giovedì 19 maggio 2022

Atti di gentilezza

Anni fa, davanti alla nostra bella casa di famiglia c'era un macello. No, non inteso come confusione, ma come luogo di arrivo del bestiame, breve stazionamento e uccisione. In un paese di allora poco più di tremila abitanti, tutte le famiglie avevano almeno un parente che lavorava lì, a due passi dal piccolo centro, con la piazza e il campanile e i grembiuli non macchiati di rosso, all'apparenza.

Così, prima che la legge portasse questo luogo fuori dall'abitato, arrivavano camion di bovini in serata, e quando non potevano entrare nelle stalle all'interno del massicciato sostavano tutta notte a bordo dello stradone, chiamato anche curvone, per via dell'unica, ampia curva a 90° del paese, anche se ovviamente i tir se ne stavano silenti, loro, in rettilineo. Non meno i loro contenuti, che per l'intero arco della notte muggivano il loro ultimo canto. 

Una sera, con i primi caldi - espressione che oggi sarebbe in disuso, visti i cambi repentini di stagione - una piccola adolescente seduta sul tavolo esterno alla cucina provava le semplicissime melodie che le scuole medie consegnano al flauto dolce e poi ciao tanti saluti, il talento trovatelo da solo. Ma il prof. Zucca prendeva sul serio quell'infarinatura leggera di solfeggio e 4 quarti e insegnava con una passione tale da essere buffa, il nostro piccolo diletto. E una sera ero lì, nel tepore nella sera tinta di bluette. Poche note, poi il controllo. Non ho mai avuto una particolare inclinazione, drammaticamente confermata da un misero tentativo di entrare nella Banda Civica prima e da alcune lezioni di chitarra poi, con mio sincero dispiacere. Ma allora ero brava, a scuola, mica come al Liceo. E quindi studiavo.

Poche note, poi il controllo. E nel silenzio, una risposta. Ho sentito bene?
Poche note, l'attesa. E la risposta.
E di nuovo, qualche nota. E di nuovo, un'eco di rimando.

E lì, nell'attesa della notte da superare, un camionista ascoltava il silenzio e il mio legnoso anche-se-di-plastica-beige flauto. E con un'armonica a bocca aveva deciso di rispondere, piano e dolce, senza lezioni di musica. 

Ora, non tutti erano così. Uno di loro, probabilmente, si portò via il nostro Lillo, che da trovatello usciva dal cancello grande sdraiandosi di pancia ed era un bastardino irresistibile. Ma, negli anni, quel piccolo gesto gentile, nel buio della notte, ogni tanto viene in mente. Senza significato, senza senso e senza niente in cambio, quel contatto sonoro è la scintilla che aiuta noi persone a connettersi l'una con l'altra. Senza convenienza.

La gentilezza non è educazione. Si può essere estremamente educati e freddi come il marmo allo stesso momento. Educati nell'esprimere tutta la propria arroganza anche. La gentilezza è un'altra cosa. E' nel deporre le armi, dedicare un pensiero lieve come una nota soffiata piano nell'armonica, tutto il segreto. Come la fiducia di chi ti aspetta, di chi, ancora prima di iniziare il campionato, sa già che sei un ottimo acquisto.

domenica 15 maggio 2022

Ascolto, rispetto, curiosità

Il mio primo progetto scolastico è finito. Due mesi, tra fine Marzo e metà Maggio, a rafforzare l'Italiano di un gruppo di studenti stranieri sparsi tra elementari e medie di un paese della provincia di Milano, a pochi passi da me. 

Quante volte ci avevo pensato in passato, di fare un progetto a scuola? Tante. Ma con le idee un po' confuse. Il giornalismo? La dizione legata al teatro (condiviso con un attore)? Di uno di questi avevo anche incontrato una responsabile di una scuola superiore, anni fa, ma non avevamo trovato una quadra. E poi i corsi serali nei paesi...sì, ma come? E cosa? E poi si insinuava sempre quel dubbio di non esserne davvero all'altezza...

Ma stavolta è stato differente. Stavolta, a mano a mano che la mia ansia diminuiva e i giorni si srotolavano, il programma è apparso chiaro, piano e lineare. Solo, da adattare alle piccole velocità di ognuno dei ragazzi, tutti diversi. Oggi ho scritto la relazione finale per la mia eccezionale professoressa Anna e mi sono resa conto ancora di più di quanta ricchezza è arrivata da ognuno di loro, che in modi del tutto personali hanno vinto le loro insicurezze, le loro paure, e mi hanno mostrato una vitalità a tratti difficile da controllare, ed è stata quest'ultima la parte più difficile. E' quest'ultima che mi fa dubitare di essere - in ogni caso - una brava insegnante.

Chissà cosa succederà in futuro. So solo che, di sicuro, ho conquistato i colleghi, che qui e altrove, in occasione dell'altra supplenza, mi chiedono di tornare a dare disponibilità al più presto. E' un mondo strano, il pubblico, dove convivono disparità pazzesche, ma che attingono alle forze "fresche" (e se sono fresca io..) come acqua nel deserto. Vedremo.

Chissà anche cosa ho lasciato ai ragazzi, che ora hanno un altro mesetto per capire se hanno davvero qualche strumento in più per capire meglio cosa si dice in classe. Di sicuro una lezione finale in cui ho chiesto di andare piano, a scrivere e memorizzare, in un momento storico in cui anche loro sono già multitasking e ragionano per icone da aprire.
Ascolto, perchè non lo fanno. Non si ascoltano nemmeno tra di loro.
Rispetto, perchè conoscendo le regole della scuola possono fare gruppo, fare classe, superare le loro differenze senza annullarle.
Curiosità. Guardare sempre oltre, e anche un po' di lato, chiedendo ai genitori di non smettere di parlare la loro lingua di origine, di non perderla mai.

Abbiamo avuto la fortuna di incontrarci qui, lontano dalle guerre, sani e salvi. E questo già ci ha fatto un po' sorridere.