Ed eccomi qui, signor giudice, ad esprimere un parere non richiesto.
Questa volta, però, si tratta di un pensiero legittimo. Una parte della mia vita che ritengo decisamente importante è legata a questo luogo che amo e di cui sento la mancanza, dopo vent'anni di frequentazione, e che mi suscita un sentimento potente. Un sentimento che ha una data precisa, un colpo di fulmine arrampicato su una delle torri a lato del terzo anello blu: 4 giugno 1995, Inter Padova, 2 a 1 e ultima partita di Ruben Sosa. Ravvivato in piedi sui seggiolini della Curva davanti ai due gol di Recoba al suo esordio in Inter Brescia, 31 agosto 1997 e iniziato, come una lunga storia d'amore, con il Campionato 99/00 e poi con nove abbonamenti di fila, da Ronaldo-Baggio-Zamorano-Recoba-Vieri in poi, dal terzo rosso al secondo arancio. E poi altri nove anni in servizio, in sala Executive e in garage, agli skybox della tribuna rossa e al primo arancio. E poi come osservatrice e al lavoro con gli steward, entrando in tutte le stanza di questo colosso, sale stampa, gos, scale interne, consorzio Inter Milan, sede dell'Inter, spogliatoi, mix zone. Lontanto dai match, con i pitch parterre in costruzione, le lampade per il prato, l'allestimento per i concerti. Non credo ci sia un angolo che non abbia visto, infermeria compresa. Dei concerti ho già perso il conto.
Sì, posso dirlo: scrivo di un luogo che conosco e amo molto. A cui sono pronta a dire addio. Perchè questo stadio è come una casa, un bene immobile: è quello che vi succede all'interno che rende la vita vissuta là indimenticabile, non il contrario. Sono le emozioni, le azioni, le gioie e le disperazioni, i climi che mutano da un minuto all'altro, la rabbia e la felicità, il canto e la folla, il freddo, la pioggia, il caldo torrido e il sole accecante, la calca e il vuoto delle porte chiuse che fanno di San Siro il luogo che è. Il pubblico e i giocatori, i colori e gli striscioni, i cori e le persone. Il rito, le canzoni, lo speaker, la società, i fotografi, gli steward. E novanta minuti di imprevedibilità, le birre vendute sugli spalti, le bandiere enormi e piccolissime, i sorrisi e le lacrime, i veterani e gli occasionali, i bambini entusiasti e addormentati, le mogli annoiate e le generazioni di tifose che arrivano insieme, gli sguardi d'intesa tra sconosciuti e l'annullamento totale di ogni differenza sociale. E' l'adesione e la contestazione, è la fila all'ingresso e il deflusso pieno di adrenalina che, piano piano, cala sulle gambe. Sono nervi che si tendono, tensione che va scogliendosit, lacrimogeni, fumogeni, bontà e cattiveria. Sono i geloni ai piedi, che tornano a sentire di nuovo tepore solo dopo aver raggiunto la macchina in parcheggi lontani. Quei silenzi improvvisi che portano fino agli spalti lo schiocco secco del pallone che impatta sul palo, il fischio dell'allenatore, l'imprecazione da fallo.
Il sapore del panino con la salamella, la cipolla e i peperoni sarà sempre quello, anche dopo.

Perchè ci vuole un dopo. Le stanze del Comune che inghiottiscono decine di imbucati, scale strette e maleodoranti, bagni inadeguati, vie di fuga lente, ascensori microscopici e lentissimi e centinaia di metri quadri di cemento nudo mal rasato. Nessun adeguamento, dalla finale di Champions in poi, non può nascondere un pachiderma stanco. Nessuna nuova sala rivestita di pannelli semovibili. Gli spazi restano inadeguati, anche mascherati.
Il Meazza è uno stato dell'anima. Lo sapeva benissimo anche colui che gli ha dato il nome, primo divo di questo sport che con il ciclismo ebbe una funzione sociale cruciale in Italia. Lui, talento straordinario, grande giocatore d'azzardo e pieno di donne, sapeva che dal letto al rettangolo di gioco era il sentimento a muoverlo.
San Siro è ben più di uno stadio. E' un anelito che non morirà mai. La caduta del palazzetto lo ha già mostrato: ci sono dolori lancinanti che si superano, perchè quello che resta è decisamente più grande e più eterno di un contenitore di emozioni. Invertiamo la sineddoche: torniamo al tutto e non alla parte, al contenuto e non al contenitore, all'essenza e non alla materia.
Conserverò con estrema gioia tutti i ricordi che mi legano a quel luogo, e con altrettanta gioia attenderò quelli che verranno.
Ho finito, signor giudice. Tutto quello che desidero sono altri vent'anni di partite dal vivo.