probabilmente. Ma mentre la loro argomentazione verteva sul lato pratico, non avendo pupi da inizire alla vita sociale e sulla strada di ritorno a casa ho pensato al mio, di asilo. Quello con la foresta dietro che sicuramente foresta non era e con le aule enormi che sicuramente hanno misure decisamente standard e con la noiosissima stanza del pisolino che non facevo e la pipa gialla della classe gialla ricamata sul mio asciugamano e su tutti i miei piccoli attrezzi da lavoro. Quello che raggiungevo con il pullmino, sempre giallo. Che guidava Pasqualini.
Pasqualini è stata la prima persona ad entrare nella mia vita per cognome e di cui quasi con stupore non ricordo mai il nome. Ero alta un metro, forse, e anche lui, come il resto, mi sembrava enorme, in larghezza e statura. Avevo per lui una profonda simpatia, anche per quel cognome che tutti i bambini storpiavano un po' ma non io, da brava Carrozza che da quella strada è passata più e più volte, diciamocelo pure. Avevo per lui quella fiducia che vedi negli occhi dei bambini nei confronti di quegli adulti che ti vogliono bene e cui vogliono bene, come se non dovessero mai tradirsi a vicenda. Quella fiducia che non conosce domani, ma che vive nel qui ed ora e che brilla in quei piccoli occhi. A distanza di tempo gli innumerevoli tragitti quotidiani si sono riuniti in un unico grande ricordo, fatto di pochi lampi particolari. Ma so bene di che cosa era composto quell'affetto verso l'autista Pasqualini sempre di blu vestito: lui era la nostra guida allegra verso "lasilo", mi salutava sempre per nome, sapeva dove ero seduta, ci guardava dallo specchietto e parlava con noi. Niente scimmiottamenti, voci in falsetto, ordini, non-fare-questo-non-fare-quello. No: da grande essere umani a micro esseri umani, da papà forse, ma con parole vere, insomma. Alzava la voce solo quando il casino diventava insopportabile, ovviamente. Una voce squillante che a qualcuno incuteva anche un po' di soggezione, curabile in 3 secondi.
Poi ho cambiato paese, ma Sedriano è pur sempre dietro l'angolo e mi è capitato di incontrarlo. L'ultima volta non più di un annetto fa, durante uno dei miei fine settimana da promoter, e gli sono saltata al collo senza pensare che, forse, quella fiducia fanciullesca non sta bene, da adulti. Ma non ho potuto farne a meno.
Ho scoperto oggi che un infarto se l'è portato via, non molto dopo quell'ultimo abbraccio ad un uomo grande, ma non gigante. Dieci lunghi giorni di agonia senza parlare, lui che chiacchierava anche con i sassi. So solo che non ci posso ancora credere, perchè rientrava a pieno titolo nella mia categoria di invincibili. Che riabbraccerei di slancio come allora, come un anno fa, sempre. Posso solo dire di essere contenta di averlo fatto, e di dovere a lui una parte della fiducia che nutro da sempre per il genere umano.