lunedì 5 ottobre 2009

Il mio diritto

Ieri sera ho ascoltato la Ferrario leggere a fine Tg il comunicato di redazione sulla presa di posizione dei giornalisti rispetto al suo direttore e mentre guardavo quell'espressione tranquilla e ascoltavo quella voce pacata e ferma non ho potuto far altro che pensare ad una parola: dignità. Per una giornalista della Rai, forse, difendere il proprio lavoro e la propria professionalità e la propria coscienza è più facile, perchè dietro di lei esiste un sindacato, un gruppo di riferimento. Ma molti di noi non hanno questa fortuna. Molti di noi non hanno un contratto, nemmeno; molti di noi si aggrappano ad un sogno, quello che hanno coltivato fin dalle scuole, e lo hanno esaudito perchè lo hanno voluto con tutte le proprie forze. Molti di noi prima si son sentiti dire che le abilitazioni prima sono importanti, poi sono inutili e se ci arrivi, a diventare professionista, lo fai solo per entrare in una casta; molti di noi restano comunque fuori da questa casta perchè non hanno genitori con un nome già noto (in quanti colloqui mi hanno chiesto il mestiere dei miei, quanti?) e pagano tasse di iscrizione, gestione, gestione separata, casse di previdenza, ma restano senza sussidio perchè, nonostante verbali e certificazioni, c'è qualcosa che lo blocca. Molti di noi ascoltano i mea culpa di politici, di dirigenti "anziani", di intellettuali che si dolgono di come i giovani non riescano ad emergere, si mettono in tasca i "complimenti" e i "brava" con un certo nervosismo, ma poi pensano che oltre a questo restano sempre molto danneggiati dalla rivalità del collega, che destabilizza il tuo equilibrio. Che lede proprio quella, la tua dignità.

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