giovedì 31 dicembre 2020

Cosa vuol dire rinascere

È notte; fonda. 
Il lampo filtra tra le persiane non perfettamente abbassate e si riflette sullo specchio appeso alla parete sulla parte opposta della stanza. 
Piove; a dirotto. 
Il rumore della pioggia che batte sulle mattonelle del giardino si mischia al tintinnio ritmico degli sgocciolatoi, delle grondaie. Piove a pochi metri da me, ferma immobile in un letto fin troppo grande e con un cuscino rosso da abbracciare. 
Ma non ho paura; non ne ho avuta mai. 
Immagino come mi piacerebbe che i troppi pensieri cadessero tutti insieme, come uno scroscio di pioggia estiva; così, improvvisi. E poi sgombrare in fretta. Quei pensieri che ti portano a credere di essere sempre un pochino sbagliata, un po' stonata, un po' fuori ritmo. 
Mentre tu vorresti averlo, un ritmo, fosse anche quello veloce e forte e monotono come la pioggia forte. 
Sì. In certi momenti vorresti perfino questo.


Che cos’hai paura di lasciare andare?
Le domande migliori sono quelle che arrivano senza preamboli. Sono quelle fatte dalle persone che non mirano tanto a riempire un vuoto discorsivo, né a provocarti. Sono quelle poste da persone che hanno davvero interesse nel capire cosa ti sta succedendo. Cosa ti passa per la testa. Qual è il nodo della questione.

Che cos’hai paura di lasciare andare?
C’è una bella differenza tra desiderare un cambiamento e cambiare. Eppure, la maggior parte del tempo, quello non buono, è trascorso confondendo le due cose. La confusione è stata spesso protagonista, ripiegata così tanto su se stessa da pretendere aiuti provvidenziali che pur sono arrivati, senza andare al nodo della questione.

Che cos’hai paura di lasciare andare?
Un minuto netto: il tempo che ho impiegato prima di scrivere quella risposta. Forse ho paura di ricominciare ancora una volta. E ancora una volta rovinare tutto, o non saper cogliere il meglio.
Prima di quest’anno l’ho sempre pensata così. Ed è stato un anno in cui ho fatto diecimila passi avanti, in cui forse me ne mancano sempre cento per scavallare. Sto sempre correndo in quel campo di calcio infinito giapponese, ma non sono ancora Holly, non ho ancora tirato in porta.

Quando ero al Liceo avevo paura di scegliere qualcosa che mi avrebbe precluso la vera strada, e quella sensazione non mi ha mai più lasciato. La sensazione di fare non le migliori scelte, di arrivare corta alla misura perfetta della mia felicità. Mi sono data la decina d’anni per calibrare e accogliere tutto come è arrivato: i grandi viaggi, il grande amore, i lavori, le passioni. E poi ho riposto tutte le aspettative di trovare la misura perfetta nei mei trent’anni. È qui che sono caduta.

Non ho fallito. Ma mi sono chiesta mille volte se avevo già avuto tutto. Se la dimensione perfetta fosse arrivata e non l’avessi riconosciuta, nel mezzo di tutta quella trance agonistica, quella gara (anche) contro me stessa. Mi veniva solo da piagnucolare, e quel piagnucolìo veniva mal tollerato dagli amici e di conseguenza soffocato sul nascere da me, che non mi sopportavo. A nessuno piace stare accanto a una persona così; vedevo a tratti l’insofferenza riflessa negli altri. Avevo paura di perderli, con lo strano effetto di isolarmi sempre di più proprio nel tentativo di non farlo. Quante volte ho detto sì senza poter poi saperne essere all’altezza. Saper essere adeguata.

Eppure non ho mai mollato davvero. Quest’anno ha squarciato un velo; quella confusione, quel groviglio appuntito di pensieri ha avuto il tempo di dipanarsi. Un conto è desiderare di cambiare, un conto è farlo: quando le condizioni sono diventate insostenibili, ho scelto. E poi ho deciso di tornare nella mia pelle. Un amico mi ha chiesto perché per me è così importante perdere peso; dovevo ritrovarmi, gli ho riposto. Riconoscermi.

Allora lascia andare quella paura di fallire, perché non ti appartiene.
Lascia andare questa paura di non farcela.
Ogni cosa arriva al momento giusto.
Impara a credere ed avere fiducia.

Buon 2021 a me.
Prima o poi Holly bucherà la rete.

lunedì 21 dicembre 2020

L'attimo rivelatore


Arriva un momento, nella vita, in cui all’improvviso, aprendo gli occhi al nuovo mattino o sotto la doccia, davanti al caffè, ma sempre in un attimo rivelatore, si prende quella decisione di cambiare qualcosa. Di dare una svolta. Di fare quel passo fuori dall’impasse che blocca in una posizione scomoda, in una situazione non più riconoscibile. E quella luce che si accende all’improvviso illumina la stanza monocolore in cui ci eravamo rannicchiate. L’angolo di sComfort.

Per Laura l’attimo rivelatore è arrivato in questo anno decisamente fuori da comune. Perde il lavoro a Gennaio, e una nuova occasione di entrare in una grande azienda sfuma per lo scoppio della pandemia. Perché ormai ognuno di noi sa che, per non perdere terreno, non ci possono essere pause né tentennamenti. Soprattutto per una donna, in qualsiasi condizione sia. Lei è sposata, ha un bimbo, ma la sostanza non cambierebbe se la sua condizione fosse differente: superare lo stop e trovare una soluzione per sè e per quello che pensa la gente. Non tanto per l’opinione, ma per il carico sociale che comporta. Questo arresto la lascia per un attimo senza terreno sotto i piedi. Una delusione che ha fatto però scattare qualcosa nel profondo: la ferma volontà di buttare fuori e lasciarsi tutto alle spalle.

Laura si iscrive in una palestra di Boffalora e non si ferma più. In lei lo staff trova e alimenta una straordinaria volontà di trasformazione. Giorno dopo giorno, allenamento dopo allenamento, una dieta ferrea e tanto impegno. Sacrificio, lavoro, sudore anche, per mostrare entrambe le facce della medaglia. Una lunga preparazione che l’ha portata a partecipare, nel giro di dieci giorni, alle sue due prime gare IFBB, della Federazione Nazionale Italiana di Bodybuilding e Fitness. A Roma, nella Notte delle Stelle, e a Bologna, dove conquista la sua prima medaglia, a cui fa riferimento la foto. Ad attenderla ci sono poi stati i campionati italiani. Il confronto con le altre atlete è stato uno stimolo per crescere, queste tre gare le hanno dato nuova consapevolezza, perché la competizione è proprio questo: confronto diretto.

Anche perchè Laura ha continuato, nel frattempo, ad aiutare il marito nella sua attività e da poco ha intrapreso una nuova avventura professionale. E di occuparsi di tutto, come sempre, compreso l’impegno di raccogliere la nuova sfida lavorativa, informarsi, leggere e studiare. E continuare a cambiare, dentro e fuori. In un modo straordinariamente adattivo che solo le donne conoscono davvero. Gli angoli di sComfort sono antiestetici.  

mercoledì 16 dicembre 2020

Far parte della sperimentazione

Ieri ho mandato una mail ad Astrazeneca. Gentilissimi, ho scritto, mi candido come volontaria per la sperimentazione. Invio solo una semplice mail in attesa di vostra risposta e nel caso rispondere alle vostre domande preliminari.

Cosí, senza preamboli, dritta al sodo. Le mie comunicazioni lavorative e non sono sempre state cosí. Ho sempre odiato l'aziendalese e la grande azienda, quando c'era, me lo faceva notare. Eppure, almeno per quanto riguarda il trial Covid, non serviva spiegare perché e per come a una mail trovata sul sito della casa farmaceutica che evidentemente non si occupa di raccogliere adesioni a trial medici. E da cui non aspettavo nulla, come succede alle migliaia di curricula inviati in questi ultimi quindici anni. Ma ecco come ci sono arrivata.

Già durante il primo lockdown ho maturato l'idea di fare parte della futura sperimentazione. Fare "da cavia" alla scienza è qualcosa cui ho pensato più volte in passato, in periodi economicamente poco felici, francamente. Inoltre, un'amica giornalista si era prestata, in Svizzera, per poi documentare quella settimana di test in un reportage. Ma pensarci non è come farlo. Pensarci è come aprire una porticina di una gabbietta e lasciare che qualcosa si liberi.

Ma poi la medicina è andata avanti e il vaccino pure. E quella piccola idea, rimasta nell'iperuranio delle possibilità, si è riaffacciata prepotentemente per ragioni meno veniali e meno teoriche. Diverse. Forse egoistiche. Forse solo di contrasto a un mondo sempre più oscurantista, in cui allo stampo medievale manca solo l'Inquisizione per concretizzare certi sommari processi. E cosí ho fatto una piccola ricerca prima tra gli articoli pubblicati in rete, poi sulla pagina LinkedIn della Pfizer e infine su Astrazeneca, appunto. E oggi ho ricevuto una chiamata. Da loro. Da un uomo, un informatore forse. Una persona che ha speso del tempo per spiegarmi cosa è successo e cosa succederà, con grande cura e chiarezza. Con cognizione di causa. Subito, dopo neanche ventiquattro ore. Non conosco il suo nome, ma è stata una cortesia che ringrazio e che, se possibile, ha rafforzato la mia piccola idea.

Non ci sono ancora centri di sperimentazione attivi in Italia, probabilmente presto sarà lo Spallanzani di Roma quello deputato. Non ci saranno comunicazioni da parte di Astrazeneca o altre aziende, perché il via al trial sarà responsabilità del Ministero. Non ci sono ancora indicazioni dall'Agenzia del Farmaco, ma solo delle indiscrezioni che hanno preso corpo in articoli senza grandi indicazioni, nè contenuti. Vero è che questi sono comunque giorni decisivi. Non si potrà comprare il vaccino in nessun modo. L'Europa lo ha acquistato per gli Stati membri, compreso ovviamente il nostro. La distribuzione e la logistica sarà in mano alla Protezione Civile, che da Pratica di Mare si occuperà della diffusione capillare e dei mezzi necessari per farlo. E questo è quanto. Ci tengo, gli ho detto. Sono una persona del tutto ordinaria e non so quando toccherà a me. Non si preoccupi, ha risposto. Giugno potrebbe essere in mese limite per raggiungere tutti. 

La comunicazione del Ministero avverrà non solo sul sito, ma sarà diffusa anche su altri canali di cominicazione. Toccherà aspettare e capire se l'idea potrà volare ancora un po' fuori dalla sua gabbia e trasformarsi, crescere, dotarsi di vere ali. E poter raccontare il seguito.

martedì 15 dicembre 2020

QuaranTINa: una storia di libertà


Mentre Milano stava per chiudere, il 28 Febbraio, Claudia era in fila al check in con Mirko e Tina. Ora o mai più, si è detta. Incoscientemente, o forse molto coscientemente, ha deciso di trovare una soluzione alla chiusura per sè, per il compagno e per la figlia. La meta era già fissata: Londra, vicino alla nostra amica Anna, che vive nella City da anni, spinta dalla nostra stessa voglia di riempirci gli occhi di meraviglia.

In realtà sono stati benissimo. Tina ha fatto un sacco di cose, la casa di Anna si trova vicino a uno dei grandi, enormi, parchi della città, ed anche se si sapeva che quel terremoto che ha investito l'Italia sarebbe arrivato anche sulla tube affollatissima delle 17, tutti loro hanno potuto aggiungere un pezzo di serenità in tutta quella incertezza. 

Viaggiare non è mai stato difficile, per Claudia. Siamo state colleghe di lavoro per un anno, ma con lei, Anna, Silvia, Federica e Francesca non ci siamo più perse di vista. I nostri incontri sono descritti anche in questo blog, e somigliano a tanti piccoli alveari verso cui noi api sciamiamo per raccontarci tutto in lunghe ore fitte di parole, a Milano, al rifugio Tavecchia, Verona, Firenze, Londra o Barcellona, nelle nostre case, al ristorante o in un caffè elegante, per strada, nelle piazze e nei parchi, in studi televisivi, davanti e dietro la telecamera, o la macchina fotografica. Il matrimonio di Claudia e Mirko mi ha portato sulle colline di Barcellona, ma loro, da giornalisti freelance, hanno scovato reportage e confezionato servizi da gran parte del mondo e per la stampa di gran parte del mondo.

E poi sono tornati a Milano; Claudia ha portato sempre Tina a fare dei piccoli giri e poi, progressivamente, a giocare con la vicina di casa e con l'amico di quartiere Andrea. Rafforzando il rapporto a due, meno quella di gruppo che però è arrivato dopo, per la sua piccola. E il dopo significa ancora estero: Chiclana de la Frontera, in Andalusia. Non voleva smettere di regalare un po' di magia a sua figlia, Claudia. Di quella buona, visto che l'altra faccia del freelance è il lavoro che appare e scompare. Andare via si è rivelata la soluzione migliore per evitare di fissare per tre mesi il soffitto della casa di Milano. Una prospettiva tutt'altro che irreale: il 27 febbraio mattina, il giorno nero delle Borse, in due ore tutti i lavori di Mirko e Claudia erano stati cancellati fino a Giugno. 

A Settembre qualcosa è tornato, per breve tempo. E allora Claudia ha pensato che fosse nuovamente giunto il momento giusto per viaggiare. Con mille accortezze, vero. Ma in aeroporti sempre meno affollati della metropolitana di Milano e verso una destinazione pressochè deserta, in inverno: la baia di Cadice. Meta di massa in estate, in questi mesi è una distesa naturale straordinaria, tra lunghe spiagge e la pineta, e un circolo di vicini e conoscenti che non supera in totale le trenta persone, facilmente isolabili in caso di manifestazioni di sintomi sospetti. 
E Tina frequenta un asilo insieme ad altri sette compagni. E al mattino si arrampica sugli alberi, il pomeriggio va a caccia di gechi e coccinelle. L'altro giorno ha dipinto in casa i legni che compongono l'albero di Natale a muro della casetta, insieme a un'amica. 

QuaranTINA è nato proprio con lei, nel primo lockdown. Inizialmente il progetto prevedeva un libro-collage, ma mamma e figlia, sommerse da giornali e ritagli e foto, si sono presto rese conto che non sarebbero andate troppo lontano, Tina per età, Claudia per mancanza di capacità manuali. 
Ma avevano inventato delle rime belle, divertenti, frizzanti come loro. E allora Michela Nanut è stata chiamata a illustrarle, e lei ha accettato con entusiasmo. E poi c'è stato un contatto con una fanzinoteca di Milano che ha raccolto altre storie della chiusura forzata. Questo le ha motivate a terminare il progetto entro il 31 luglio. E Michela, che ha un grande seguito da illustratrice, ha iniziato a ricevere alcune richieste, che dalla pubblicazione online su Issue si sono trasformate in una prima stampa. E una seconda e una terza. Un tam tam che l'annullamento delle presentazioni dal vivo nelle biblioteche e nell'ambito di Bookcity ha rallentato molto, ma non ha annullato del tutto. Basta scrivere a info.raccontami@gmail.com.

QuaranTINA l'ho comprato anche io, e l'ho regalato al mio nipotino Federico. Perchè è un punto di vista un po' differente di quello che ci succede intorno, un anno che noi adulti carichiamo di tutte le nostre paure, ma che da un altro punto di vista, quello di una bambina, racconta una visione diversa, in cui la fantasia continua a lavorare. E che contiene e rappresenta molte più vite di quella solo nostra. Va a toccare la libertà di decidere e capire come affrontare la situazione. Una scelta che investe tutti coloro che stanno crescendo una vita, e tutti coloro che crescono. 

Claudia ha tratto grande ispirazione dalla nascita di sua figlia. Fin dal primo giorno di Tina ha cominciato a pensare come avrebbe potuto raccontarle tutte le storie che l'hanno riempita di quella meraviglia che non perde mai, e che con Mirko è andata a cercare in tutti questi anni. Storie toste, per lei piccolina; per nulla facili da raccontare a una bambina, ma che lei ha trovato spesso nelle persone che incontrava; spesso ragazzini e bambini loro stessi, immersi nelle loro differenti culture.
Claudia ha sempre pensato a come fare giornalismo illustrato: oltre a QuaranTINA, che è stato un gioco di condivisione, delle cronicas che seguono le regole del giornalismo, rispettandole e insieme rielaborando i personaggi in modo che racchiudano tutti gli elementi necessari alla comprensione della storia. 

Queste storie si sono trasformate in una mini collana: LLatido de Alas, battito di ali in spagnolo, la lingua in cui sono scritte. Le piccole azioni che si fanno nella vita possano cambiare molto le cose, per Claudia, che ha raccontato le avventure reali di un gruppo metal in Indonesia, dei bimbi che tutte le mattine superano la frontiera tra Venezuela e Colombia per andare a scuola, della squadra di nuoto sincronizzato in Jamaica; e delle cholitas, piccole indigene che fanno lotta libera in Bolivia.
Se avrà successo, Claudia continuerà a scrivere storie per bambini dai sei anni in su. 
Altrimenti, non smetterà di farlo per tutti noi. Per tutte le età.