giovedì 19 marzo 2020

Della sanificazione, un inutile rito collettivo

E' davvero molto facile credere a qualcosa, in questo momento. Qualcosa che ci aiuti a stare bene, a trasferire un po' della sofferenza che ognuno di noi prova, nelle diverse misure in cui la sente, al di fuori di noi stessi. Ogni mezzo diventa un alibi per giustificare questo trasferimento: molto spesso, è la ricerca di un qualsiasi capro espiatorio su cui riversarci qualcosa, travasandola da noi, facendola filtrare o lasciandola erompere.

Cercare qualcuno o qualcosa da incolpare è una reazione del tutto normale; farlo in gruppo diventa un'azione sociale. Schierarsi si trasforma in una presa di posizione che ci identifica con quale gruppo stare. Un atteggiamento che si ripete da quando siamo bambini, si rinnova in ogni fase della nostra vita. Questa condivisione di responsabilità ci porta a prendere una comoda posizione senza pensarci troppo: deve essere per forza così, quindi sostengo una causa, soprattutto se supportata dalla maggior parte delle persone.

E le cause oggi si perorano sui social, non potendo farlo di persona. Anche se, a dire il vero, succede ormai da una decina d'anni a questa parte.
Ormai non ci si chiede più "ma è davvero così?"; la visione parziale di un fatto, vista con gli occhi di uno, può essere in toto sposata e condivisa senza nemmeno attivare il pensiero critico? Sì; succedeva anche dal vivo, prima. Quando si decideva che quella compagna di classe andava derisa e lo si faceva tutti insieme.

Quindi, oggi, se qualcosa ha un suono simile alle nostre paure, se somiglia a un terrore da esorcizzare, se ci si deve accanire verso l'ignoto, si sceglie il nemico più facile. Se si deve credere a una soluzione, si crede. Ma anche questo in realtà non è nulla di nuovo: la storia dell'uomo è punteggiata di riti assolutamente simbolici ma privi di efficacia. Di convinzioni collettive al di là di qualsiasi razionale pensiero.

Di riti ce ne inventiamo sempre di nuovi. Il Gange è lontano, l'acqua santa non si può usare, e allora ecco la candeggina. Candeggina per lavare tutti insieme l'onta di uno sporco portato da chissà chi, formato chissà come, colpa di chissà cosa. Purchè sia un rito pubblico, si invoca un lavacro in pubblica piazza e in pubblica via.

Ma a cosiddetta sanificazione in realtà non esiste. Prima di tutto, perchè la normativa esiste al  di sopra dell'emergenza. La percentuale di candeggina che si può utilizzare sulle strade è dello 0,1%; il resto è acqua e sapone. Lo determina l'ISS, l'Istituto Superiore di Sanità. La stessa che ci dice che lavare le mani è importante, mentre tenere i guanti per un'intera giornata è al contrario inutile.
E mentre lo scrive, qualcuno lo riprende (tipo l'ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambentale), osservando che esistono informazioni contrastanti. Già, la suola delle scarpe non portava il virus? No. Ma la bufala continua a circolare, perchè non si sa mai, è lo sporco prodotto da chissà chi e chissà dove. Gli altri, maledetti.

Semmai, rileva l'ente, che intesta l'osservazione insieme al Sistema Nazionale per la Protezione dell'Ambiente, non attenersi a certe percentuali libera sostanze nocive nell'ambiente e nelle acque superficiali. Ma come! Ci siamo liberati dallo smog per avvelenare di proposito la terra?

Ma nel solito giochino dell'"e allora in Cina?" si guarda ovviamente a chi è migliore (?) di noi. Migliore quando conviene, beninteso. E a squadre di pulitori con la tuta integrale fianco a fianco sulle strade di fantomatiche città. Senza magari chiedersi che tipo di pulizia stradale ci sia, "e allora in Cina". Se magari, nel capitolato, nei contratti cittadini, nelle norme, c'è lo spazzamento strade, ci sono gli spazzini, c'è qualcosa che testimonia una cura delle strade quanto la nostra. Forse, magari, in Cina, le strade si puliscono due volte l'anno. Ma siamo ormai tutti metonimie di noi stessi, ci limitiamo a piccole parti senza più il tutto. Non abbiamo più tempo, per il tutto. Anche adesso che il tempo ci è stato restituito tutto in una volta.

Perchè le nostre strade sono pulite. Quando non lo sono, è perchè ci sono le cacche dei cani (di chissà chi arrivato da chissà dove); forse qualche mozzicone. Ad andar male si pesta una cicca masticata. Ma le strade sono pulite. E anche con tutta la candeggina del mondo le cacche dei cani tornano, di chissà chi. E in ogni caso i cani non portano il Coronavirus.

Se ci fosse la prof. Magistrelli, probabilmente una battuta sull'ipoclorito di sodio me la farebbe. Capire i sali fu quanto di più complicato che dovetti affrontare al secondo anno del Liceo; ma si trattava pur sempre di contare i salti degli elettroni, di calcoli matematici. E quindi tutto normale, nel mio percorso del tutto poco analitico.
Ma la mia prof di Chimica del Classico era un'anticonformista, e non l'avrebbe fatta solo a me. Forse qualcosa ho imparato lo stesso.

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