sabato 24 settembre 2022

Indifferenti a tutto

All'Ospedale di Sesto San Giovanni ormai so come muovermi. So dove sono i parcheggi gratuiti, il bar con il caffè migliore, quello con il forno a vista e i dolci e il salato da urlo. Incidentalmente, so anche quali sono i padiglioni che mi interessano: dove sta la radiologia, dove sta la mia senologa preferita, dove si fanno gli esami del prericovero e dove ci sono le stanze.

Un giorno, prima dell'intervento e dopo il tampone, sono andata a fare la centratura. In pratica, la doc ha aperto l'ecografia e con il laser è andata a disegnare sulla pelle il punto esatto in cui avrebbe tagliato per togliere la mia infiammazione. Ma sono arrivata preso e mi sono andata a sedere al prericovero, da quelle infermiere così gentili.

Mentre leggevo, si è aperta la porta della staza dell'elettrocardiogramma e sono uscite due donne e un bambino. La prima, molto giovane, ne precedeva una più grande. La madre. Entrambe velate, un po' accaldate in una giornata ancora torrida, vengono a sedersi al mio fianco. Ma quella giovane, dopo qualche secondo, si lascia scivolare e siede per terra. Resto immobile per qualche secondo e mi guardo intorno. Tutti fanno finta di nulla. C'è una specie di imbarazzo che ha zittito il brusio, ma niente di più. E' una cosa che stordisce anche me, come una specie di gas di finta indifferenza.

Mi riscuoto, però. Le dico: sdraiati per terra e metti i piedi qui, sulla sedia accato a me. Lei è bianchissima. Resto seduta, ma guardo l'ingresso della sala d'attesa, dove un'altra ragazza che si è ripresa in fretta da quel gas mi dice: ho chiamato l'infermiera, arriva subito.
Le metto la mani sulla gamba. Non so come si chiama ma non mi viene in mente di chiederglielo. Però le dico di respirare, le accarezzo la tibia. Aveva tolto le scarpe per rispetto. Il bambino le mette i piedi addosso, la madre lo sposta. Arriva l'infermiera: ti avevo detto di andare a casa. Lo so, risponde lei, ma mia madre non parla Italiano e mia sorella esce a mezzogiorno da scuola. Vado a prendere la sedia a rotelle, dice l'infermiera. Respira, dico io. Ma lei diventa sempre più pallida e si mette sul fianco e stupidamente, per la seconda volta, realizzo che è incinta.

L'infermiera chiama il Pronto Soccorso e fa uscire tutti, anche me. Mi incammino verso il mio padiglione, incrociando un ragazzo in tuta, con un passeggino che prima, al mio arrivo, ascoltava un audio al cellulare a tutto volume. Lo avevo notato perchè sì, in treno succede spesso, senza troppo far acaso a chi c'è intorno. E d'improvviso gli chiedo: c'è tua moglie dentro? Mia sorella, dice, mentre la porta a vetri si apre ancora e la madre lo chiama, nella stessa lingua di quell'audio.

Vado a fare il mio disegno magico. Ma non faccio altro che pensare a lei, giovanissima donna incinta calpestata anche dal maschio più piccolo della sua famiglia  e che il fratello non ha potuto sostituire, in quel giorno. Non sia mai che un uomo accompagni la madre a fare degli esami per un'operazione, qualsiasi essa sia. Lei che quel giorno ha vinto un giro in barella al Pronto Soccorso, cui anche io non ho saputo dir molto, in quel caldo lunedì. In quel malessere in cui si sarà pure sentita in colpa. In colpa per non aver assolto in pieno al suo dovere di figlia per un compito da donne.

E, forse, il velo e la lingua sono solo particolari. L'indifferenza no: quella è decisamente ben distribuita.

venerdì 16 settembre 2022

500 lire e la Bianchi Sport

Quando ha iniziato a lavorare, a metà degli anni '60, papà prendeva diecimila lire alla settimana. Quando, dopo anni, il Cerani l'ha messo a libri, la busta paga arrivava a trentunomila lire al mese. E lui li girava a suo fratello.

Vivevano tutti all'Isola, in una casa nuovissima in via Silvio Pellico. Era arrivato con la nonna e il nonno, che dopo qualche anno se n'eran tornati in Calabria. Il nonno curava il giardino dei fratelli Lattuada, che prima vendevano legna, poi carbone, poi gasolio, e avevano una grande casa con un bel pezzo di terreno in fondo a via Silvio Pellico, prima del sentiero per la cascina. La nonna spennava i fagiani che loro cacciavano, piccoli lavori così. Entrambi in pensione, ma ancora in attesa del primo "stipendio" dallo Stato, dopo una vita a coltivare la terra e raccogliere olive. Se ne tornarono al Sud perchè non riuscirono a trovare al nonno un pezzo di terra qui, dove gli inverni in un appartamento dovevano essere insopposrtabili per qualcuno che, dopo la Grande Guerra, ha sempre vissuto in campagna.

Anche le zie mettevano i soldi in casa. Le ventimila della più piccola, qualcosa di più della zia Concetta, che però aveva il permesso di tenere per sè qualcosa per il matrimonio imminente. Più di mille lire alla settimana di abbonamento del pullman, 30 lire per ogni tram preso. Anche allora spostarsi era carissimo, insomma.

A papà lo zio concedeva 500 lire alla settimana. Pochissimo, rispetto ai suoi amici che in tasca ne avevano almeno quattro volte tanto, magari con l'aggiunta della mancetta dei nonni. Ma lui se li faceva bastare comunque, iniziando a lavorare anche il sabato o a rendersi disponibile nelle pause del lavoro, che di tanto in tanto si verificavano. Una volta era andato ad aiutare l'Ambrogio a fare i salami cotti, nel negozio sullo stradone in cui si vendeva di tutto, di fianco al macellaio. Nàn, preocupas no. Ven chì dumàan. Riordinare, pulire e poi aiutare a fare i salamini, con un bel sanduiss al jambòn fatto fare dalla moglie. Mi volevano bene, sai. E io me l'immagino, questa vita all'Isola, e questi occhi neri neri e la zazzera di papà, piccolo immigrato che lavora tanto e li conquista così, tutti.

Nàn, specia. Voglio darti qualcosa per il tuo aiuto. Ambrogio, la usa quella bicicletta lì? Ha la ruota storta, se me la dà la aggiusto io, non voglio altro. Aggiunge 15 lire al regalo e sistema la Bianchi Sport. E poi che fa? Insegna alle zie a pedalare, le prime di una lunga serie. E la zia Domenica inizia a utilizzarla per andare a lavorare, dividendola con papà solo la domenica. Poi lei si sarebbe comprata un'Aquiletta, fregata in poco tempo in fabbrica. Ma nel frattempo papà era riuscito ad ottenere sempre più riconoscimento, al lavoro. Con i soldi extra busta poteva finalmente comprarsi i primi vestiti, alla soglia dei diciott'anni. E poi il patentino e la Vespa, settantamila lire. Surante i quindici mesi di militare a Bologna, si fa spedire periodicamente dei vaglia, e sono tutti soldi suoi, che ha già messo da parte.

E poi un giorno, a Nerviano, affronta il suo primo cantiere da solo, di nove appartamenti. Gli bastano pochi giorni per vincere la diffidenza dei capicantiere. Ha 22 anni e decide di iniziare a lavorare da solo. Da quel momento in poi, la sera, lo aspettano sotto casa per affidargli un cantiere alla volta, un lavoro alla volta.

Un passo alla volta. Senza perdersi d'animo mai, ma conoscendo il proprio lavoro e vederlo riconosciuto. Che epoca bellissima dev'essere stata. 

sabato 10 settembre 2022

Correre in solitaria

Anni fa la mia caporedattrice mi chiamò e mi disse: ho un biglietto per il Gran Premio di Monza. Lo vuoi? Solo uno, però.

Era un periodo in cui succedevano cose belle. Era l'anno delle Olimpiadi invernali a Torino che seguimmo con grandissima attenzione. Aggiornavamo spesso il sito del ticketing, scoprendo quale gara a Pragelato o chissà dove aveva ancora disponibilità. Le colleghe andavano alle sfilate della Settimana della Moda e ogni tanto chiedevano se qualcuna volesse andare, inondate di inviti. Nelle redazioni che funzionano, che lavorano, era così.

Eppure io ero frenata. Pur avendo svolto mille lavori da universitaria, pur essendo indipendente da sempre, mi mancava ancora qualcosa. Mi mancava l'intraprendenza. O forse, come ora, mi mancava un briciolo di incoscienza. Lo vuoi, quel biglietto? Sì che lo voglio, ma non so nemmeno dove sia esattamente l'Autodromo, fuori dall'autostrada. E se sbaglio svincolo? E dove parcheggio? E cosa faccio da sola? Che bello deve essere...ma cosa faccio se succede qualcosa?

No, grazie, mi spiace tantissimo. Dallo a qualcun altro. E poi ci pensai e ripensai mille volte, rimuginando sulla mia scarsa capacità di lanciarmi, nel momento della mia vita - fra le altre cose - in cui mi sentivo più al sicuro di sempre.

Una capacità che poi ho messo alla prova in altri modi. Ho imparato ad andare ai concerti, da sola. Al cinema, al ristorante, ovunque. Lunghi viaggio in auto, lunghi in aereo. Trasferte e trasferimenti. di giorno e di notte, con tutte le paure del caso, quelle che solo le donne hanno. In ambienti amichevoli e ostili.
Ma allora no, non vidi il curling, un catwalk e neanche la curva di Lesmo. Come se fossi inadeguata a mostrarmi senza un supporto al mio fianco. Poi ho capito che di supporti al fianco non ne voglio, a differenza di altri. Se ci sono, voglio persone a cui dire "oh ma hai visto anche tu?", semmai con stupore raddoppiato e non dimezzato.

Chissà se ci saranno altre occasioni, per il GP. Nel frattempo, come mi ha ricordato mia zia al battesimo della mia nipotina, in cui discorsi del tipo "ma allora quando ti sposi?" sono cessati da tempo...non mi manca niente. Di chicane ne ho un buon numero. Magari, qualche bandiera a scacchi in più non guasterebbe!