giovedì 20 gennaio 2011

Fuochi

Faceva freddissimo, lunedì. C'era la nebbia. Era lunedì, e solo questo avrebbe dovuto bastare.
Ma era Sant'Antonio, e qui da noi vuol dire falò. Non uno solo, ma tanti, perchè a Santo Stefano siamo tanto bravi a dividerci e a farci dispetto l'uno con l'altro, magari bruciando quello degli altri in anticipo.
Fa niente. Noi ci siamo sempre. Ci scriviamo il nostro tam tam, ci tiriamo fuori di casa a vicenda, passandoci a prendere, definendo orari, insultandoci, venendo a cena. "Non fare la figa di legno" è diventato universale e quasi unisex.
E alla fine eccoci lì. Piccoli yeti nelle giacche a vento tirate fino alle guance, sciarpe-guanti-cappelli, con il vin brulè in mano e il lato rivolto al fuoco incandescente e quello non esposto ghiacciato, come fossimo piccoli pianeti troppo vicini al loro Sole. A guardarci negli occhi, spesso unici parti libere da indumenti, e parlare tra nuvolette di fiato. Salutare quegli sparuti che non si vedono mai e chiacchierare, maledicendo i bambini che nel fuoco buttano i loro raudi, dimenticando, forse, che lo abbiamo fatto anche noi.
Poi salta su il Ranza, che ha fatto il limoncello e vuole farcelo assaggiare. E allora via, in una dozzina, a casa sua. Per continuare, con braccia e visi e mani più libere, quel rito della condivisione che ci piace tanto, seduti o appoggiati al bordo di un divano.
Quel rito che si chiama amicizia.

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