venerdì 29 aprile 2011

Ho messo via


Vivo in una casa dall'arredamento essenziale.
Non per mia volontà. Ma perchè il mio è un work molto in progress e solo all'inizio del suo cammino. Diciamo che qui dentro non ci sono entrata a fatti totalmente compiuti.
Arredamento essenziale, quindi. Non vorrò comunque riempire tutti gli spazi e lasciarmi soffocare dai mobili. Anche se dovrò scendere a compromessi per riuscire a far entrare tutta la mia vita.
Perchè adesso, in effetti, c'è un barbatrucco. Molto è rimasto "là", nella casa madre. Non le scarpe, che son arrivate tutte e che, nonostante abbiano un'ampia scaffalatura loro dedicata, devono essere decisamente ricollocate. Non i vestiti, anche se resta da trasferire un'abbondante anta di armadio. Ma il resto. Tutto il resto.
Presto quello che ho sempre considerato "lo studio", e cioè una stanza che ha negli anni accolto i miei libri, il computer, e il sudore accademico, sarà smantellato. La casa madre sta per essere divisa; la nostra molecola familiare, dopo la mia scissione, ne avrà un'altra, per assestarsi a tre nuclei comunicanti ma indipendenti.
Questo significa che tutto dovrà seguirmi nel mio guscio. Un altro modo per farmi capire che sono "grande". Un'impresa titanica venir a capo di quel disordine organizzato e crearne, definitivamente, uno nuovo che non sia una semplice succursale.
Dopo aver rimandato, e rimandato, ho iniziato a metter mano alla mia parte di armadio. Mi sono seduta per terra, di fianco a me il sacco giallo della carta, decisa e determinata a riempirlo alla velocità della luce. Ho aperto, per l'ennesima vola, quelle ante (un gesto fatto per anni per molte volte al giorno, al mattino e alla sera e in ogni momento utile). Ho guardato la foto della pubblicità dei Police attaccata alle medie, insieme a Brad Pitt e Harrison Ford su una parte, al panorama di Pizzino e all'autografo di Zanetti sull'altra, e la mia decisione già aveva perso l'Iva, come un'auto appena acquistata.
Per farla breve, e non è breve, ho passaro minuti e minuti a guardare ogni singolo pezzo di carta di quella strabordante antina. Sono riuscita a buttare i resti dei ticket dei pasti consumati davanti ai computer di via Richard (sì, anche della Pizzicata, indigesto take away salentino), ma non il tagliando del volo Milano-Brindisi di questa estate. Nel giallo sono finite le poesie del concorso del 2003, indetto dal mio Comune e di cui ero giurata, ma non le prime classificate. Ho ritrovato libri, foto, contratti e buste paga, tutte da classificare, ma esattamente là dove mi aspettavo di trovarle. Ora resteranno orfane della loro collocazione, ora dovranno subire altre scremature dolorosissime, che non so se avrò la forza necessaria di fare.
E poi, immancabile, la parte seria e studiosa di me. Già Pamela (che è con me nella foto) me l'aveva ricordata, riportata al cuore, qualche giorno fa. Era lì, raccolta in un sacchetto di carta, quella che resterà mia per sempre. La laurea. La pergamena, il libro in sera color Magenta, con la scritta argentata sbiadita dal sudore dell'agitazione di quel giorno, la fotocopia del libretto con i voti, la ricevuta della consegna della copia tipografica, la scelta del relatore, il badge. Tutto lì dentro, insieme all'altra pergamena, quella dell'Ordine dei Giornalisti.
Avevo comprato anche l'annuario, dell'anno accademico 2004/2005. Un librone inutile, solo per vedere il mio nome stampato sopra, tra le C, insieme alla data. Tra la musica in Leopardi e il rispetto per l'Altro, quel 7 ottobre 2004 avevo discusso il calcio nelle trasmissioni della domenica pomeriggio. Che stile. Sì. Sarà un lavoro lungo e difficile, se poi mi fermo ad accarezzare la grammatica spagnola e ricercarvi, tra le pagine, le scritture di Paola e Valeria, o a scorrere, uno a uno, i libri che mi sono serviti per la tesi, riaprire la Garzantina, risoppesare i due tomi dell'enciclopedia del calcio italiano.
Lungo, sarà un lungo lavoro. Eppure sono pronta. Di posto vuoto ce n'è stato, ce n'è e ce ne sarà.

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