martedì 17 novembre 2020

Mancanza di compassione

Lo scorso sabato, sulla pagina di un Comune dell'hinterland milanese un medico di base ha sbottato. Ha sbracato, si è lasciato andare a considerazioni arrabbiate e parole di fuoco.
Era uscito a ritirare i DPI della Regione e ha incontrato moltissime persone in giro. Come se niente fosse, insomma. Come ogni santo sabato di quel Comune, in cui continua a svolgere il mercato, per fare un esempio tra tanti. 

Il dottore ha dedicato una decina di righe ai suoi pazienti e a quelli dei suoi colleghi nel modo più diretto possibile, ma ha ottenuto lo stesso risultato se avesse usato toni meno accesi. Tra le risposte, molte di scherno, qualche insulto (e che ci faceva in giro, lui?, mostrando di non aver compreso per nulla il post), e altre che negano il momento, che rivendicano libertà di circolazione. Insomma, non si accetta nulla, e tutto per lo stesso motivo: la paura. Quella del medico, per la salute della comunità e di se stesso, per lo stress cui è sottoposto insieme alla sua famiglia. E di chi non vuole comprendere il significato del suo sfogo per allontanare da sè il pericolo, rifiutando tutti i segnali di anormalità. 

Ma non stiamo vivendo un periodo normale. 
Oggi un collega radiofonico esce dal'ospedale dopo 28 giorni. VENTOTTO giorni di cadute e progressi che lui ben ha descritto come una lunghissima spartan race sdraiato sotto un percorso di filo spinato infinito. Di solitudine, circondato da persone in camici bianchi, senza un centimetro di pelle esposto. Solo occhi da guardare, solo quello, e compagni di viaggio distesi e striscianti sotto lo stesso lungo percorso puntuto senza fine. Esce, ma ha scritto molto, di debolezza e umiliazione, di insonnia e pensieri che non si fermano mai, e di reazione. 

Ma oggi, per me, è stato un altro giorno di lutto: una delle persone vicine ricoverate in ospedale ha smesso di lottare. Un uomo di una gentilezza infinita, il nonno dei miei cugini. Fratello e sorella che in questo 2020 hanno perso tre nonni amatissimi, che hanno avuto la fortuna di avere accanto con presenza e costanza. Chi ha il coraggio di dire loro che - tanto - erano vecchi? Forse gli sbeffeggiatori del medico, chissà. Forse qualcuno in cerca di tre minuti di celebrità. Cinici senza scrupoli che passano sopra a un dolore quasi solido, impotente persino nell'impossibilità di correre al capezzale, di stringere una mano che mille volte ha stretto loro, guardare quegli occhi che hanno seguito per anni, a lungo, i loro passi. Anche solo quegli occhi sarebbero bastati, sempre e per sempre pieni di orgoglio. 

Ad altri, invece, la vita non insegna nulla.

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