mercoledì 7 novembre 2012

Land of hope and dreams

Oggi su Repubblica c'era la foto di un surfista in coda al seggio di Venice Beach. Un baracchino sulla spiaggia, e lui era in coda con muta indosso e tavola sottobraccio. Su Corriere c'erano le foto di seggi nelle tende, nei luoghi colpiti da Sandy. Per coloro che non lo hanno potuto fare via fax, o via mail. Su twitter ho letto di una coda in un condominio, per un seggio aperto dalle 6 del mattino, fino alle 9 di sera. Lui, Obama, ha votato talmente tanti giorni fa che persino l'addetto al controllo della punzonatura deve essersene un po' dimenticato. Quel che si dice voto per voto, voto su voto, con sistemi talmente vari da riuscirmi impensabili. Con una fiducia incrollabile nel sistema, che non teme brogli, come succederebbe da noi verso schede depositate lì una settimana, 10 giorni. Con un diritto acquisito non proprio semplicemente presentando una tessera ad un funzionario, ma attraverso l'iscrizione preventiva ad una lista, e con sistemi che rinuncio a capire, e con i Grandi Elettori da conquistare che rendono i diversi Stati più determinanti o meno.
Un presidente eletto dal popolo. Gli Americani, termine che più generico non si può. Superproteici o iperobesi, di corsa nelle metropoli o sonnecchianti in pompe di benzina nel nulla, al sole delle spiagge o immersi nella neve, davanti a spettacoli della natura o dell'uomo, appena rientrati dalla missione in Afghanistan, come ben sa la mia amica Sara. America che è nei miei occhi grazie ai film, alle serie, ai libri, ai viaggi dei miei amici, alla mia visione personale di New York, o ora grazie anche al viaggio di Tiziano, freelance che ha macinato chilometri, ha perfezionato la lingua giorno per giorno, che ha scattato foto sui tram, sulle metro, davanti al "fagiolo", sotto un portico aspettando che spiovesse, davanti ad una Miami sfiorata. Lui sì che ha toccato con mano il sentimento di queste persone che, più di tutto, più della fede che sfiora il bigottismo, più del culto del corpo o di quello per il cibo, più del latte bevuto a colazione-pranzo-cena, delle porzioni king size e dei galloni di benzina meno cari della cocacola e più degli abiti venduti al chilo o dei buoni per la spesa, costituisce la vera essenza di questa persone: la potenza incrollabile del sogno americano.
Un sogno che si rinnova nei simboli: le frasi, le foto, la bandiera, una canzone. Grazie, sognatori, perchè il Presidente è nero. E fra quattro anni potrebbe essere donna.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Bella quella canzone di bruce Springsteen.
Ho un parere un pò poco lusinghiero sugli americani e sull'america in generale, credo che "believe in USA" a priori li abbia solo portati ad essere un popolo tremendamente all'oscuro di quello che succede al di là dei propri mari e, a volte, ignoranto quello che succede al proprio interno.
Però ecco, gli stati uniti credo che sia l'unico paese al mondo dove "tu puoi", non importa cosa, ma là puoi farlo, o per lo meno provarci.

E per questo li invio da pazzi.

Ciao
Fabio
ps:ottima decisione quello di non chiudere il blog :)

Anonimo ha detto...

invio=invidio.

Maledetto blackberry!

Fabio

Tiziano ha detto...

C'ho provato varie volte, a lasciare un commento a stò post... ma la connessione non m'ha mai aiutato. Ci riprovo, ora che forse non ha più molto senso...

"Scema!!! Sto cercando di trattenere le lacrime davanti ad una cameriera Ucraina, in una caffetteria di Chicago. Grazie, Sabri, veramente. E questa è veramente la terra delle possibilità, dove ognuno può almeno provarci, ad essere quello che vorrebbe essere"