lunedì 11 settembre 2017

Storie di diffidenze

Settimana scorsa mi sono recata in una città lombarda per la partita di calcio della squadra. La prima in casa, la prima dalla promozione in B, la prima con un sostanzioso servizio, la prima con la nuova normativa di regolamentazione del lavoro.

Già, il lavoro. Stavolta non parlo del mio ruolo, ma di proposte di lavoro.
Piccole. Accessorie. Di contorno.
Parlo di lavoro allo stadio in una città con una (sola) squadra di livello, che quindi gioca in casa due volte al mese, salvo amichevoli, coppe, infrasettimanali. Di un lavoro che si fa più che altro per passione, perchè chi decide di partecipare ad un pubblico servizio (con tutti i rischi del caso) è esposto al caldo, al freddo, alla pioggia, agli insulti, e se va bene finisce qui.

Oggi non ci sono più neanche i voucher, che fino ad una bella sommetta non andavano dichiarati perchè già prevedevano le tasse incluse (anche più del solito, la trattenuta era al 25%). C'è solo un unico modo per tutelare chi lavora in uno stadio: il contratto a tempo determinato. Della durata dell'evento, tutto, che garantisce contributi e coperture assicurative.

Ma, attenzione: questa è una storia di diffidenza. Una storia che si rinnova ad ogni stagione ma che porta le cicatrici di quelle precedenti. Una storia che oscilla tra tutela e dilettantismo allo sbaraglio, una storia che va da pagamenti bassi, bassissimi, promessi e poi effettuati dopo mesi. Tre, sei, nove. Anche diciassette mesi. Di pazienze tenute a lungo e poi perse, di gocce che traboccano nei momenti più impensati.

E qui arrivo io, in una domenica di inizio Settembre. Arrivo a raccontare ad una platea gialla fosforescente che aspetta di sapere dove sarà posizionata che facciamo un contratto a tempo determinato, che il netto orario dipende dal loro reddito, che fa cumulo con il loro reddito, che le trattenute sono variabili, che saranno conteggiati tutti gli straordinari, che il pagamento è a metà del prossimo mese.

La reazione è freddissima. Anzi. Le cicatrici pulsano. I fantasmi sono cattivi consiglieri.
E anche spiegando che la legge prevede solo questa soluzione, non ci credono. Perchè altrove, vicino o lontano, vien detto loro che non è vero, vengono stipulati altri tipi di collaborazioni.

Poi c'è sempre un po' di altro: sono interrotta subito. Mi si ride in faccia. Mi si parla sopra.
E' vero: avevo scritto che non avrei parlato del mio ruolo. E' vero, si tratta solo di maleducazione.
Ma forse davanti ad un uomo avremmo parlato di una diffidenza diversa. O di una sola. Forse.