mercoledì 30 ottobre 2019

Un Diamante di Roma

Mi sono seduta davanti. Mi succede spessissimo quando prendo il taxi.
Perchè voglio guardare la strada e perchè voglio vederla, la strada. Ovunque vada, devo capire come si snoda la città.

Dico: il percorso del Tevere è davvero tortuoso. Dal quinto piano del mio albergo, sotto villa Borghese, sul Lungotevere Flaminio, si vede San Pietro. Ma in realtà di vede da quasi ovunque.
Risponde: sì, mentre dallo stadio Olimpico non cambia lato, ma guida verso Castel Sant'Angelo, perchè i due con cui condivido il taxi vogliono fermarsi per una piccola passeggiata.
Guardo i palazzi che mi sfilano di fianco; sono palazzine a due piani, con piccoli giardini e stupende cancellate. Sono bellissimi, dico, che quartiere è questo?
Si chiama Quartiere della Vittoria, dice. E' stato costruito quando la Prima Guerra Mondiale. Ha vie con i nomi dei luoghi delle battaglie. Via dell'Ortigara, ad esempio; o via del Carso, la più importante. E quella, piazza Mazzini, un tempo era campagna e i militari facevano esercitazione. Si chiamava, prima, Piazza delle Armi.

Prendiamo il primo sottopasso. Questo, dice, e gli altri sono stati pensati per le Olimpiadi del '60. Dico, certo che la città da questo lato si è estesa in fretta, dalla Grande Guerra in poi; il Foro Italico è tutto razionalista, davanti alla Sud c'è una stele con il nome di Mussolini lungo lungo verso il ponte, e poi il villaggio Olimpico.
Sì, conferma lui. Il Foro Italico, lo Stadio dei Marmi, le Piscine arrivano tutte dopo il '33. Il Coni lo hanno fondato pochi anni dopo. Convivevano due anime architettoniche, allora: una aveva linee più classiche, ottocentesche, aggiunge mentre passiamo davanti al Palazzaccio, che gli indico e dico (come lui, che somiglia di più alla nostra Stazione Centrale) e una più pulita e rigorosa. Al Foro Italico ha vinto quella.

Facciamo il giro dei Prati di Castel Sant'Angelo. E' da qui che nasce il nome del Quartiere Prati, dice. Perchè i Papi non volevano costruzioni intorno alla fortezza, che da una parte era protetta dal fiume e dall'altra dalla gittata dei cannoni. E avevano il Passetto, dico io. Sì! Esclama, c'è mai stata? Quando ci sono andato io, che non sono alto, dovevo chinarmi per avanzare. Ma è perchè erano bassi!
Abbiamo scaricato lì i compagni comparse; mi ha portato alla Stazione Termini, passando per il centro. Per il PASA, il ponte dedicato al ramo cadetto dei Savoia, a quell'Amedeo che morì in Africa dopo la sua disastrosa campagna. Questa via, dice, è parallela alla via Giulia, che i Papi avevano tracciato e riempito di palazzi bellissimi. Oggi sono in mano alle multinazionali; c'è anche la sede dell'Antidroga. Io rido, e mi accorgo presto di scorgere i cavalli dell'Altare della Patria. Superiamo un incrocio, a sinistra si va al Senato, a destra c'è una manifestazione sindacale, laddove c'era la valle di Sant'Andrea della Valle, appunto.

Arriviamo proprio di fronte alla scalinata del Campidoglio e, come sempre, i miei pensieri si sciolgono davanti alla Bellezza. Dico che sto leggendo Augias, il suo libro su Istanbul, che parte però da Roma. Mi parla della chiesa della Bocca della Verità, greco ortodossa da sempre. Ma è del Mille, esclamo! del 1081, precisa lui, ed è stata concessa al patriarca per il culto qui, vicino al Vaticano, tutto sommato, e vicinissima al Tevere, prezioso approdo per le derrate alimentari. Un dono preziosissimo! Ancora oggi gli uomini hanno i loro strani cappelli.

Ma noi siamo già oltre.Via Veneto, via Nazionale.Questa è la sede della Banca d'Italia, Palazzo Koch, dice. Dove di sono le bandiere è l'ingresso principale, ma si può fare anche tutto il giro. E' enorme, dico. E chiedo: ha la corte interna? Certo: sai, una volta c'erano i cavalli, le stalle avevano un ruolo fondamentale; pensa alla Chiesa. Pensa al Quirinale. E da qui finiamo a parlare dei nostri spazi, che nei secoli ci si sono rimpiccioliti intorno. E del tempo, che ha perso di dimensione. Spazi e tempi sono diventati i nostri beni di lusso. I nostri viaggi durano pochissimi, sia mente percorriamo i chilometri che ci separano dalla meta, sia nel tempo di permanenza. Quando stiamo male, non ci concediamo il giusto tempo per guarire.
E arriviamo al Parlamento Europeo in Italia. Qui ci vengo spesso, dice. Io e i colleghi facciamo molti viaggi, tra qui e Fiumicino. E' un posto bellissimo.

Sì, Roma è un posto bellissimo. Dopo averlo salutato, entro in stazione e vado al binario 1, dove c'è già il mio treno. Ma i Romani lo sono altrettanto. Aperti e ironici, sempre pronti alla soluzione, capaci di una calma zen in mezzo al frastuono, al traffico, alle buche nel bel mezzo delle piazze. Come Diamante 11. Che ha la nonna calabrese, per questo ha chiamato il taxi così. Non l'ho lavato oggi, dice. Sorridendo. Tanto domani piove.

mercoledì 23 ottobre 2019

San Siro, il momento giusto di rinascere

65.673 spettatori. C'è solo uno stadio che riesce ad avere questi numeri in Italia. Uno solo con una capienza e un'agibilità (quasi) totale, che oggi, più che mai, pensa alla sua rinascita. E c'è solo una squadra che riesce a tenere una media altissima di presenze, anche se quest'anno, dopo tanto tempo, ha decisamente ritoccato i prezzi. E' l'Inter. E' San Siro. E' una partita di Coppa, il Match Day 3 della fase a gironi, una partita da Inter che affronta la Champions da Inter, sempre un po' così.

Certo, ci sono altri stadi che, in coppa, sono pieni. Oppure nelle partite importanti. Oppure perchè vince. Perchè, se non vincesse, altro che densità esultante. Non lo dico io, per carità, che a casa degli altri entro (con la macchina, è vero, tra il muretto esterno che conserva ancora l'altezza del vecchio Olimpico, e l'anello interno, quello degli spalti, quello dell'Allianz) in ogni caso in punta di piedi. Lo dice chi ci lavora, negli stadi. Da anni in quello della Juventus, ad esempio. Che vince, tanto, da molto tempo. Ma se non lo facesse, non avrebbe seguito. Anche nell'ultima partita, mi dicono, c'erano ampi settori sgombri. Di uno stadio bellissimo, che ha pure arre dedicate ai bimbi, mentre i genitori tifano. Che ha ristoranti, che ha quello che il Dacia Arena voleva avere subito e che non ha ancora aperto perchè non ci sono i soldi, perchè i friulani vanno a vedere la partita e basta.

Costa molto andare allo stadio. Una famiglia, intera, può permetterselo magari una volta l'anno. Magari con un'offerta, magari iscrivendosi a una newsletter. Ecco perchè è così importante il marketing. Il Marketing, perchè la comunicazione, nelle aziende, è qualcosa che, detta così, suona scandalosa come la laurea per influencer (stessa cosa, detta in maniera accattivante).

C'è solo uno stadio pieno e solo una squadra che riesce a farlo, anche se ogni partita è un cardioprotettore. Il resto è un sistema al collasso, in perdita, da nascondere in magheggi finanziari, in scatole cinoamericani, in stadi aperti tutta la settimana per altre cose, in spa che non aprono.
E' un sistema che poco a che fare con lo sport, il cui valore funziona bene in tempo di pace, contro il razzismo teorico, laddove c'è da attaccare una pecetta con la scritta fairplay. Unisce quando non serve. E' invece divisorio in tempo di guerra, non vale nulla. Anche se le Olimpiadi ci hanno insegnato altro. C'è solo uno stadio in cui, ancora, si respira un'altra aria. In migliaia.