sabato 30 aprile 2011

Cin Cin

Elisabetta è bresciana. Molto bresciana.
Fino a qualche anni produceva cerchi in lega per le case automobilistiche, soprattutto per la Fiat. Poi i trasferimenti della manodopera e la crisi l'hanno costretta a chiudere la sua attività. "Riconventirla", ha detto lei. In pratica, chiudere un capitolo della sua vita e ricominciare da capo.
Elisabetta è bresciana da generazioni. Si chiama Abrami, di cognome, e i suoi antenati hanno sempre vissuto in Franciacorta. Ha radici solide, che affondano in quel terreno, e in quel terreno lei ha visto come aprire quel famoso nuovo capitolo della sua vita.
Da cinque anni produce vino, e la casa che ha aperto porta il suo nome. "Vino", in realtà, è del tutto riduttivo: lei produce bollicine.
Ieri sera ho conosciuto lei e il figlio ventunenne. Lui ha ascoltato attento, immobile e impassibile il breve racconto della madre, una donna bionda e piena di energia. E' stato come nascere un'altra volta, ora si tratta di crescere, di farsi conoscere, sempre con quella determinazione che l'ha spinta a iniziare questa avventura. Che però non ha niente di avventato: il satèn e il brut che ci ha fatto degustare sono straordinari.
Bisogna credere, alle proprie radici. Non perderle mai di vista. E contemporaneamente rischiare, rialzarsi dopo una caduta, tornare a camminare e a guardare avanti. Senza smettere di credere in quello che si fa.

venerdì 29 aprile 2011

Ho messo via


Vivo in una casa dall'arredamento essenziale.
Non per mia volontà. Ma perchè il mio è un work molto in progress e solo all'inizio del suo cammino. Diciamo che qui dentro non ci sono entrata a fatti totalmente compiuti.
Arredamento essenziale, quindi. Non vorrò comunque riempire tutti gli spazi e lasciarmi soffocare dai mobili. Anche se dovrò scendere a compromessi per riuscire a far entrare tutta la mia vita.
Perchè adesso, in effetti, c'è un barbatrucco. Molto è rimasto "là", nella casa madre. Non le scarpe, che son arrivate tutte e che, nonostante abbiano un'ampia scaffalatura loro dedicata, devono essere decisamente ricollocate. Non i vestiti, anche se resta da trasferire un'abbondante anta di armadio. Ma il resto. Tutto il resto.
Presto quello che ho sempre considerato "lo studio", e cioè una stanza che ha negli anni accolto i miei libri, il computer, e il sudore accademico, sarà smantellato. La casa madre sta per essere divisa; la nostra molecola familiare, dopo la mia scissione, ne avrà un'altra, per assestarsi a tre nuclei comunicanti ma indipendenti.
Questo significa che tutto dovrà seguirmi nel mio guscio. Un altro modo per farmi capire che sono "grande". Un'impresa titanica venir a capo di quel disordine organizzato e crearne, definitivamente, uno nuovo che non sia una semplice succursale.
Dopo aver rimandato, e rimandato, ho iniziato a metter mano alla mia parte di armadio. Mi sono seduta per terra, di fianco a me il sacco giallo della carta, decisa e determinata a riempirlo alla velocità della luce. Ho aperto, per l'ennesima vola, quelle ante (un gesto fatto per anni per molte volte al giorno, al mattino e alla sera e in ogni momento utile). Ho guardato la foto della pubblicità dei Police attaccata alle medie, insieme a Brad Pitt e Harrison Ford su una parte, al panorama di Pizzino e all'autografo di Zanetti sull'altra, e la mia decisione già aveva perso l'Iva, come un'auto appena acquistata.
Per farla breve, e non è breve, ho passaro minuti e minuti a guardare ogni singolo pezzo di carta di quella strabordante antina. Sono riuscita a buttare i resti dei ticket dei pasti consumati davanti ai computer di via Richard (sì, anche della Pizzicata, indigesto take away salentino), ma non il tagliando del volo Milano-Brindisi di questa estate. Nel giallo sono finite le poesie del concorso del 2003, indetto dal mio Comune e di cui ero giurata, ma non le prime classificate. Ho ritrovato libri, foto, contratti e buste paga, tutte da classificare, ma esattamente là dove mi aspettavo di trovarle. Ora resteranno orfane della loro collocazione, ora dovranno subire altre scremature dolorosissime, che non so se avrò la forza necessaria di fare.
E poi, immancabile, la parte seria e studiosa di me. Già Pamela (che è con me nella foto) me l'aveva ricordata, riportata al cuore, qualche giorno fa. Era lì, raccolta in un sacchetto di carta, quella che resterà mia per sempre. La laurea. La pergamena, il libro in sera color Magenta, con la scritta argentata sbiadita dal sudore dell'agitazione di quel giorno, la fotocopia del libretto con i voti, la ricevuta della consegna della copia tipografica, la scelta del relatore, il badge. Tutto lì dentro, insieme all'altra pergamena, quella dell'Ordine dei Giornalisti.
Avevo comprato anche l'annuario, dell'anno accademico 2004/2005. Un librone inutile, solo per vedere il mio nome stampato sopra, tra le C, insieme alla data. Tra la musica in Leopardi e il rispetto per l'Altro, quel 7 ottobre 2004 avevo discusso il calcio nelle trasmissioni della domenica pomeriggio. Che stile. Sì. Sarà un lavoro lungo e difficile, se poi mi fermo ad accarezzare la grammatica spagnola e ricercarvi, tra le pagine, le scritture di Paola e Valeria, o a scorrere, uno a uno, i libri che mi sono serviti per la tesi, riaprire la Garzantina, risoppesare i due tomi dell'enciclopedia del calcio italiano.
Lungo, sarà un lungo lavoro. Eppure sono pronta. Di posto vuoto ce n'è stato, ce n'è e ce ne sarà.

mercoledì 27 aprile 2011

Nubendae

Ho tre matrimoni, questa estate. Tre, in tre settimane successive. 25 giugno, 2 luglio, 10 luglio.
Quello di mezzo è in Toscana, e ne approfitto per un salto al mare. Quello di "apertura" e quello di "chiusura" della triade sono invece qui vicini.
E' tempo di partecipazioni.
Prima è arrivata quella di Eleonora. Quadrata, in una busta verde acqua, è proprio come lei, e come Roberto: allegri, spiritosi, ironici. La caricatura di lui che calcia un pallone nerazzurro, e quella di lei in tenuta da insegnante di danza, che all'interno fuggono sulla loro moto blu, seminando calle bianche.
Oggi è arrivata quella di Judith e di Stefano. Loro vivono appena fuori Barcellona, si conoscono dai tempi dell'Erasmus di lei in Italia e qui festeggeranno la loro lunga unione, insieme ai tre figli, Pau, Arnau e Guillem. Il loro invito è lungo e stretto e prevale il bordeaux. "Ti amo", si legge prima di aprirlo. Poi la A resta sul primo foglio, e compare una seconda parola, prima seminascosta: "Ti estimo". E infine, definitivamente all'interno, una poesia, che inizia con le parole più vere che esistano: "Noi non siamo uguali". Ecco perchè serve l'amore, ma anche, e di più, la stima.
Aspetto quella di Veronica, adesso. E anche a lei, e a Stefano, auguro quello che le altre due mi hanno suggerito: la voglia di sorridere, e la voglia di conservare il proprio essere, la propria personalità. Perchè è della loro essenza irripetibile che questi giovani uomini si sono perdutamente innamorati.
Auguri, futuri sposi. Onoratissima di partecipare alla vostra festa.

martedì 26 aprile 2011

Pasquetta con chi vuoi. I migliori.

Ci sono persone che ti deludono.
Ti sono state accanto per anni e hanno assistito alle tue gioie e ai tuoi dolori. Hanno fatto parte di te, e poi ti hanno messo da parte. O peggio, hanno usato quelle gioie e quei dolori per ferirti anche in seguito, hanno usato quegli affetti passati per farti male, quei pezzi di cuore poi continueranno a sanguinare anche dopo. Magari lo fanno senza pensarci. Magari. O forse si divertono a vedere l'effetto che fa vederti di nuovo in difficoltà.
E poi ci sono persone che ti sorprendono.
Perchè li conosci da poco, ma è come se fosse da sempre. Perchè non erigono barriere, perchè ti guardano negli occhi quando ti parlano e lo fanno sinceramente, perchè vogliono star bene con te, e vogliono farti star bene.
Perchè tutto è facile, quando ci sono loro. Facile ridere, facile divertirsi, facile aprirsi a nuove conoscenze, nonostante siano già tanti e abbiano teste, interessi, modi diversi di vivere.
Tutto è una sorpresa. Lo è un giro infinito in macchina a Milano, lo è una gita al parco in bicicletta, lo è una grigliata di Pasquetta. Affollata, chiassosa, numerosa. Piena di sorrisi.
La sorpresa batte quindi la delusione, e la stacca di un bel po'.
La sorpresa ti fa guardare avanti, alla prossima occasione, alla prossima vacanza.
Ai prossimi momenti. Dove non si è, necessariamente, tutti insieme. Ma nessuno si offenderà per questo.

giovedì 21 aprile 2011

Serpenti

E' venuta a trovarmi Anita. Una deliziosa mela di 7 mesi, che mi ha tenuto d'occhio tutto il tempo, insieme a mamma Maria. Che non ha neanche mangiato, per guardarmi. Che avrei voluto mangiare io, con quelle guance bianche e rosse e quelle manine paffute.
Io e la mamma abbiamo parlato per un paio d'ore, con la portafinestra spalancata, il fresco della mia casa, e questa meraviglia seduta nel mezzo.
La sera vado a trovare i miei. A casa c'è la zia. Una, delle numerose. Mamma mi chiede della bimba, e mentre, estasiata, le racconto del pomeriggio, ecco una bella domanda giungere dal divano: e tu, quando ti prenderai d'invidia?
Non starò qui a smontare sofisticamente questa orrenda espressione.
Credo di aver cambiato colore, rispondendo e cercando di mantenere una certa leggerezza: aspetta, adesso esco a cercarmene uno. E li ho lasciati lì.
Ma deve essere il periodo giusto, per le domande intelligenti. Un cugino, ieri, ha chiesto a mia sorella: ma è possibile che non ci sia nessuno nessuno che ti vada bene?

Parenti. Tutti affetti da una strana malattia. Quella di dirti cose senza prima azionare il cervello. Quelli che sanno sempre dove si trova il tuo tallone d'Achille e tac! lo colpiscono con una precisione svizzera.

Visto che siete così bravi, portatemi all'outlet del fidanzato.

martedì 19 aprile 2011

ma questi fiori sapranno parlarti di me

Andare dalla dottoressa. Una "medica" della mutua troppo avanti, che per incontrare i gusti del target medio mette lo stereo nella sala d'attesa con simpatiche stazioni radio. L'altra volta era la bellissima Radio Mondo (la signorina che legge le dediche è sempre lei), stasera era Radio Italia Anni '60.
E in men che non si dica, scompostamente seduta in sala d'attesa, eccomi lì a canticchiare inavvertitamente "rose rosse per te", giocando a pinball sul blackberry, benevolmente controllata a vista da una sciura con i capelli candidi.
Esprimere.
Difficilissimo tener l'equilibrio, e tipo, stavolta, esimermi dal canto.
Mostrarsi sinceri, mostrarsi trasparenti, perfettamente naturali. Oppure no: non sbilanciarsi, tenere sempre una riserva, non mostrare tutto, non farsi tradire dalle emozioni.
La verità è che ognuno di noi vorrebbe essere sempre un po' diverso da quello che è. L'impulsivo non si piace, il controllato non riesce a lasciarsi andare.
Per quel che mi riguarda, ovviamente faccio parte della prima schiera.
Per quel che mi riguarda, la trasparenza è una debolezza. Il più delle volte.
Lo è sul lavoro, lo è nei rapporti interpersonali. Lo è in una sala d'aspetto, anche.
Un sorriso distaccato, star sempre bene anche quando non è vero. Ah, che sogno! Perchè, spesso, penso che gli amici abbiano paura delle tue debolezze, perchè, prima o poi, si allontaneranno.
Poi però c'è lo sguardo benevolo. La signora dai capelli candidi non mi conosce, ma chi mi sta vicino sì. E va bene così.

domenica 17 aprile 2011

Sweet Corbetta

Da quanto tempo abiti lì?
...
momento di smarrimento.
No, ma lo so, non è Alzheimer (almeno, spero). Non è quello.
E' che mi sembra di vivere qui da molto, e nello stesso tempo da pochissimo.
Da tanto, perchè la cucina ha preso forma a maggio, c'è stata la cena sul pavimento, e poi una senza molto altro dentro, e poi è arrivato il freddo. Posso dire settembre, ottobre. A ottobre è arrivata la residenza, e questa potrebbe essere presa come data convenzionale. Ma poi basta scorrere il mio blog all'indietro per sapere, ma anche per capire che non è così matematico, avendo visto questi muri salire, e poi coprirsi di bianco, questo pavimento arrivare a nascondere il cemento e le serpentine dei tubi, prima sotto forma di piastrelle e poi lì, belle e posate, il bagno prendere colore, eccetera. Una creatura che inizia a vivere, ed è proprio questo che invidio a papà. Lui crea qualcosa che resta e che acquista per le persone un significato vitale.
Ma non divaghiamo. All'inizio c'è stato l'arredamento, essenziale. Ora non si sono fatti molti passi avanti, ma io e la Manu (l'altra, di creatrice) continuiamo a consultare cataloghi, accostare colori, prendere mentalmente nota. Come io prendo mentalmente nota delle priorità.
In ogni caso ho smesso da molto di sentirmi ospite a casa mia. E anche un po' di sentirla guscio, anche se la mia privilegiatissima (è ironico) condizione di single mi permette di alternare rari momenti di ordine ad allegri guazzabugli disordinatissimi. Mi somiglia, insomma, ma questo era ovvio.
In tutto questo, tuttavia, la consapevolezza di averla come mia, di aver fatto una cosa per me, sfuma, diciamo così. Ma poi succedono cose che me la riportano, questa consapevolezza. Non parlo dei doveri, comunque belli ingombranti (il mutuo, il rogito, il modulo rifiuti, le riunioni condominiali...bleah). Nel fine settimana è giunta per esempio la telefonata della polizia municipale. Lì per lì ho fatto la revisione mentale delle malefatte. parcheggi selvaggi, inversioni pericolose, sorpassi, alzate di gomito.........
"Signorina, quando la possiamo trovare per consegnarle la nuova tessera elettorale?"
Wow. Non avrei mai pensato di emozionarmi così. Non per il "signorina", che sa un po' di piccola zitella in erba, beninteso.

lunedì 11 aprile 2011

Che storia!

Amo le storie.
Chi mi conosce lo sa bene, perchè, quando racconto io una cosa, parto dalla Genesi e apro milioni di parentesi prima di arrivare al succo della vicenda. Mi perdo spesso e spesso il filo me lo ritrova il mio interlocutore, persa come sono nel labirinto dei pensieri.
Ma amo anche il racconto degli altri. Quando si apre la finestra sulle vite degli altri, mi piace cogliere tutto il panorama, con gusto fiammingo, con tutti i particolari possibili.
Adoro che sia l'altro a raccontare, senza dover far la levatrice. Mi piace vedere con che meccanismo la persona che ho di fronte ha immagazzinato il suo ricordo, e come lo tira fuori dal cassetto. Come lo racconta, che emozioni le dà il ricordo. Perchè, è vero, ci sono vicende che succedono a tutti. L'innamoramento, il fidanzamento, la nascita di un figlio, la perdita di una persona cara, le difficoltà lavorative, per esempio. siamo noi a renderli unici, a renderli nostri, a tenerli dentro di noi, magari a scriverli da qualche parte, più spesso tirarli fuori in momenti particolari, freschi freschi o lontani, o per similitudine a qualcosa di appena accaduto.
Ieri ho avuto la mia storia. L'ho avuta da due persone vicine vicine al mio cuore. A due voci, piena di sorrisi e di occhi abbassati e di rossori e di piccole lacrime sulle ciglia. Si sono incoraggiati a vicenda, loro, io non ho fatto niente. Ero lì, ho aspettato, e ho avuto la mia anteprima. Nell'angolo di un locale a noi familiare, foderato di legni scuri, in una tranquillità spezzata solo dal chiacchierìo continuo di un'altra ragazza appollaiata su uno sgabello al bancone, ma che noi abbiamo tenuto sullo sfondo, come dietro una tendina.
Una storia e un oggetto, un simbolo, del tutto unico, disegnato e voluto e realizzato in modo speciale. Una storia e una promessa.