venerdì 16 settembre 2022

500 lire e la Bianchi Sport

Quando ha iniziato a lavorare, a metà degli anni '60, papà prendeva diecimila lire alla settimana. Quando, dopo anni, il Cerani l'ha messo a libri, la busta paga arrivava a trentunomila lire al mese. E lui li girava a suo fratello.

Vivevano tutti all'Isola, in una casa nuovissima in via Silvio Pellico. Era arrivato con la nonna e il nonno, che dopo qualche anno se n'eran tornati in Calabria. Il nonno curava il giardino dei fratelli Lattuada, che prima vendevano legna, poi carbone, poi gasolio, e avevano una grande casa con un bel pezzo di terreno in fondo a via Silvio Pellico, prima del sentiero per la cascina. La nonna spennava i fagiani che loro cacciavano, piccoli lavori così. Entrambi in pensione, ma ancora in attesa del primo "stipendio" dallo Stato, dopo una vita a coltivare la terra e raccogliere olive. Se ne tornarono al Sud perchè non riuscirono a trovare al nonno un pezzo di terra qui, dove gli inverni in un appartamento dovevano essere insopposrtabili per qualcuno che, dopo la Grande Guerra, ha sempre vissuto in campagna.

Anche le zie mettevano i soldi in casa. Le ventimila della più piccola, qualcosa di più della zia Concetta, che però aveva il permesso di tenere per sè qualcosa per il matrimonio imminente. Più di mille lire alla settimana di abbonamento del pullman, 30 lire per ogni tram preso. Anche allora spostarsi era carissimo, insomma.

A papà lo zio concedeva 500 lire alla settimana. Pochissimo, rispetto ai suoi amici che in tasca ne avevano almeno quattro volte tanto, magari con l'aggiunta della mancetta dei nonni. Ma lui se li faceva bastare comunque, iniziando a lavorare anche il sabato o a rendersi disponibile nelle pause del lavoro, che di tanto in tanto si verificavano. Una volta era andato ad aiutare l'Ambrogio a fare i salami cotti, nel negozio sullo stradone in cui si vendeva di tutto, di fianco al macellaio. Nàn, preocupas no. Ven chì dumàan. Riordinare, pulire e poi aiutare a fare i salamini, con un bel sanduiss al jambòn fatto fare dalla moglie. Mi volevano bene, sai. E io me l'immagino, questa vita all'Isola, e questi occhi neri neri e la zazzera di papà, piccolo immigrato che lavora tanto e li conquista così, tutti.

Nàn, specia. Voglio darti qualcosa per il tuo aiuto. Ambrogio, la usa quella bicicletta lì? Ha la ruota storta, se me la dà la aggiusto io, non voglio altro. Aggiunge 15 lire al regalo e sistema la Bianchi Sport. E poi che fa? Insegna alle zie a pedalare, le prime di una lunga serie. E la zia Domenica inizia a utilizzarla per andare a lavorare, dividendola con papà solo la domenica. Poi lei si sarebbe comprata un'Aquiletta, fregata in poco tempo in fabbrica. Ma nel frattempo papà era riuscito ad ottenere sempre più riconoscimento, al lavoro. Con i soldi extra busta poteva finalmente comprarsi i primi vestiti, alla soglia dei diciott'anni. E poi il patentino e la Vespa, settantamila lire. Surante i quindici mesi di militare a Bologna, si fa spedire periodicamente dei vaglia, e sono tutti soldi suoi, che ha già messo da parte.

E poi un giorno, a Nerviano, affronta il suo primo cantiere da solo, di nove appartamenti. Gli bastano pochi giorni per vincere la diffidenza dei capicantiere. Ha 22 anni e decide di iniziare a lavorare da solo. Da quel momento in poi, la sera, lo aspettano sotto casa per affidargli un cantiere alla volta, un lavoro alla volta.

Un passo alla volta. Senza perdersi d'animo mai, ma conoscendo il proprio lavoro e vederlo riconosciuto. Che epoca bellissima dev'essere stata. 

1 commento:

Anonimo ha detto...

Che bel racconto!