martedì 20 settembre 2016

La banda del cerchietto

Questo post è rimasto nelle bozze da qualche tempo, e, contrariamente a quello che accade di solito quando scrivo, l'ho riletto, ripreso, lasciato più volte.
Niente di scritto in 4 minuti, insomma. Perchè vorrei approfondire il discorso dandogli uno spessore che probabilmente non ho.

Sto cercando di ricordare esattamente quali erano i pensieri ricorrenti, alle scuole medie.
Ho dei diari, da parte, salvati più e più volte da quei repulisti generali che hanno lo scopo dichiarato di far spazio fisico e mentale negli armadi, nei mobili, in case diverse; intento ovviamente fiaccato nello stesso momento in cui li prendo tra le mani, ne tocco la copertina, e definitivamente fuggito all'apertura di una pagina a caso. Perchè riportano alla memoria in un momento pensieri e parole; perchè pensieri e parole riaccendono ricordo come in un film a spezzoni. E una breve frequentazione degli studenti mi è bastata e anzi, non fa altro che far risaltare le differenze con quello che ero, che eravamo noi.

I ragazzi hanno la testa tra le nuvole, e fin qui niente di nuovo. Si distraggono molto facilmente, e se funziona il divieto di portare a scuola cellulari o altro la distrazione rientra nel genere tradizionale: la scemata dell'amico, le femmine della classe, le dediche sul diario, i pettegolezzi. A questo si aggiunge una maleducazione paurosa.

Ecco, la differenza sta tutta qui: la maleducazione e il mancato riconoscimento delle figure educative. Neanche il più scalmanato degli scalmanati di venti anni fa somiglia allo studente medio di oggi, che non ha più nessun punto di riferimento. Non lo ha, non ne sente la mancanza, non lo riconoscerà mai, se non a suon di punizioni di vario genere, anche se non è detto che queste siano efficaci. Nel periodo del mio insegnamento ho portato uno studente dalla preside e questo, davanti a me esterrefatta, ha mantenuto lo stesso atteggiamento strafottente e anzi ha manipolato la realtà talmente a suo favore che Feltri avrebbe potuto prenderlo subito nelle sue redazioni.

Il punto è che questo genere di supermenefreghismo caratterizza maschi e femmine indiscriminatamente, con battaglie che iniziano su Facebook al cospetto di migliaia di amici (perchè più ne aggiungi, meglio è; tutti gli amici di tutti i tuoi amici devono essere anche i tuoi, con buona pace delle lezioni a scuoola sui pericoli della rete) a corredo di foto in mini shorts, occhi pittati e bocca a forma di culo; e finiscono con insulti scritti sul marciapiede davanti a scuola e tirate di capelli in mensa. E si consumano su tutti i livelli, per cui sei parte della banda - o meno - se usi un certo colore di smalto, se metti o no il cerchietto, se ti compri lo stesso paio di scarpe (quest'ultima in verità è sempre esistita...).

C'è comunque speranza. Il rifiuto dei no scavano comunque come una goccia nella roccia. A distanza di mesi, certe sfuriate non accettate, certe note chilometriche lette con sfida alle amiche appena fuori dal cancello dello scuola, sortiscono timidi effetti. Piccoli pianti nascosti fuori dalla classe, sommesse richieste di scusa, colloqui straordinari coi genitori e prove d'esame perfette.
Che fatica, però.


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