domenica 7 aprile 2019

Sì, ho qualcosa da dire

Quando mi hanno chiesto di partecipare alla vita pubblica del mio paese per la prima volta, avevo 25 anni. Mi stavo laureando, scrivevo su un settimanale locale da cinque anni, avevo collaborato con un periodico e con il giornalino della Pro Loco.

In questo piccolo paese c'era una vita sociale intensa, scrivevo per il giornale tre, quattro pezzi a settimana, non riuscivo a essere ovunque, spesso chiamavo, facevo interviste telefoniche, andavo alle feste, ai consigli comunali, lavoravo. Succede però che anche così non va bene, e quando quella lista civica mi ha voluto con sé sono iniziati problemi che fino a quel momento non avrei mai pensato mai di avere. Mille progetti, il primo lavoro, tante sfide. La stupidità di lasciarmi toccare da lotte che non mi riguardavano nemmeno.

Oggi so che coloro che ci stanno intorno non ci capiscono, o non sono veramente interessati, o sono sadici. E so che lasciare agli altri di capirci e non il contrario, non dare agli altri la miglior spiegazione di sé, è sempre un errore. Quindi allora ho sofferto molto. Un peccato, perché la politica mi è sempre piaciuta. Ho pensato di non esserne tagliata. Ho lasciato correre pure la diffamazione, limitandomi a far piagnucolare un'avvocata al telefono.

Poi mi hanno rivoluto, cinque anni dopo, e ho fatto altre esperienze. Convegni provinciali e nazionali, riunioni a Milano, discussioni su temi importanti, Bruxelles, la campagna di un europarlamentare, un mensile da dirigere. Ma ho avuto paura di riprovare quella sofferenza, ho di nuovo pensato che non ne valeva la pena. Davvero un brutto modo di usare la testa!

Ma questo non ha fermato i problemi. Non è la mia vita a crearne, però. Non sono le mie scelte. Nemmeno le azioni di una persona che cerca il suo percorso di vita. E' anzi un bel modo per scoprire chi non sa separare, chi non sa argomentare, chi non ha capito o chi, semplicemente, è disinteressato. E' anzi un bel modo di spiegare, senza lasciare a false interpretazioni. E' un modo di usare la parte creativa e razionale del cervello insieme, un modo di dare con egoismo. Oggi è divertente: che peccato essere stata così male!

Mi prendo i miei spazi e uso le parole, non solo scritte. Quelle fluiscono e si sviluppano con un senso logico che non pianifico; costruiscono sensi compiuti nel momento stesso in cui si formano su uno schermo, escono da un tratto di penna. Quelle dette, invece, non sempre sono altrettanto pungiglionate, così autodisciplinate. Per tanto tempo le ho rifuggite, ho cercato di educarle con dizione, respirazione, ma spesso inciampavano, c'è stata emozione, ci sono stati esercizi, prove e riprove, errori, fatica. Ma nulla di questo è stato vano. Quegli spazi ci sono e sono felice di avere un'altra possibilità.

D'altra parte, la politica è bellissima. Una bellissima professione da separare, conservare, coltivare.
Con buona pace degli amici che non sono più amici per questo.
Magari quegli stessi che, in questi 15 anni, sono rimasti a tagliare giudizi dallo stesso marciapiede.

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