martedì 22 gennaio 2013

Ma che rimborsi

Ieri sera ho visto Chiara, in stazione. Dopo una giornata incredibile, uno stop senza motivo in metropolitana, un ritardo di 20 minuti, una corsa in superficie per un annuncio fittizio e una seconda corsa per tornare giù nel passante e prendere un treno strapieno. Ma tant'è.
Ci siamo viste e lei mi ha parlato subito della radio. Ha mandato un curriculum, voleva sapere come funziona. Le ho detto che non ci lavoro più, in radio. E quando le ho raccontato che il taglio del personale è arrivato prima della regolarizzazione mi ha guardato come mi guardano più o meno tutti: delusione, e un pizzico di sospetto (d'altronde la crisi c'è ma è sempre lontana, degli altri). Solo gli amici non mi guardano così. Gli amici si incazzano e basta.
Chiara sta finendo gli ultimi esami all'università. Ma si guarda intorno. Il giorno prima era stata ad un colloquio oceanico: 45 persone. Per 4 posti di lavoro, mi è parso di capire. Mi correggo, per degli stage.
Mi ha raccontato che le hanno proposto 3 mesi. Senza rimborso. Senza possibilità di proseguire, magari con una formula differente. 3 mesi, gratis et amore, e tanti saluti. Lei si è alzata e i saluti li ha porti lei, pure con una stretta di mano. Grazie per la vergognosa offerta, voleva dire quella mano.
Chiara mi ha detto che le aziende possono decidere se non pagare o dare un rimborso spese, nel primo anno post laurea. Dopo l'anniversario, invece, sono costrette a prevedere almeno qualcosa. Credo di aver fatto io, quell'espressione a metà strada tra delusione e incredulità. Identica a quelle che vedo io nei miei confronti.
Comoda, la cosiddetta laurea breve. Si personalizza il percorso, se si vuole si finisce prima. Salvo poi rimanere un anno senza stipendio. Bell'insegnamento, dal mondo del lavoro.

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