mercoledì 14 novembre 2018

Razzismi al contrario

Non c'è un modo semplice per spiegare un viaggio a Capo Verde. Il secondo, per giunta.
Non saprei se definirlo in Africa, anche se una delle squadre di calcio delle Isola si chiama Africa Show. Del resto, anche loro non si definiscono africani, ma ci tengono a puntualizzare la loro essenza capoverdiana con una certa fierezza. La loro è una storia particolare, fatta di conquiste, fortini, passaggi di navi negriere, impero del sale, punto fondamentale del commercio portoghese nel mondo imperialista.

E non posso nemmeno generalizzare sulla nazione, ma parlare solo di Boa Vista. Certo, intere carriere sono basate sul nulla, ma mi sfilo molto volentieri (e poi...che carriera?). E quindi Boa. Rabìl per atterrare in un aeroporto praticamente senza tetto e per partecipare ad una bellissima festa di paese, Sal Rei per abitare, un fuoristrada per girare.

Mentre arrivavo in aereo, maledicendo gli alisei, il vento contrario, le turbolenze, sudando come un maialetto sullo spiedo e senza potermi attaccare a nessuno, mi chiedevo come avrei replicato. Si replica, di un viaggio nello stesso luogo? Cosa cambia, oltre all'aspettativa?
Non lo so. Mi sono immediatamente accorta quanto quella prima volta mi aveva lasciato. Il vento, ancora e su tutto. La strada da percorrere a piedi verso la spiaggia, le vie che cambio di continuo, la panetteria e l'asilo. La chiesa a lato della piazza, serve taxi? La scuola di capoeira e la nuova clinica. E la sabbia, e il mare.

Com'è?, mi hanno chiesto in tanti. E' la contraddizione di una città che cresce in disordine, tra facciate di tutti i colori e muri diroccati, vie ferme all'800 e hotel nuovi, una baraccopoli sempre più grande, i pulmini dei lavoratori verso gli sterminati villaggi, la spazzatura e la pulizia, la proposta varia ma in piccole quantità.
E la vitalità, il calcio e la musica e il kite, le escursioni, i quad, lo snorkeling, il windsurf. Case, appartamenti, B&B. Artigianato locale nascosto da quello di importazione. Bazar cinesi, birre gelate da 25 cl, riso e pesce e carne. Asini che traversano la strada.

Ma c'è molto di più. C'è qualcosa sopra. Il mare, la sabbia, il deserto. Piste, che ne ricalcano alcune da secoli, che percorrono letti asciutti di fiumi. Muri a secco di case senza più tetti.
C'è la Terra che respira, a Capo Verde. Ed è questo respiro, questo soffio continuo che il vento porta all'orecchio, scombina i capelli, stropiccia i vestiti, asciuga l'acqua del mare che chiama e chiede di fermarsi, di valutare l'importanza del superfluo, di restare.

Restare da stranieri, però. Perchè, nonostante l'Europa sia decisamente presente, è comunque lontana, e tu sei comunque un bianco che dee fare più file di altri, anche quelle che gli altri saltano. Che devi avere a che fare con tutta la burocrazia possibile, che altri non hanno. E' un po' come sperimentare un razzismo al contrario, capire cosa vuol dire essere in minoranza e non avere troppa solidarietà. Ma quello diventa il tuo posto, quella diventa la battaglia.

C'è una realtà, quella in cui siamo immersi, che mentre la viviamo ci sembra l'unica possibile.
Ma non è così. Ognuno di noi a molte possibilità, anche della stessa realtà che ci sembra impossibile da modificare. I viaggi sono un'ottima opportunità per scoprire che la vita può essere affrontata in molti modi. Boa Vista non fa giri di parole. Ma siamo pronti a liberarci del superfluo?

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