martedì 18 dicembre 2012

Quasi quasi mi faccio Monaca

Sono stata a Monaco di Baviera, questo fine settimana. La mia vacanza invernale, 2 giorni che con i due dell'addio al nubilato di Gloria e Barcellona e io 4 a Lerici a giugno fa la somma dello svago degli ultimi 7 mesi.
Preparati per il peggio (il giorno prima della partenza là il termometro segnava -19°) e con il decollo rimandato di un paio d'ore per neve, l'impatto termico con la città è stato decisamente morbido e il giro per mercatini (dopo una prima tappa ad uno dei migliori birrifici della città, che si trova curiosamente in aeroporto) ha avuto subito inizio, tra tazze di gluhwein fumante e chiacchiere. Con il nostro anfitrione, Riccardo, un 29enne che dopo un paio di esperienze lavorative in Italia, di cui la seconda al limite del mobbing, ha deciso di levare le tende e di saggiare il suo tedesco e la sua laurea, un mix tra Scienze Politiche e Relazioni Internazionali. Aveva un'amica a Monaco che le ha fornito una base e nel giro di tre mesi ha avuto anche un lavoro. Un primo impiego interinale a 1.200€ al mese. Oggi vive in centro in un appartamento che divide con Alice, che lavora nell'aerospaziale a 70 km dalla città, ma la vengono a prendere con la navetta dell'azienda e ha uno stipendio più che doppio rispetto a Riccardo. Che si è anche fidanzato, con Alessandra, che dalla Panasonic di Milano ha chiesto il trasferimento in Germania e oggi guadagna quanto la sua responsabile in Italia e presto potrà tornare ad occuparsi di cinema - dopo aver arredato casa nel giro di un anno - materia che ha studiato a fondo tra Vicenza e Milano. A noi, la seconda sera, si è aggiunto Federico, che ha raccontato brevemente del suo ultimo viaggio in India, mentre ci è sfuggito Andrea, che abita sempre a Monaco. Una città sorprendentemente pulita, sicura, con treni e metropolitane che passano ogni minuto, stazioni affollate, defibrillatori in punti strategici, zero accattonaggio. Che ha i Girasoli nella Pinatoteca Nuova, il villaggio olimpico del '72 vicino ad un parco enorme, un'area festa che quando non è Oktober è occupata da ogni scusa buona e una birra da impazzire. E, su tutto, ha qualcosa che qui manca così terribilmente che colpisce come se fosse un miracolo: l'opportunità. Quella che questi trentenni che hanno lasciato l'auto in Italia chiusa in qualche garage sono andati a cercare e hanno trovato subito, e che continuano a trovare, semplicemente, come deve essere. Senza sentirsi affamati di tutto: di soldi come di dignità come di riconoscimento, in quanto persone degne di futuro.
#chiamatelichoosy

giovedì 13 dicembre 2012

All'incontrario va

Il giorno in cui mi hanno detto che la mia avventura in radio sarebbe finita a fine anno (cioè tra 18 giorni) - e si parla di settimana scorsa - due altri avvenimenti hanno contribuito ad alimentare il desiderio di suicidio.
Il primo, più grave, è che proprio quel martedì iniziava una suplenza a due-passi-due da casa, di Italiano, in una scuola media. Un inferno scampato per quelle giovani menti (forse salve le gomme della mia auto), una boccatina d'ossigeno per me, alla luce dei fatti.
Il secondo è la richiesta di un confezionamento di un approfondimento con la notizia del momento: la perdita di posti di lavoro, le percentuali, il precariato. Insomma: io che vado in onda parlando di me. Provando, ancora una volta, quella sensazione di lontananza da un problema che mi trafigge così dolosamente da parte di chi mi sta intorno. Riassumendo: perdo il lavoro, ne perdo un secondo, lo dico ma non interessa, se non a livello statistico. Neanche un troppo interessante caso sociologico.
E invece no. Perchè se ormai la sindrome da sliding doors è di nuovo passata, se sono di nuovo meno arrabbiata, se sono ancora pronta a ricominciare da capo, se ho il sostegno di chi mi vuole bene, se non è colpa mia ma ho fatto tutto al meglio, se il pensiero positivo prevarrà ancora una volta è comunque una gran fatica che di opportunità non porta nemmeno il sapore artificiale.
Certo. Potrebbe piovere (Frankestein junior docet). Come no. Ma quello che mi fa impazzire è la sensazione da scampato pericolo che sento "negli altri". Fiùùùù. Mors tua. Terra ferma sotto i miei piedi, yes!! Ecco che cosa combatto ferocemente: l'indifferenza. Ecco perchè scelsi questo lavoro, come ho scritto cento volte: per poter testimoniare, far conoscere, far riflettere, anche solo un momento, oltre la cortina del menefreghismo.
Ecco perchè, in chiusura di questo post, racconto brevemente un'altra storia da vita di serie B. Brevemente perchè non conosco i particolari, ma spero che presto qualche collega possa approfondirla.
Mentre il Codacons annuncia una class action contro Trenord per i disagi subiti dai pendolari negli ultimi giorni la situazione è già precipitata. Pietro scrive sulla pagina Facebook del Comitato Pendolari della Linea S6 Milano Novara di essere stato licenziato. L'azienda non tollerava più i ritardi. Lasciato a casa con una certa facilità, il contratto a progetto lo permette. Non è valso a nulla alzarsi prima per prendere il treno precedente, come i pendolari testimoniano ogni santissimo giorno: i convogli sono in ritardo, si fermano nel nulla, hanno poche carrozze, la gente fatica a salirvi, i malori sono quotidiani. I ritardi sono matematici, puntuali, come questo licenziamento, difficile da digerire con un "ci scusiamo per il disagio". Pietro non sa che fare, ora è solo arrabbiato. Del Natale non se ne fa nulla, come del pensiero positivo, almeno per il momento. ll suo datore di lavoro gli ha detto che doveva alzarsi ancora prima, neanche abitasse in Svizzera. Mi sembra di sentire il preside del mio Liceo, quando ad una richiesta di permesso motivata proprio dalla difficoltà di prendere il treno mi disse di farmi comprare il motorino.
Potrebbe piovere, ma intanto fa un gran freddo.

venerdì 7 dicembre 2012

Ricominciamo

IL. O meglio, Castiglioni-Mariotti. Il Vocabolario di Latino per antonomasia.
Che ovviamente non avevo, perchè quell'estate, prima di iniziare il liceo, si comprò un dizionario in una festa di paese. In una di quelle feste estive in cittadine di mare, con lunghe vie della parte bassa di Palmi piene di bancarelle e invase da fiumi di gente che ride e che chiacchiera, vie geometriche intorno ad una piazza grande anzi enorme, dai concerti sempre bellissimi visti puntualmente dallo stesso angolo, il "nostro", in cui ci si trovata coi parenti e con gli amici senza bisogno di 200 chiamate al cellulare.
Un po' strano, forse, acquistare un dizionario, che devo aver consultato poi migliaia di volte, lì e in quel momento. Sottoposto poi allo scrupoloso esame della mia bassissima professoressa, superato con una smorfia da inferiorità. Perchè IL è IL, insomma, anche se (o anche perchè) costava sei volte di più. Diciamo che la presi come una sfida: il mio vocabolario, con la sua copertina rossa e le pagine più gialle, forse fatte di carta riciclata, sarebbe andato benissimo. Avrebbe assolto lo stesso identico compito del suo aristocratico fratello maggiore. E il tempo mi ha dato ragione. 
Questa notte pensavo a lui. Pensavo al significato della parola "viaggio", in una vita che sembra portarmi sempre nel punto di partenza. In una vita che provo a raccogliere, ma è come se affondassi le mani nella sabbia asciutta e questa sfugga, tra le dita, per tornare là dove l'avevo raccolta. In una vita che provo ad afferrare, ma è come se provassi a stringere acqua, che mi lascia solo la sua traccia bagnata. In una vita che non mi restituisce nessuna sostanza, che mi costringe a cercarla un'altra volta altrove, dopo due anni e mezzo là dove pensavo di trovarla sul serio, fuor di metafora.
Pensavo alla parola "viaggio" e desideravo di aver il mio dizionario a portata di mano. Avanti e indietro e poi con il dito fino alla parola tradotta, agli esempi, alla base di quella lingua che spiega chi siamo così chiaramente, che giunge così scientificamente alla nostra radice culturale, arricchita di quelle particolarità di sedimenti ancora più antichi che hanno resistito che ci portano ancora più nel profondo. Per capire che cosa mi ha portato di buono e di cattivo, per capire cosa posso migliorare e che errori non rifarò, per capire come affrontare quello che verrà.
Ma non è vero che torno sempre nel punto di partenza. Ho trovato della ricchezza (non in pecunia, non scherziamo) tutta a livello umano. Ho trovato delle persone, persone che porterò con me, nel prossimo viaggio. Forse è questo l'errore: sul lavoro l'affetto non serve, in fondo.
Ma se così fosse, sono ben felice di essere una splendida particolarità, che resiste alla scientifica distruzione dei sogni.

sabato 1 dicembre 2012

The Boss time. Again!

Ho pensato: no basta, quello di questa estate era l'ultimo. L'ho scritto anche qui. La chiusura di un cerchio. Poi sono uscite le indiscrezioni, due possibili date, poi tre, poi quattro. Milano, stadio San Siro.
Ma no, era l'ultimo. Perfetto, divertente, emozionante, significativo.
Ma Zeno Cosini mi fa un baffo. E' bastata la telefonata dell'invasatissimo Paolo a farmi cambiare idea. E poi Tiziano che mi scrive "mi ci porti?", come se fossi la massima esperta. (Sciampista, in realtà).
Ed ecco. 4 minuti fa si è aperta la vendita, affidata a Paolo. Forse vengono Sasha e Mirko, twins from Reggio Calabria, ma si arrangiano da soli nell'organizzazione. Ho chiamato la Sizza, perchè quel genio del 2enne di Martino si mette da solo di dvd di brustistin e rimane immobile folgorato ipnotizzato dagli assoli di Mighty Max in Born in the USA e Dancing in the Dark e li manda avanti e indietro in un loop batteristico che dura ore. Il 2enne, dovreste vederlo: al compleanno italotogolese di Leon (4 anni) ha rubato la scena ai percussionisti, suonando con le bacchette i bonghi con una padronanza di destra-sinistra-destra-sinistra da impressionare anche loro, che hanno il ritmo tribale nel sangue. Loro che lo riprendevano e lo fotografavano a bocca aperta.
Insomma, in attesa di portare Martino ad un concerto e vederlo passare tra le gambe dei fan fino a salire sul palco (abriiiiii abriiiii, mi diceva ieri sera) la situazione è sfuggita di mano. La temperatura è salita, le telefonate si sono compiute, e anche Veronica e Alessandro ieri sera parlavano del prato non riuscendo a star fermi stabili sulle gambe. Bisognava muoversi, bisogna muoversi.
E così stamattina l'ansia. Il sito carica e carica, F5 ed F5, ma giusto per provare. Perchè più di mezz'ora fa Paolo, l'Acquistatore, mi ha chiamato per un problema alla sua prepagata e gli ho dettato, nell'assoluta sicurezza della linea telefonica (folli! Sconsiderati, non fatelo! Non ci trovate niente sul conto!) il numero della mia carta di credito. Rincretiniti che tra un paio d'ore torneranno normali, forse, alle prese coi conti di tutti i giorni. Forse.
Eh, lo so, invasati per un vecchio blablabla, stesso tour dello scorso anno, canzoni sempre uguali, cheppalle.
Roba vostra, da tutto-il-contrario-di-tutto, censori miei. Io ho già quasi voglia di ballare, certa che da brava nana stavolta vedrò poco. Perchè è quasi ora che Steve si chieda: What time is it?