Fiore all’occhiello. Elezione.
Dimissione protetta. Terapia. Follow up.
Chi lavora in un ospedale parte sempre da qui: da quello che ha fatto scegliere
questo mestiere. Subito, o ad un certo punto della vita, stravolgendola
totalmente. Per aderire a una missione, è vero, che però comprende, tra gli
obiettivi di cura, anche l’eccellenza.
In Lombardia questa eccellenza non interessa a nessuno, tra coloro che hanno
trasformato il suo Sistema Sanitario da Unità Socio-Sanitaria Locale ad Azienda
Territoriale Sanitaria. E ATS ha applicato la logica aziendale.
Quella che mette ai vertici la propria nomenclatura e taglia tutti i costi
possibili.
Partiamo da qui. Per comprendere cosa è successo in questo 2020 è importante
capire dal punto di partenza. Dal contesto. Dal panorama costruito da 1997,
quando il “Socio” viene eliminato dalla narrazione. Quando sono iniziati gli accorpamenti, quando le convenzioni
coi privati sono fiorite, quando i tempi in ospedale si sono ridotti. Quando,
insomma, il Servizio Sanitario era organizzato in modo che dirigenti,
superiori, piani alti, avessero degli obiettivi di bilancio da perseguire. I
bonus, in azienda, si ottengono con i dati di profitto, di percentuali
conquistate, di margine. E il margine è il taglio dei costi. I costi del personale sono una voce preponderante che mal si accorda alla
logica del profitto. Se ho un numero ristretto di infermieri, medici, tecnici di radiologia, sono
un bravo dirigente per la mia azienda, bravissimo se organizzo lo staff in modo
che facciano tutto. Pazienza per l’eccellenza, la tecnologia ci viene in aiuto,
no? Basta mantenere un protocollo, uno standard; una check list da spuntare. E
se saltano i riposi del personale? Se malattie, ferie e permessi creano qualche
buco è semplice: saltano i riposi. Il buco è tappato dai presenti, senza le
assunzioni che garantirebbero a tutti lo stesso trattamento. Eccolo, il
panorama. Piatto, Padano. Livella veloce. Rullo senza merito. È in questo
scenario che arriva la pandemia.
Cosa accade a Marzo?
C’è un picco enorme, inaspettato, nelle
terapie intensive. I posti sono contati, perché a Regione Lombardia sono posti
che costano molto. Con quel picco i posti si sono comunque quadruplicati.
Quella di Humanitas, ad esempio, è passata da
13 posti letto a 54. Sembra anche poco, in realtà. Poco, finché non si capisce
cosa significa aggiungere 41 posti letto in un reparto del genere. Quanto
spazio, quanti materassi. Quanti ventilatori. Quanti monitor, quante bombole,
quante pompe a infusione. Quanti rianimatori, per quarantuno. Quanti
infermieri, per quarantuno, che facciano un mattino, un pomeriggio, una notte,
uno smonto e un riposo; quanti a turno tutti insieme. In più.
Oh bella: Regione Lombardia si sveglia dal dolce torpore ultraventennale e si
accorge di non avere le risorse umane per coprire questo surplus di richieste.
Ma siamo diventati un po’ tutti Wolf, e da bravi project manager ossessionati
dal margine siamo del problem solver, con quel linguaggio finto internazionale
tanto caro ai vertici di comando. I collaboratori, per prima cosa. Coloro che
saranno pagati a prestazione, grazie alla loro P.IVA che spesso li ha fatti
scappare da quei turni massacranti in cui a volte si saltavano i riposi.
Neolaureati, neodiplomati, ultimi anni. Qualche assunzione, forse.
Ma la soluzione più rapida è stata la conversione.
Prendiamo la lente di ingrandimento e facciamo degli esempi
concreti. L’Ospedale di Magenta vantava eccellenze nella Chirurgia della Plastica,
la Chirurgia della Mano, l‘Urologia. L’Ospedale di Abbiategrasso ha rinnovato
piani interi. Accorpati a Legnano, il secondo ha il Pronto Soccorso solo
diurno, e piani nuovissimi deserti; il primo è solo succursale. Convertire
tutti quello che era elezione (l’intervento programmato, l’intervento di
medicina) è stato rimandato; il personale là impiegato, spostato sulle terapie
intensive. Da qui la sospensione di interventi, visite, accessi, sale
operatorie. Quest’ultime portano spesso bei soldi nelle nuove Aziende
Territoriali, ma Marzo ha imposto lo spostamento da una casella all’altra di tutto
il personale. L’area Covid ha ulteriormente contribuito a livellare le
competenze degli addetti ai lavori con gli stessi soldi e un ritmo ancora più
serrato. E i post operatori? E le terapie? Si studia ora la ripercussione che
questo avrà sul SSN a lungo tendere sulle persone, in primis sulla prevenzione
di tumore, sui follow up. Pazienza se, nonostante questa enorme operazione
diversiva, nonostante Mr.Wolf qualche paziente è finito Palermo, o in Germania
perché non ci sono posti letto. In solitudine.
E poi la situazione è lentamente migliorata. Da qualche parte si sono salutati
i medici cubani, ovunque le visite specialistiche sono riprese con orari estesi
al massimo, anche di sabato e di domenica, chiedendo al personale, di fatto, di
non tirare mai il fiato. Là, ai piani alti, grandi strette di mano: tutto
sommato è andata. Fino a Novembre. Dove la manovra diversiva ha investito anche
la consueta spesa vaccinale.
M., infermiere a Legnano, parla di tsunami. La criticità è
partita dal Pronto Soccorso, per poi estendersi piano piano all’area
internistica che si riempie di malati. Non si sa più dove
mettere i malati Covid, e si ricomincia con la chiusura dei reparti, come quello di Otorino. È stata
aperta un’area vicino alla Rianimazione dove i malati non hanno i bagni, non
possono essere lavati. Nei reparti i colleghi piangono, sono positivi, si
contagiano facendo anche interventi di routine. La scoperta della positività
avviene soprattutto quando sale la febbre. Perché sugli altri malesseri si
soprassedere, c’è poco tempo per pensare. I turni, spesso, sono diventati di
sei ore, come in Humanitas. 6.00-12.00, 12.00-18.00, 18.00-24.00, 24.00-6.00.
Sei ore. Ma non avevamo parlato di turni massacranti? Il
panorama, recuperiamo il panorama.
S., infermiera collaboratrice in Humanitas, mi racconta che non ci si può svestire
da soli. Un’altra persona deve sempre aiutare il collega perché il contagio è
più facile quando ci si libera dei dispositivi rimasti a contatto in reparto.
E, una volta vestito e con nessuna parte esposta, grazie a tuta, mascherina,
visiera, da quel momento iniziano le sei ore (che non sono sei, quindi) e non si esce più dall’area Covid.
Si suda, la divisa di cotone al momento della svestizione è bagnata. Non c’è
possibilità di grattare il naso se prude, soffiarlo se arriva uno starnuto,
disappannare gli occhiali se l’aria passa nel modo scorretto. Qualcosa messo
male resta così. Gli elastici della mascherina? La spallina del reggiseno? La
calza che cade? Una piega degli indumenti che preme da qualche parte? Non c’è
modo di aggiustarli: quel fastidio nella testa durerà sei ore. Non si può fare
pipì, né ovviamente altri bisogni. Il consiglio è di non mangiare né bere per
almeno un’ora e mezza prima del turno, è vietato avere fame. Con l’incubo della
contaminazione.
Questo disagio non ha avuto alcun riscontro economico. Si era parlato di 100
euro in busta, ma non esiste in nessuna voce della busta paga. Un infermiere di
terapia intensiva, con le indennità, i turni, le notti, i festivi, guadagna 1.500
euro. In un normale reparto di degenza in prima categoria un infermiere
guadagna sui 1.460. Ma oggi tutti sono
catapultati in un’altra realtà, senza nessun riconoscimento annunciato.
Anzi. A Magenta i tamponi si effettuano solo dalle 9.00 alle 13.00, da
personale in riposo, o che fino ad una certa ora è occupato a lavorare altrove
e quando si libera va a fare i tamponi. Ci sono colleghi, spiega anche qui
un’infermiera, che stanno lavorando anche da quindici giorni consecutivi per
dare la possibilità di garantire il servizio. Allo stesso stipendio di sempre.
Dopo sei mesi cosa è cambiato? Nulla. Stessa situazione di
prima a gestire la stessa emergenza sanitaria, gestionale, strutturale,
amministrativa. Aziendale. La capacità di trovare una soluzione della
cosiddetta generazione incompiuta è il vero salvagente di Regione Lombardia, ma
chi lavora in Sanità sa che è una fregatura.