martedì 25 agosto 2009

Le parole che non ti ho detto

Sei lì tutto immerso nei tuoi problemi quotidiani. Il lavoro, la spesa, il caldo, gli amici che ti deludono, le vacanze troppo brevi e neanche troppo perfette, il sonno che non riesci a prendere. E poi, d'un tratto, succede. C'è una persona che se ne va, una persona cui tieni davvero, cui sei legata da un affetto fatto di anni e di ricordi che peschi con piacere dalla tua infanzia, ricordi chiari, che sanno di risate, e di pranzi sotto alberi frondosi, e di mare.
Passa tutto all'istante in secondo piano. Getti un'occhiata di lato e ti stupisci di come ti affannavi dietro a cose tanto stupide, a quanta attenzione presti ai pareri altrui, alla fatica di sembrare quello che in realtà già sei.
Quello che sei adesso è una persona colpita dalla morte. Impreparata, perchè è arrivata veloce e non ti ha dato il tempo di adattarti alla già orribile notizia della malattia. Che ti ha privato di una telefonata a questo cugino romano, ti ha privato di trovare le parole che cercavi per esprimere l'affetto che è dentro di te.
Non posso fare altro che scriverle, queste parole. Scrivere dei capelli lunghi e ricci di Salvatore, e poi corti e sempre più brizzolati. Ricordare le sue battute in romanesco stretto, a occhi sbarrati, che mi buttavano a terra dalle risate, con quella S un po' paperina. Pensare al suo amore smisurato per la Roma, le sue trasferte, i suoi turni massacranti al lavoro incastrati sempre in modo di essere tra i primi ad arrivare in curva, lui, uomo del Testaccio, profondamente innamorato del suo quartiere, innamorato della famiglia. Quel suo modo di darmi coraggio poco prima del mio esame di Stato, di raccomandarmi di stare attenta alla borsa mentre mi rimetteva letteralmente sul treno.
Quel suo saluto sulla banchina. Che non doveva essere l'ultimo, ma che lo è stato.

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