mercoledì 1 ottobre 2025

Cosa ci insegna la morte

Stasera ho stappato una bottiglia di vino rosso. 
Ho preso un calice, ampio, di quelli riposti per le occasioni. E ho versato tre quarti di bicchiere. 

Oggi è una giornata di morte, lo scrivo senza giri di parole. Già dal primo mattino al lavoro è giunta la notizia di un incidente stradale, oltreoceano, che ha strappato alla vita la giovane figlia di un uomo che ha lavorato in azienda sempre, da poco tempo in pensione. E' una strana sensazione assistere ad una vicinanza corale che non è mia, perchè sono arrivata dopo. E' come camminare in punta di piedi tra i ricordi e i racconti e una commozione tangibile, duratura. Capire come stare vicina e contemporaneamente ai margini di un dolore autentico dei colleghi. E' stata una grande lezione di ridimensionamento, improvviso, di tutti i problemi che lasciamo giganteggiare ogni giorno, convinti che lo siano davvero, e non lo sono affatto.

E poi sono arrivata a casa e, dal parcheggio interno, attraversando il giardino antistante al mio palazzo, mi sono accorta della coccarda funebre appesa al cancelletto, verso l'esterno. Coi passi pesanti, nelle scarpe che mi hanno fatto male tutto il giorno, sono uscita verso la strada per scoprire il nome.
Sandro. 
In quindici anni qui, ho incrociato quest'uomo coi baffi innumerevoli volte. Soprattutto alle 4 di mattina, quando attraversavo longitunalmente Milano per il turno del mattino alla radio. Ci trovavamo al buio, al freddo, grattando il gelo dal vetro della mia C3 e della sua Audi, a scambiare qualche parola, subito rappresa in una piccola nuvoletta in almeno tre stagioni all'anno. Sempre cortese, sempre spiritoso. Vederlo, dava alla messa in moto e al mio tragitto di 35 chilometri uno sprint in più. Ogni singola volta. 
Dopo, sono arrivati altri lavori (miei) e la pensione (sua). E altre auto mie, perchè la C3 mi ha abbandonato ed è stata sostituita, per anni, da una serie più o meno longeva di auto aziendali dalle forme più svariate, fino alla Golf. La sua Audi coupè, invece, immutata, splendida, dello stesso argento lucente, invecchiava benissimo. Parlavamo di questo avvicendamento, scherzandoci su, sempre con lo stesso garbo, lo stesso spirito cortese. 

Poi l'ho visto deperire. La vita ci cambia in un modo che difficilmente possiamo prevedere. Ne parlavo ieri con Laura, citando Manzoni: la falce si abbatte su steli robusti e giovani germogli, senza guardare in faccia nessuno. Niente, però, che preannunciasse questo epilogo. 
Aveva rotto il femore. Hanno sconsigliato l'operazione, per le condizioni generali, ma quell'osso lungo non aveva in autonomia fatto progressi. E lui, Sandro, con quei baffi così belli, come quelli di papà da giovane, ha incoraggiato i medici ad operarlo, pur conoscendo le scarse probabilità. 

Sono andata da suo figlio Paolo, stasera. Lui, la moglie, la bimba e la madre mi hanno pure ringraziato ma, ancora una volta, la lezione l'ho imparata io.
Non vendete l'Audi, ho detto. 
Ho tenuto le lacrime per dopo, fuori dalla loro porta, e poi ho stappato la mia bottiglia. 

Domattina metterò quel profumo che uso solo qualche volta. 

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