lunedì 24 novembre 2025

Molto più di un omaggio a Mia Martini


A volte accade che, mentre vivi nel momento, ti accorgi che quello resterà nella tua storia personale. 
Nel momento stesso in cui sta accadendo, quell'istante prende uno spazio all'interno del corpo, non solo nella mente, ma in un luogo imprecisato tra il cuore e lo stomaco. Per restarci. Per continuare ad emozionare anche nei giorni a venire. 

Domenica è accaduto questo. 
OPS!, Original People singing, ha nuovamente portato in scena a Corbetta qualcosa di irripetibile. Eppure, ormai, dovremmo saperlo: da undici anni a questa parte Alessandro Baronchelli, Patrizia Sevieri e il direttivo dell'associazione si impegnano a proporre eventi unici nel loro genere, spesso con la sola straordinaria forza della volontà e una capacità innata (tanto abusata nel termine, quanto rara, nella realtà): l'empatia. Quella che permette a questa piccola brigata di costruire legami solidi, duraturi, sinceri, con straordinari artisti della scena italiana. 

Domenica, dunque, Stephanie Ocean Ghizzoni è giunta da Verona insieme ai suoi musicisti, Anna e Marco Pasetto e Daniele Rotunno, per portare Mia Martini sul palco. L'ha portata fisicamente, con un dipinto fedelissimo realizzato da lei stessa, e con una straordinaria esibizione. Come è stato possibile che un'artista dal background soul, jazz, blues, funky e gospel si calasse perfettamente in un'interpretazione così, lo ha spiegato a inizio concerto Oriella Soncin, che da presidentessa di SonOriArte ha pensato a questo spettacolo. Da Bellinzona, Oriella non ha voluto mancare ed anzi ha delineato in pochi minuti la capacità interpretiva di Stephanie, così straodinariamente aderente alla sua idea. Solo lei avrebbe saputo cogliere tutte le sfumature di un'artista che ha tracciato una linea importante nella storia della musica italiana, insieme ad altre artiste e più di quanto la storiografia musicale sia, ad oggi, riuscita a riconoscere. "Se non canto non vivo", aveva detto un un'intervista dell'89 a Sanremo al suo ritorno, l'artista calabrese. 

Ed è stato così che centosessanta presenti in sala Aldo Savi hanno assistito a uno spettacolo unico, una vita cantata così. Nella musica e nella voce di Stephanie, che ha fatto sua Mia Martini senza stravolgerla, ma di fatto arricchendola, abbiamo trovato un oceano di emozioni. Abbiamo trovato una donna che ha affrontato il successo come le difficoltà, la fama come lo stigma sociale, le cadute e la rinascita con una classe, una potenza e una carica uniche. Un brivido ha percorso più volte la sala, soprendendo questo pubblico così eterogeneo e grato per l'opportunità che OPS! è riuscita nuovamente a regalare gratuitamente alla città di Corbetta. 

Un inedito "Amica Mia" ha accompagnato un repertorio di sedici successi, da "Mimì sarà" al bis, "Piccolo Uomo". Difficile spiegare quale tra "Gli uomini non cambiano", "E non finisce mica il cielo", "Minuetto" o una straordinaria "La nevicata del '56" arricchito dal ricordo personale di Stephanie abbia rappresentato il momento più alto della serata. E' stato tutto alto. Di un altissimo valore. 

C'è un aspetto in più che colpisce, non da poco. E' la gioia. La bellezza di OPS! di fare accadere le cose con una trasparenza e una semplicità percepita quasi al tatto. In molti, uscendo, hanno chiesto quale sarà il prossimo passo. Di certo e davvero vicine ci sono le attività legate ai mercatini di Natale a Santo Stefano Ticino e  Corbetta. Ma presto, in primavera, Original People Singing annuncerà un nuovo progetto, su un'opera originale. Sempre con questa straordinaria forza della volontà.

Non resta che seguire la pagina https://www.facebook.com/OPSCORBETTA


giovedì 6 novembre 2025

Magenta è anche, e soprattutto, delle donne

Ieri sera sono stata a Magenta.

Mi aveva scritto l'assessora qualche giorno prima, per mandarmi un invito. Abbiamo un rapporto di grande stima reciproca e di collaborazione, di quel tipo che avevo in numero maggiore quando mi occupavo della cronaca locale in modo più attivo, e non sporadico. Ieri sera lei mi ha ricordato che, nonostante i giri della vita, certi piccoli riconoscimenti non mancano.

L'invito era, dunque, nella sempre splendida Casa Giacobbe, per la presentazione di un progetto di raccolta di storie, quelle che da sempre, a mio parere, dovrebbero stare al centro di tutte le attività politiche, sociali, imprenditoriali di sempre. E riguarda le donne.

Mariarosa Cuciniello ha lanciato questo progetto che verrà poi presentato il prossimo 8 marzo: da ieri, ad un link dedicato, il Comune di Magenta raccoglie storie di magentine, o di non cittadine che hanno avuto però molto a che fare con la città, che hanno un vissuto di valore. Il bello è che questo vissuto non deve essere qualcosa legato per forza al successo, alla ricchezza o al prestigio. L'intento è quello di parlare di persone che hanno, nella loro vita, costruito un esempio anche inconsapevole da seguire.

La bellezza di questo progetto sta tutto qui, nel taglio suggerito. Piccoli racconti di vita, anche parziali, anche solo di episodi, di donne che probabilmente non hanno nemmeno idea dell'eredità che hanno lasciato; una capacità di "sfruttare" i propri talenti che riesce bene, invece alla parte maschile, specie in periodi storici in cui la carriera, e di conseguenza questa valorizzazione, non era prevista alla sfera femminile. Il progetto, infatti, si focalizza sulle nate tra il 1830 e il 1975. Un recupero della memoria sociale di Magenta che non escluda chi ne ha fatta la storia, insieme, al fianco di chi ha avuto più naturalmente visibilità.

Ed è per questo che certi rilievi di ieri sera mi hanno fatto sorridere. Di questi tempi, ogni iniziativa viene passata al vaglio di una critica inutile. Ho scoperto che, in psicologia, si chiama confronto vantaggioso: e allora perché non tutti? E allora perché non recuperare le storie dei San Martino d'Oro?

Forse sfugge un piccolo particolare, che è solo dato dal fatto di aver guardato le cose, in senso lato, sempre e solo da un'unica prospettiva. Le storie delle donne ci riguardano. Riguardano tutti noi. E infatti tutti ne possono scrivere, da qualsiasi parte del pianeta.

Per quel che mi riguarda, ho bene in mente alcune magentine che ammiro, e ho già stimolato altre persone a scriverci su. A me, è lampante, non serve alcun pungolo, ma solo un foglio bianco da iniziare.

mercoledì 5 novembre 2025

Lo spettacolo dell'imbrunire

In questi giorni il mio ritorno a casa dal lavoro coincide con quella fase dell'imbrunire che trasforma il mondo, preparandolo alla notte. La fortuna è quella di percorrere, in circa trenta minuti, una strada con molta campagna intorno, campi coltivati e confini delimitati dalla tipica vegetazione padana, uno spazio incredibilmente aperto e quasi immutato insolito per questa parte di Lombardia così densa di presenza umana. 

E il cielo si prende tutto. E' ancora chiaro, quando parto, spesso con un fondo azzurrino e striature rosa, e poi tutto questo muta lentamente nella gamma del giallo e dell'arancio. Si prende gran parte della mia attenzione, questo cielo, costringendomi spesso a riportare l'attenzione alla guida, per cui lascio che l'auto scivoli nel traffico serale senza strappi e con dolcezza, per dar più spazio possibile alla vista. 

Le figure non hanno più colore. Sono come quei fogli bianchi che, da bambini, riempivamo con decisione di pastelli a cera per poi ricoprirli con il colore nero e andare poi, con una punta, di nuovo a scoprire i colori sottostanti. Ora case, alberi, siepi sono tutti ritagliati così, sul cartone del cielo che muta e si infiamma e si raffedda pian piano, con le montagne al mio margine destro, azzurrine nella parte di cielo già indaco.

Ti ritrovi a fare il piccolo direttore della fotografia e immaginare inquadrature da film in punti in cui non potresti fermare l'auto nemmeno un istante per una foto. Persino una cascina, un campanile o un cavalcavia aggiungono un plus di stupore a quello cui stai assistendo. Ti trovi a cogliere i piccoli particolare, su questo sfondo nero: una finestra buia, ma coi il vetro che riflette il cielo, i nuovi lampioni a led che sembrano piccolissimi soffioni di luce magrittiana, gli stop delle auto davanti a te che si accendono di rosso tutti insieme al primo rallentamento. 

E di colpo, come una rivelazione, tutto sembra più pulito. Lo spettacolo della natura che si muove hai il potere di liberare spazio anche nella testa. Non siamo noi i protagonisti, sussurra sottovoce il cielo. Noi siamo quelli neri, cesellati finemente, sì, ma sullo sfondo, in basso. Basterebbe questo per suggerire ad ognuno di noi che non siamo al centro di niente. 

Nonostante tutto, questo cielo, e questa luna in particolare che da pallida si fa sempre più brillante, tornerà a manifestarsi ancora, portando colore sui neri delle nostre vite. 

sabato 1 novembre 2025

Il gioco della gratitudine

Ieri alla radio si chiedeva agli ascoltatori di mandare un messaggio vocale e raccontare una delle cose più belle successe nel mese di ottobre. 

E' stato bello sentire i commenti, numerosissimi, di eventi grandi e piccoli, tutti con voci piene di riso, piantino, gioia. Di quelli che ti strappano un'emozione, di quelle che ti fanno amare guidare la tua vecchia auto nel lento ritorno a casa serale.

E allora ho pensato al mio, di mese appena concluso, di questo anno così bello. E mi sono venute in mente tanti di quegli episodi...da imbarazzo della scelta. Perché, come dice mia sorella, anche quando le mie certezze vengono messe (ancora una volta) a dura prova, so benissimo fare molti passi per superare gli ostacoli. E quindi, caro ottobre, sei stato caldo e freddissimo, con tante sfumature nel mezzo che mi hanno fatto girare la testa (eh no, non per un nuovo amore - ahimè - ma per la cervicale. Quando si invecchia è così). 

Ho passato molti momenti di qualità con le persone a cui voglio bene.
Con la Franci abbiamo pianificato un viaggio a Palermo.
La Manu ha preparato la cheesecake più buona del mondo per il compleanno di mamma e di Stefano.
Ho camminato per un'ora nella bellezza di Corbetta e poi, qualche giorno dopo, sono salita sul tetto del Duomo in una giornata perfetta con i miei affetti capoverdiani (e poi Capo Verde ci ha regalato un primato calcistico stupendo). Ho ritrovato delle bellissime foto di oltre vent'anni fa, sono andata ad una degustazione di vini meravigliosa, ad un miniconcerto con le mie amiche più care. Una cena milanese, un ristorante eritreo e una pizza d'autore mi hanno fatto uscire con il sorriso. 
Il Corriere ha pubblicato un mio pezzo; sono stata alla presentazione di un libro di chi ha iniziato con me e cammina nel mondo del giornalismo con una volontà che io non ho più, ma che per me è un esempio anche oggi. Ho comunque iniziato ad accumulare i crediti e sono circa a metà.
E ho visto il film su Bruce ambientato là dove ha mosso i primi passi, un posto che ho visto coi miei occhi sedici anni fa, e la cosa mi ha fatto venire i brividi. 
I miei controlli medici sono andati benissimo, con grande sollievo.
E poi, finalmente, sono riemersa da un momento economico difficile che durava da molti, molti mesi, per cui son di nuovo pronta a buttare via altri soldi con allegria!

Ci sono altre cose di cui avrei potuto fare a meno, ovviamente. Ho perso uno zio che ho amato molto, l'auto ha qualche problema e non potrò andare in vacanza a breve come speravo. 
E una strada che pensavo sicura non lo è affatto. Mi sento sempre inadeguata, commetto errori su errori, pur con tutta l'attenzione del mondo. E la malinconia mi mangia. Magari mi mangiasse davvero, un po' dappertutto, viste le curvone del mio corpo. 

La gratitudine è un sentimento potente.
E con potenza e speranza affronto novembre, iniziato con un pranzo pieno di amore. 
Annaffiato con un magnum del Monferrato.

mercoledì 29 ottobre 2025

La paurina chiacchierina

Ho notato che, quando mi trovo in situazioni che mi fanno paura, la lingua si scioglie ancora più del solito. E inizio a parlare a vanvera. 

Cioè, faccio proprio quella cosa che odio: riempire i vuoti anche quando non serve. 
Sono sempre stata una persona "di parola", ma non ho mai sopportato chi non super l'imbarazzo di un silenzio e deve per forza aprire bocca. Eppure, come si dice, il gobbo vede la gobba degli altri e non la propria. Sarà così. 

Esarà per questo che, qualche giorno fa, ho messo in atto la paurina chiacchierina: sono andata a fare il prelievo e la vera notizia è che ci sono andata da sola, e non con la mamma, perchè l'esame del sangue resta una delle cose più difficili da fare.

Ho paura, e a questa paura (degli aghi) ho cercato sempre di porre un rimedio, come se fosse sbagliata. Ad esempio, per un certo periodo l'ho combattuta prendendola per le corna, diventando donatrice Avis. Sfortunatamente, il mio nervo vago non si è mostrato molto d'accordo fin da subito. Otto donazioni, tutte finite più o meno male: nel migliore dei casi sono arrivata a casa salvo poi rimanere sdraiata a lungo sul pavomento; nel peggiore, uno svenimento e un cestino della sala d'attesa che ha visto lo scarso contenuto del mio stomaco. Insomma: al primo controllo del medico, alla luce della sfilza di inconvenienti tecnici, sono stata sospesa senza appello. 

Da qui, la richiesta di accompagnamento, come se fossi una bambina. Quando sono stata io ad accompagnare mia sorella, incinta, per la curva glicemica, la sensazione era qualla di essere io la minore al seguito e non la maggiore delle due. Fino al Covid, coi vaccini fatti per forza da sola, e da lì in poi senza più la manina. Ma con una parlantina 10X. Compreso, dunque, qualche giorno fa, quando ho sommerso la gentilissima infermiera (tra l'altro bravissima) al Synlab così vicino a casa che avrei potuto andarci a piedi. 

E poi, all'improvviso, dopo la colazione alla Esso, guidando verso il lavoro ho realizzato che anche altre paure mi causano questa loquacità. Anzi. La mia capacità di iniziare da Adamo ed Eva ed aprire mille parentesi sfidando la capacità di attenzione di chiunque è dettata dalla paura. In effetti, ho paura il più delle volte: di non farcela, di essere inadeguata, di non arrivare a fine mese, di fallire ancora, di perdere tutto, di allontanare le persone a cui tengo, come e più di come sia già successo. Parlo troppo. A sproposito, scompostamente.

Ma di silenzi ce ne sono comunque tanti. Me li tengo stretti, in effetti. Sono bianchi, puliti. Sono la luce che schiarisce la paura, che è più bella così, scritta. Risintonizza l'anima.


giovedì 9 ottobre 2025

Anche la rabbia serve

Incredibile. 
Decine e decine di post in cui butto fuori tutta la mia rabbia, per arrivare qui, ad oggi. 
A martedì, anzi, quando, di ritorno dal lavoro, mi sono infilata le scarpe da tennis e sono uscita a camminare furiosamente per un'ora, al passo di carica (ancora più, se possibile, di quello che ho solitamente) intorno a Corbetta, per parchi e canali e vie acciottolate, talmente elettrica da indurre le auto a fermarsi senza neanche cenni, quando ho attraversato strade di scorrimento. Sneakers fucsia, giacca viola e pugni chiusi, con tanta aria da buttare fuori. Ma un'ora è bastata, anche troppa, per qualcosa di estremanente immeritevole anche solo di un sentimento. 

In altre fasi della mia vita...altro che qualche chilometro in fretta e furia. Su questo blog, ad esempio, ci sono fiumi di parole digitate con una frustrazione indicibile, cuore esposto e pianto libero. Giorni, settimane, mesi. Anni. Di cose andate per il verso sbagliato. Di versi sbagliati. 

Grazie a queste tracce ricordo tutto con grande lucidità, ma se mi guardo indietro mi sorprendo della distanza che ho messo tra quella rabbia e questa gioia. Nonostante tutto, con le difficoltà di sempre, i soldi che mai bastano, i casi umani e un'infinità di incastri da riaggiustare, sono...contenta. 
Quella rabbia così grande mi ha causato due effetti collaterali di grandissimo peso: ho sofferto solo io, molto, nell'anima e nel corpo; e ho lasciato che questo sentimento non mi permettesse di darmi un valore. 

Ma oggi aggiungo una riflessione in più. Per arrivare qui, da sola, allo sommità di questa piccola collina che mi è sempre sembrata inscalabile, c'è voluto anche questo. Ho sempre dato un'accezione fortemente negativa alla rabbia che ho provato, e potrei aver sbagliato. Esprimendola, tutta quanta, l'ho trasformata in qualcosa di positivo. 

Nei momenti peggiori ho avuto il timore di trasformarmi. Di perdere la mia essenza. 
Oggi so che non è possibile. 
Sono così. Grazie (anche) alla rabbia. 


giovedì 2 ottobre 2025

Cosa significa imparare davvero

Me li ricordo benissimo, i miei fallimenti. 

Già dal Liceo mi rimprovero di non aver avuto la forza di emergere in una classe di cui è rimasto davvero poco. Ne ero consapevole, ma fino dal primo momento mi sono rifugiata nel rumore indistinto di fondo di quella classe di trentadue persone per non uscirne più, davvero. Il classico elemento d'arredo, come un banco, una sedia. Pur partecipando alle gite extra o agli eventi scolastici come tutti, mi sono sempre tenuta nel mucchio, se possibile due passi indietro. Il risultato buono, ma non memorabile, è stato il giusto epilogo di quel lustro, così diverso da come avevo affrontato il ciclo di studi precendenti. 
Ho iniziato l'università con lo stesso motto, "non osare", e quelli che mi hanno salvato sono stati gli amici che lì ho avuto la fortuna di incrociare e che ancora oggi ci sono, anche nel mio primo anno di quasi non-frequentazione, per i mille lavori che avevo già iniziato a inanellare. Il mio best Casper Award lo ricordo con un sorriso tenero. Il fallimento di quel primo anno si riduce a un unico, solo grande ostacolo: l'esame di Italiano 1, ripetuto tre volte. Una di queste, il giorno del mio 21esimo compleanno in cui ho pensato che la mia vita fosse finita. Conservo le foto di me, annegata nelle lacrime, davanti alla torta, con Martina, la mia piccola cugina, vicina vicina a me. Occhi da visitor, voglia di festeggiare prossima allo zero assoluto.
 
Poi sono emersa, come chi ha nuotato in apnea per molto tempo, e ho riempito i polmoni di aria. La laurea ha sancito una nuova era e da lì ho capito di essere solo all'inizio, con la lista degli errori da commettere. Solo all'inzio di un percorso che non vede fine. Ho lasciato i rimpianti alla liceale, e ho iniziato a sbagliare con allegria, ripetutamente. Casomai ci sono stati pianti, senza prefissi.

Oggi, nel mezzo di questa ri-definizione, capisco anche quanta vita ci ho messo dentro. Negli arresti, nelle pause, nei sonni, nei ritiri. Tutti momenti che hanno contribuito a farmi ripartire. Mi dicono che sono piena di entusiasmo: non so, davvero, se è così, o se è incoscienza, ignoranza, sintomo di poca intelligenza. Ma oggi, forte e carica di tutti i miei fallimenti, grazie a tutte le mie cadute così rovinose, a tratti, così brutte, imperfette, poco recuperabili, ogni volta che si ricomincia, superata la fatica, mi colpisce sempre la bellezza delle prime volte. 

Un esame non superato può sembrare la fine del mondo. 
Invece, con il tempo, si scopre un'altra verità: è la nuova via da cui ripartire. 
Se perdo, imparo sempre. 

La parte più difficile, però, è un'altra. Anche nel momento peggiore, la vera sfida è non chiudere il mondo fuori. Sono le persone che abbiamo accanto a farci capire che si tratta solo di incidenti di percorso. E' il confronto che ridimensiona quel nero. Sono le altre voci che ci guidano a riaccendere la luce. E quelle che contano...restano. Per insegnarti, tra le altre cose, che non ci sono gare. Non c'è nessuno da battere intorno, ed in particolare non abbiamo da batterci con noi stessi.