È notte; fonda.
Il lampo filtra tra le persiane non perfettamente abbassate e si riflette sullo
specchio appeso alla parete sulla parte opposta della stanza.
Piove; a dirotto.
Il rumore della pioggia che batte sulle mattonelle del giardino si mischia al
tintinnio ritmico degli sgocciolatoi, delle grondaie. Piove a pochi metri da
me, ferma immobile in un letto fin troppo grande e con un cuscino rosso da abbracciare.
Ma non ho paura; non ne ho avuta mai.
Immagino come mi piacerebbe che i troppi pensieri cadessero tutti insieme, come
uno scroscio di pioggia estiva; così, improvvisi. E poi sgombrare in fretta.
Quei pensieri che ti portano a credere di essere sempre un pochino sbagliata,
un po' stonata, un po' fuori ritmo.
Mentre tu vorresti averlo, un ritmo, fosse anche quello veloce e forte e
monotono come la pioggia forte.
Sì. In certi momenti vorresti perfino questo.
Che cos’hai paura di lasciare
andare?
Le domande migliori sono quelle che arrivano senza preamboli. Sono quelle fatte
dalle persone che non mirano tanto a riempire un vuoto discorsivo, né a
provocarti. Sono quelle poste da persone che hanno davvero interesse nel capire
cosa ti sta succedendo. Cosa ti passa per la testa. Qual è il nodo della
questione.
Che cos’hai paura di lasciare andare?
C’è una bella differenza tra desiderare un cambiamento e cambiare. Eppure, la
maggior parte del tempo, quello non buono, è trascorso confondendo le due cose.
La confusione è stata spesso protagonista, ripiegata così tanto su se stessa da
pretendere aiuti provvidenziali che pur sono arrivati, senza andare al nodo della
questione.
Che cos’hai paura di lasciare andare?
Un minuto netto: il tempo che ho impiegato prima di scrivere quella risposta. Forse
ho paura di ricominciare ancora una volta. E ancora una volta rovinare tutto, o
non saper cogliere il meglio.
Prima di quest’anno l’ho sempre pensata così. Ed è stato un anno in cui ho
fatto diecimila passi avanti, in cui forse me ne mancano sempre cento per scavallare.
Sto sempre correndo in quel campo di calcio infinito giapponese, ma non sono
ancora Holly, non ho ancora tirato in porta.
Quando ero al Liceo avevo paura di scegliere qualcosa che mi avrebbe precluso
la vera strada, e quella sensazione non mi ha mai più lasciato. La sensazione di
fare non le migliori scelte, di arrivare corta alla misura perfetta della mia
felicità. Mi sono data la decina d’anni per calibrare e accogliere tutto
come è arrivato: i grandi viaggi, il grande amore, i lavori, le passioni. E poi
ho riposto tutte le aspettative di trovare la misura perfetta nei mei trent’anni.
È qui che sono caduta.
Non ho fallito. Ma mi sono chiesta mille volte se avevo già avuto tutto. Se la
dimensione perfetta fosse arrivata e non l’avessi riconosciuta, nel mezzo di
tutta quella trance agonistica, quella gara (anche) contro me stessa. Mi veniva
solo da piagnucolare, e quel piagnucolìo veniva mal tollerato dagli amici e di
conseguenza soffocato sul nascere da me, che non mi sopportavo. A nessuno piace
stare accanto a una persona così; vedevo a tratti l’insofferenza riflessa negli
altri. Avevo paura di perderli, con lo strano effetto di isolarmi sempre di più
proprio nel tentativo di non farlo. Quante volte ho detto sì senza poter poi saperne
essere all’altezza. Saper essere adeguata.
Eppure non ho mai mollato davvero. Quest’anno ha squarciato un velo;
quella confusione, quel groviglio appuntito di pensieri ha avuto il tempo di
dipanarsi. Un conto è desiderare di cambiare, un conto è farlo: quando le
condizioni sono diventate insostenibili, ho scelto. E poi ho deciso di tornare
nella mia pelle. Un amico mi ha chiesto perché per me è così importante perdere
peso; dovevo ritrovarmi, gli ho riposto. Riconoscermi.
Allora lascia andare quella paura di fallire, perché non ti appartiene.
Lascia andare questa paura di non farcela.
Ogni cosa arriva al momento giusto.
Impara a credere ed avere fiducia.
Prima o poi Holly bucherà la rete.