mercoledì 30 agosto 2023

Al lupo, al lupo

Ieri al mercato di via Fauchè ho comprato una maglia di seta scollata. Chissà se "il lupo" approva. Perchè bisogna stare sempre attente, e ogni tanto qualcuno si sente di consigliare alle donne di non provocare. 
Un unico comandamento, valido oggi, come ieri, come nel Medioevo. Occhi bassi, mutismo, zone coperte. 

Provocazione al lupo, si dice oggi. Rammarico, diceva qualche tempo fa il Procuratore di Bergamo, di cui avevo scritto qui, in questo blog. Al di fuori delle metafore (il calcio, la guerra, gli animali, perchè francamente sono un po' stufa) e di ritrattazioni (no, non abbiamo travisato nulla), di buoni consigli ne siamo piene tutte. Nel tempo, mi si è raccomandato di non prendere treni tardi, di non uscire da sola, di non viaggiare da sola (con qualche biasimo a un paio di viaggi con un'amica in Marocco e in Turchia). 
Una volta, ad una cena, una persona a cui tenevo mi ha detto che, se ci sono tanti #metoo, la colpa non può essere degli uomini. 

Il lupo. Chissà se Anna, classe '67, tornata a vivere con la madre per scappare da una storia malata, era scollata, quando il lupo l'ha accoltellata vicino all'auto. Chissà se Giulia, incinta, aveva provocato il lupo, che stava studiando da mesi come far fuori due vite. Magari Sofia al telefono ha detto qualcosa che il lupo non ha gradito, nascosto nel suo armadio. 
Eppure ci dimentichiamo di Brembate e della piccola ginnasta. O del lupo cattolico di Elisa Claps. 
Chissà tutte queste donne, così diverse per età, aspetto, fisicità, cosa hanno in comune per provocare il lupo, se non il solo fatto di esistere. E poi non esistere più. 

Non so cosa ci sia da travisare nel pensiero più stupido del mondo di credere che una donna sbagli a prescindere. La cosa peggiore è che alcune di noi finiscono per crederci, a forza di gridare "al lupo, al lupo". Lo vedo negli occhi della mia vicina, quando mi incontra sulle scale. Che sgrida ogni giorno ad ogni ora la figlia per qualsiasi cosa, a tutte le ore, da quando è nata, mentre il figlio no, è perfetto. 
Liberarsi da una cultura che ci vuole così, in subalternità, è anche questo: liberare le figlie dal fardello delle madri.  

mercoledì 16 agosto 2023

Perchè dovrei meritarmelo.

Scendo molto lentamente dal Rifugio Conca Bianca, primo step dell'ovovia che porta ai primi impianti della Cima Piazzi, toccando i fili d'erba a bordo sentiero con la mano destra.  

La fatica deve aver la funzione di un grimaldello. Chissà quanti tesori troverei, se non mi vincesse così spesso la pigrizia! Le riflessioni migliori, delle vere epifanie di consapevolezza, compaiono come fumetti quando sono costretta a stare fuori dalla mia solita zona di comfort. Quando cambio aria e abitudini, quando faccio fatica, ma resta sempre molto spazio per pensare. 

Ero lì, in frenata da dislivello importante, impegnata a pensare come mettere i piedi usando il più possibile il tallone e - contemporaneamente - sciogliere le rigidità, che la mia mente vaga a come sto camminando sì, ma nella vita. A che punto sono. E, di colpo, cambia la prospettiva, Maledico il fatto che questo non produca accordi, che non ne scaturiscano hit di successo, ma solo pensieri che scrivo qui, poi, senza aver il coraggio di trasformarli in piccoli, solidi, parallelepipedi di carta. 

E' proprio questo il punto: quello che credo di non meritare. No, davvero. Quello che penso non sia neanche lecito pensare. Osar formulare. Pretendere, perfino. In un modo che davvero sembra scandaloso. E ciò che non mi merito non è quello di "aver quello che hanno gli altri", in un gioco di allineamento che mi eliminerebbe dal colore stonato, la nota fuori dal coro, l'essere al di fuori delle righe in un modo del tutto innaturale, perché è vissuto da me e spesso da chi è intorno a me come una forzatura. Ma sta proprio nella naturalità, come quei fili d'erba che sento tra le dita, il fungo che osservo e non so riconoscere e quei piccoli, dolci lamponi che sembra abbiano aspettato solo le mie frequenti soste. 

No. Non è tempo di essere altro, perché non lo sono. Sono perfettamente ordinaria, non ho combattuto guerre importante, personali o a fianco di altri. Vivo nel mio mare di legno come tanti e, come tanti, pago la mia libertà a caro prezzo. Ma, a parte questo, niente di rilevante. Una scrollatina di spalle davanti a un complimento anche piccolissimo. Un imbarazzo di fronte a chi te lo dice. "Te lo meriti", e tu quasi ti giri a scovare il meritevole dietro di te.
C'è però questa consapevolezza a non essere capace di trasmettere une certa vera essenza, magari appuntita come il cardo che trovo a bordo sentiero, ma con quello splendido fiore che lo rende unico. No. Sono una campanula come tanti, ma è come se non meritassi il sole. Ci sono desideri che ho smesso di avere, non per mancanza di fantasia, ma perché lo ritengo un esercizio inutile. 

In un altro scenario, una settimana fa, lungo il Naviglio, questo pensiero era nato partendo da rapporti che si instaurano senza cercarli più, perché semplicemente accadono. Persone che non so ascoltano perché si escludono a priori. E quel fascino che si smette di mettere in gioco perché, tanto, non serve. 

Ecco, piccolo rivolo di acqua ghiacciata: perché ho battuto la ritirata? Ho scoperto i miei rifugi antiatomici (la mia casa e, quando sono via, il sonno) che uso troppo spesso, non quando c'è vero allarme, ma che comunque attivo sempre meno; ma ci sono troppe cose che non ritengo più alla mia portata e le lascio lì. Tesori. Chiusi da una chiave che ho buttato da qualche parte. 

Respiro, eppure manca sempre la profondità. 
Forse è meglio continuare a cercare di scogliere la rigidità in cui mi sono rinchiusa. 
Impiegare la fatica nel modo più utile e guardare. Oltre.
Perchè dovrei meritarmelo, di essere me stessa.


mercoledì 9 agosto 2023

Un addio da lontano, Luigia

Ho saputo che questa mattina si sono svolti i tuoi funerali, Luigia. 

L'ho saputo dal messaggio di Alessandro, ed è stata una fortuna e una sfortuna insieme. Da più di tre anni la tua casa è stata prima chiusa, come avevo scritto qui, e poi ha trovato un nuovo proprietario. E in tutto questo tempo io, Alessandro e gli altri vicini non siamo più riusciti a sapere nulla di te. Fino al messaggio di stamattina.

Succede. Soprattutto a una donna come te, classe 1929, senza figli e sola da decenni. Razionalmente è comprensibile: difficile risalire a una parentela lontana e più lenta di un figlio, ad esempio. Difficile capire come ti hanno protetta in pandemia e dove. Ma faccio fatica ad accettarlo, devo essere sincera. Perchè di noi, delle lunghe chiacchierate ingaggiate tra balcone e balcone, in piedi sotto casa tua, nel tuo salottino, c'è tutto il resto, ma non questo. Non ci interessava il contorno, avevamo della sostanza da esaminare.

Sei arrivata a questo 5 di Agosto, spero, con tutta la serenità del modo, perchè le tue ossa ti hanno dato dolori fin da bambina. Che questa vita ad ostacoli abbia preservato per te la dolcezza dei momenti belli, fino alla fine. Che quell'ultimo sospiro sia arrivato in pace. 

Mi sento impotente. Mi sento in colpa per averlo saputo così, per questi tre anni senza averti trovato. Ma sono felice di aver conosciuto la tua grande umanità. Di aver la conferma, ancora una volta, di come l'indole di una persona non cambia mai, ed emerge grande e potente anche quando il nostro involucro esterno non è proprio al massimo della forma. 

Un addio da lontano, Luigia. Ma solo negli spazi.