giovedì 23 luglio 2009

La cura dell'anima

Sono andata a trovare lo zio in ospedale. Ha la sua età e una serie di malanni che sembra la lista della spesa del sabato: l'anemia, il diabete, un leggero ictus, l'artrosi al ginocchio, una sinistra cisti da togliere...
Povero zio, non è molto su di morale. Anzi, per niente. Teme di non uscire più dall'ospedale, dove è ricoverato da tre settimane. Alla prospettiva di un'altra operazione si dispera e piange. Lo zio. Un uomo grande come una montagna, che io e mia sorella, da piccole, scalavamo letteralmente, i nostri piedini sul suo pancione, e lui sempre lì, a farsi massacrare, sempre allegro.
Devo dire che ce l'ho messa tutta a non unirmi alle sue lacrime. L'ho buttata sull'Ibrahimovic, e sul Trezeguet (lui, super juventino, analfabeta che però aveva imparato i nomi delle squadre e complilava tonnellate di schedine dei Totocalcio, giocando anche le nostre che sembravano più disegni del tipo "unisci i puntini" che altro)... e su come lo trattano all'ospedale.
E lì la svolta: come un fiume in piena mi ha raccontato queste tre settimane, dal prelevamento in casa con l'elicottero ("quello lì...in 5 minuti mi ha sistemato...tutto coperto, sembrava l'Uomo della Luna!") alle cure. Alle brave persone che lo assistono: le infermiere e gli infermieri, il primario, la dottoressa. Solo l'ortopedico latita...
E il suo morale è risalito, piano piano. Mentre tornavo a casa, e il nodo allo stomaco si scioglieva pian piano anch'esso, mi sono resa conto di quanto bene faccia un sorriso, la gentilezza, un lavoro svolto come una missione, con passione. Tutte medicine che curano l'anima.

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