venerdì 13 novembre 2009

Have a NYC(e) day

Li culla dolcemente, migliaia e migliaia e migliaia. Li coccola, mentre li porta a correre nella loro città, con il bicchierone del caffè in mano, begli uomini e belle donne, bianchi e neri, formali e informali, attaccati perennemente al blackberry, al lavoro o a tenersi in forma al Central Park, ma sempre easy, with no drama. Laggiù, in metropolitana, arrivano, strisciano la loro MetroCard e si rilassano. Chiudono gli occhi, si appisolano là sotto il fiume e sotto i grattacieli. La mattina, come la sera, il dondolìo rende meno traumatico il risveglio, scioglie le tensioni della giornata al rientro, allevia le fatiche di noi, turisti stakanovisti che non ci vogliamo perdere nulla ma proprio nulla di questa città incredibile.
Tutto è da vedere, tutto da ammirare: ogni angolo di isolato, ogni grattacielo, ogni insegna di quello spettacolo di neon di Times Square. Ogni passo sul ponte di Brooklyn, ogni afroamericano in tutona o in rasta, ogni galleria di Soho, ogni portiere di Park Avenue, ogni boutique della Fifth, Mel Gibson che viene a cenare nel tuo stesso ristorante al Greenwich.
Ma la folla non lo permette, quella stessa folla che ti affascina, ti fa sentire al centro dell'universo. In un luogo dove tutto è possibile, se tieni il passo. Un luogo che ti offre tutto, tutto è lì, a portata di mano, raggiungibile. Brodway mi ha regalato Mamma Mia! a una spanna dal palco, con la buca dell'orchestra ai miei piedi. Il Madison Square Garden mi ha commosso con quello che penso sia il concerto più bello di Bruce cui abbia mai assistito (e lui, Sherry Darling, l'ha dedicata solo a me), il tramonto al Top of the Rock mi ha lasciato a bocca aperta, il sole della domenica al Central Park a braccia scoperte.
Difficile scegliere quello che mi è piaciuto di più: del resto, quando ti innamori ti colpiscono più cose, e l'unicità è composta da tanti piccoli e grandi particolari.

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