mercoledì 1 aprile 2020

La spa a casa: cronache di professionismo che manca

No, non tornerò dalla mia estetista come un castello diroccato.
No: devo fare qualcosa. Potrò pure fare qualcosa, no? Alla fine, cosa ci vuole?

E quindi ho finto di aprire la mia personale spa. Mentre riempivo la vasca, piano, ho lavato i capelli con un trattamento a quattro fasi, anche se l'ultima l'ho tenuta poi per tutto il tempo del bagno e quando ho asciugato i capelli sembravano stranamente collosi.

Mi sono spalmata una maschera all'argilla che, durante la durata del bagno, si è cementificata tanto da sembrare calce; fa parte della squadra numerosissima di campioncini che erano sparsi in mille cassetti e mille pochette e che ho deciso di far fuori assolutamente prima di fare nuovi acquisti. Quindi, la calcina potrebbe avere anche qualche anno, chi lo sa. Ma ho stoicamente perseverato.

Mi sono immersa nell'acqua bollente, in cui ho buttato una manciata di sale grosso e due bagnoschiuma diversi, che probabilmente si sono annullati a vicenda, in fatto di bolle. Calda, caldissima: la speranza era vederla trasformata in brodo, con larghe chiazze di grasso a condimento delle timide bollicine. Ma non è successo. La gallina non è più giovanissima, ma l'osmosi non avviene; peccato. E allora pace: ho acceso una  candela, ho acceso la musica e ho lasciato che i capelli si ammollassero nel trattamento e la maschera si indurisse.

Ho poi aperto il barattolo del sapone nero che ho comprato a Marrakech. Profumato all'eucalipto. Acquistato al duty-free dell'aeroporto perchè, si sa, resta sempre qualcosa da spendere prima dell'imbarco. Ovviamente, pagato il quadruplo di quello che mi tiravano dietro nel bazar, un classico che nemmeno la mia compagna di viaggio Claudia ha avuto la forza di obiettare.
Fumavo talmente tanto che si è spalmato in un baleno, senza sforzo. E poi con il guanto mi sono adoperata per levare almeno due strati di epidermide, sempre nella vana speranza di attivare quell'osmosi impossibile e grattare via anche qualcosa di più. Già che c'ero, il guanto mi è servito per asportare la sindone del viso.

E poi e iniziata la seconda fase, con accanimento sui talloni, sulle unghie, e accendendo infine il maledico silkepìl, il mio tessoro. Con il quale, probabilmente, avrei anche abraso un terzo strato di derma, se fosse stato possibile. Un modello con la luce incorporata per non permettere nemmeno a un sottile piccolo filo indifeso di sfuggire alla follia estirpatoria.

Ho concluso aprendo una bustina di anticellulite di ignota provenienza, di una marca che continuerò a usare per i prossimi 4 giorni prima di sostituirla prima con una crema termale, poi con un siero che spargerò con foga con una specie di minipialla di legno con le rotelle. In un lampo, mi sono passati davanti come in un film tutti i bei trattamenti che ho provato, provando una fitta di nostalgia che nessun silkepìl potrà mai eguagliare, nemmeno nei punti più delicati.

Domani metterò lo smalto, per pensare ancora un po' a quei preziosi momenti di fuga che, invece di trasformare un bagno in un campo di battaglia per oltre due ore, mi regalavano benessere, ascolto, competenza.
Torneremo, castello diroccati da ricostruire!


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