sabato 12 gennaio 2013

Burana, per niente burina

E poi c'è la nonna Carmina. Carmina, proprio così. Nè Carmen, nè Carmela. Perchè in dialetto calabrese ha quel sapore in più. Quindi Carmina, all'anagrafe.
E se, leggendo qualche post fa, avete pensato "però, tosta la nonna Rosa!" ecco: è perchè ancora non parlato di lei. Una Rosa d'acciaio l'una, un sergente inflessibile l'altra. Donne al centro di invisibili sistemi matriarcali in cui il potere era apparentemente - e solo quello - in mano ai mariti. Che in realtà non avevano un soldo in tasca, che organizzavano il lavoro nei campi in linea con il ciclo delle stagioni e, dall'alba al tramonto, secondo impegni annuali ben stabiliti. Nonno Domenico, marito di Rosa, aveva in più uno spiccato senso sociale, mentre Vincenzo no, era un solitario che amava ill suo lavoro e che lo insegnava a chiunque ne avesse interesse, con passione. Meglio di qualsiasi ambientalista di ogni tempo.
Era la Carmina a detenere il potere oltre che economico anche sociale, in questo caso.
La Carmina che, quando nacqui io, era là, in Calabria. Ma che non ci rimase con l'avvicinarsi del mio battesimo. "Vado a Milano", disse un pomeriggio al nonno, senza alcun preavviso, senza nessuna spiegazione. In un fazzolettone mise un cetriolo, una forma di pecorino e un cambio e prese la littorina, e poi il treno, arrivando in Stazione Centrale al mattino successivo. Una metropolitana fino a Mario Pagano, dove sapeva ci fosse il capolinea degli autobus per la periferia, che nel frattempo era stato spostato in piazzale Lotto. Una richiesta d'aiuto (ovviamente in calabrese) ad una ragazza, il pullmann fino a Sedriano e, dato che era sabato, un giro al mercato del paese, prima di arrivare con tutta calma a casa dei miei e suonare per il pranzo.
In tutti questi anni ho cercato di immaginarmi la faccia di papà, quando aprì la porta. Quella donna piccola coi capelli grigi lunghissimi ma portati sempre intrecciati intorno al capo non poteva certo mancare al battesimo di quella nipotina piena di capelli neri, nata solo un mese prima, 33 anni fa. Quella nipotina che avrebbe dovuto portare il suo nome, ma che non ce l'ha, grazie alla grande intelligenza dei giovani genitori. La nonna non se la prese più di tanto, a dir la verità. O dissimulò con grande maestria, forse. Serbina, mi avrebbe chiamato, storpiando il mio nome come faceva puntualmente e immancabilmente con il resto del nipotame, lasciando subito intendere a tutti che ero lì, sicura e approvata, nella schiera.
Ma di "carmina" ne scrissi poi, ne scrivo sempre. E lei doveva già saperlo fin dall'inizio.

Nessun commento: