Non scrivo più.
Le uniche mie note scritte su post it, agende, calendari e fogli volanti riguardano solo il lavoro, e non sono più nemmeno rinchiusi in ordine (no, bell'ordine da mai, ad essere onesta) in un'unica agendina, poi messa via e sostituita dalla successiva.
Ho perso la consequenzialità. Ma ho perso anche una grande parte di me. O forse è nascosta; ecco, sì, diciamo che si è andata a nascondere molto bene. Era quella capacità di dare al pensiero una forma in un modo che è solo mio. Fatto di immagini, metafore, periodi brevi e lunghi insieme. Nel dormiveglia pensavo a frasi da mettere giù. Ho scritto nella mente mille incipit di un libro che non ha mai visto la luce e ho usato diversi tovaglioli di carta come spunto, le note del cellulare, anche.
E ora? Non scrivo più nemmeno per me stessa, nelle agende mensili, di incontri e fatti che mi hanno spostato il battito del cuore di qualche millimetro. Sì, mi stupisco sempre e mi commuovo anche di più, ma se prima all'emozione seguivano parole, ora faccio fatica a vederle comparire su uno schermo, a vederle scorrere sulla carta.
Sono anche a secco. Ho sempre scritto di getto, in pochissimo tempo, e mi sono sempre chiesta se, in un ipotetico mestiere scrittorio che è arrivato sì, ma non a grandissimi volumi come avrei desiderato, la "gestione di una commessa" avrebbe inibito questo sgorgare spontaneo. E ora mi ritrovo spesso davanti a un foglio bianco, senza sapere come iniziare. Perchè iniziare.
E' una secca legata a questo mare di legno, ho interiorizzato questa aridità? E' una possibilità che non riesco davvero ad accettare.
E allora direi che è giunto il momento di fare qualche esercizio. Come il cardio sulla cyclette, i pesetti del mattino, anche scrivere rientrerà nella lista delle cose da fare per mantenermi in forma, dentro. Con la speranza che ritorni ad essere un'abitudine spontanea, fulminea, piena di immagini. C'è sempre molto da dire in questo continuo mutamento. E' ora di stanare il nascondiglio.
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