mercoledì 14 ottobre 2020

Fogliettone romano


Tutto ciò che riguarda la conquista del mestiere è legato a Roma, dalla prima prova scritta all'Hotel Ergife, quella dell'esame di abilitazione giornalistica. Quella volta venne Salvatore a tirarmi giù letteralmente dal treno: mi ero rotta il braccio solo una settimana prima e ancora faceva molto male, e nel 2008 era ancora possibile attendere sulla pensilina, accanto al binario. Fu lui a portarmi allo scritto, fu sempre lui ad accompagnarmi in auto sul lungotevere, a fianco alla Sinagoga, per il colloquio orale, con un'auto blu che sapeva di muschio perchè non teneva troppo l'umidità. Lo scorso fine settimana, invece, per il concorso dei Giornalisti Rai ribattezzato Concorsone, è stata la volta del fratello, Domenico. Indicazioni precise al millimetro in stazione, e viaggio verso la nuova Fiera di Roma stavolta con una Golf nuovissima, taxi in servizio solo per me. 

Sarà per questo, per le colazioni e i pranzi abbondanti di zia, la sveglia affacciata sul cortile del Testaccio, le risate e le lunghe passeggiate nel cuore di questa città con le gambe e gli occhi accompagnati da chi la ama nel profondo, sarà per questi fratelli che mi scortano verso le prove che mi hanno fatto tremare le gambe. Sarà per questa sfumatura famigliare che, nonostante il braccio rotto allora e il Covid oggi, queste prove si affrontano con il miglior stato d'animo possibile. Con una sincerità che nessun luogo comune potrebbe davvero indagare.

La pandemia non ha rimandato oltre questo concorso che aspettavamo tutti da almeno un anno e mezzo e per il quale ci siamo presentati il 2.770. Anzi: ci ha diluito in due ingressi e tre orari, ci ha fatto camminare per 4 km in percorsi protetti e sicuri, misurando temperature, consegnando autocertificazioni e raggiungendo i nostri banchi ben isolati all'interno più padiglioni senza mai avvicinare nessuno. Cento domande in 100 minuti che hanno subito messo in chiaro quanta abilità dovessimo mettere in campo.

E poi via, peripatetici nell'uscita e consapevolmente socratici della nostra ignoranza, a ripercorrere la metà di quei chilometri in uscita. Per me, Domenico ad attendermi, verso il frugalissimo pranzo della zia e quella casa piena di foto e un fine settimana di noi, famiglia vasta cui le distanze non azzerano mai la confidenza. Un bagno nel Tevere che toglie tutte le sovrastrutture e mi restituisce come sono, come sono anche loro. Una gara difficile da assegnare tra sguardo e palato. 

Non sono stata ammessa allo step successivo. E' giusto: non ho dimostrato abbastanza sapienza, e il gruppo su Facebook creato dai partecipanti restituisce la stessa fotografia. Ma quello che ho portato a casa, sul viaggio in treno protetto da mascherina e distanziamento, è stato molto di più della soddisfazione di aver avuto il privilegio di testarmi. Il privilegio, vero, è di sapere che posso contare su un luogo del cuore. Un luogo in cui i sogni sono ben coccolati, in attesa della prossima occasione. 

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