domenica 7 novembre 2010

Fuga nell'arte


Basta poco per sentirsi in vacanza.
La sveglia presto, un treno alle 6.35 e l'arrivo in Laguna poco dopo le 9. Un appuntamento alle 11, per il resto io e la Manu abbiamo fatto di tutto per perderci. Su e giù dai ponti, in vie strette che non ci si passa in due e improvvise piazzette, a spiare artigiani al lavoro, guardare dolci colorati in vetrina, ammirare la tomba di Canova, bere un caffè con il cocco in un bar pieno di giovani veneziani. E poi arrivare in San Marco passando dalla calle dello shopping e stupirsi, in Basilica, di quanto siano bui quei mosaici che dovrebbero accecare e di quanto siano consumati quei bellissimi pavimenti. Sederci sulle passerelle ancora montate, inutili, perchè l'acqua alta era già passata. Scoprire un Kubrick fotografo, riattraversare la città scordandoci delle linee rette per tornare in stazione, a pomeriggio inoltrato.
Turiste, in mezzo a veri turisti dalle mille lingue, professionisti della fotografia totale, anche solo per una mezza forma di parmigiano messa in vetrina. Ma senza la loro ansia di non farsi scappare nulla, perchè è stato un ritorno, perchè la città è veramente vicina, a ben pensarci.
Nel mezzo, la promessa di un lavoro in Yemen. Un lavoro bellissimo e fatto così come deve essere fatto, con tutto il tempo che occorre, in una terra difficile, in cui le donne valgono zero. In una moschea, per giunta. Ma un lavoro che si farà, in quel luogo fuori dai tempi, in un luogo in cui anche io mi rifugerei per osservarlo da vicino.
Quel lavoro che qui da noi, come deve essere fatto, non esiste più. Ce lo hanno detto i mosaici grigi della Basilica, i marmi tristi della tomba di Canova, gli stucchi neri della piazza San Marco. Ce lo hanno detto i crolli di Pompei. Quel lavoro che non c'è in Italia, che si va a fare nella profonda Penisola Arabica.
Probabilmente si fa per quei turisti avidi. Per non farli morire di emozione.

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